ITALIA DEMOCRATICA.

CONFLITTO D'INTERESSI


La frontiera di Tangentopoli, spesso senza più bisogno delle tangenti, è il conflitto d’interessi. Nel vecchio sistema c’era chi pagava per ricevere appalti o favori e chi incassava per elargirli. Oggi, sempre più spesso, grazie a quella che Di Pietro chiama «l’ingegnerizzazione di Tangentopoli», le due figure si cumulano sulla stessa persona, che è contemporaneamente il controllore e il controllato e non deve neppure scomodarsi a pagare mazzette, visto che dovrebbe versarle a se stesso con un giroconto. E quando il controllore non è il controllato, spesso è perché uno dei due è un parente, un amico, un socio occulto, un prestanome.Su questo modello perverso, cresciuto all’ombra di quello berlusconiano, mai risolto anzi continuamente ingigantito, sono sorti negli ultimi anni centinaia di conflitti d’interessi nelle amministrazioni pubbliche, dal Parlamento agli enti locali, nelle società miste e municipalizzate, nelle Asl, per non parlare delle banche e delle imprese private.In Parlamento la gran parte degli eletti non presenta neppure la dichiarazione dei suoi beni, prevista dalla blandissima legge Frattini. E persino le Authority, che dovrebbero smascherare e sanzionare i conflitti d’interessi, ne sono infestate. Il caso di Alfredo Meocci, passato direttamente nel 2005 dall’Agcom (che vigila le tv) alla direzione generale della Rai (oggetto della sua precedente, presunta «vigilanza»), è soltanto il simbolo di una realtà tanto diffusa quanto sommersa. Nello stesso 2005, l’ex presidente della commissione parlamentare di Vigilanza della Rai, l’onorevole Ds Claudio Petruccioli, diventa presidente della Rai medesima, senz’alcuna soluzione di continuità, e per giunta in seguito a una visita nella residenza privata di Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio e proprietario di Mediaset, l’azienda concorrente della Rai. «L’espresso», il 6 aprile 2007, pubblica un’illuminante inchiesta dal titolo «Chi controlla i controllori