ITALIA DEMOCRATICA.

Processo sportivo per le plusvalenze. Rischiano una multa


BUCCHERI-VERGNANOSgonfiato nelle aule giudiziarie perché «il fatto non costituisce reato», grazie alla legge pro-Berlusconi, il pallone avvelenato delle plusvalenze finisce fra i piedi di Inter e Milan da quelli del superprocuratore della Federcalcio, Stefano Palazzi. Il pm del calcio non ha dubbi e il suo verdetto manda a processo (sportivo) i due club milanesi, Adriano Galliani, il vice-presidente dell’Inter Rinaldo Ghelfi, l’allora amministratore delegato nerazzurro Mauro Gambaro, l’ex direttore generale interista Massimo Moretti e il dirigente Gabriele Oriali (stralciata la posizione di Sampdoria, Parma e Chievo). I fatti contestati dall’accusa riportano agli anni fra il 2003 e il 2005 e mettono sul banco degli imputati scambi di giocatori fra le due società. Secondo Palazzi «con abnorme e strumentale valutazione delle medesime prestazioni sportive». Processo non penale, ma sportivo, perché i rispettivi vertici avrebbero violato l’articolo sulla lealtà, probità e correttezza sportiva, ma anche per aver «posto in essere condotte consistite nella mancata svalutazione nei bilanci chiusi nel 2004 e nella situazione patrimoniale al 31 marzo 2005, delle poste attive già al 30 giugno 2003, tutte condotte connesse fra loro e tutte finalizzate a far apparire perdite inferiori a quelle realmente esistenti». L’accusa rilegge gli incroci che hanno visto protagonisti giovani ragazzi passati da una maglia all’altra nella stessa città: così, ad esempio, il Milan cedette all’Inter i vari Deinite, Giordano, Toma e Brunelli mettendo a bilancio plusvalenze per circa 10 milioni di euro; l’Inter diede ai rossoneri i baby Ferraro, Livi, Ticli e Varaldi con plusvalenze di circa 12 milioni. Palazzi ha scelto la via del deferimento, i rischi, però, sembrano sfumati (ammenda per i due club, pericolo inibizione per i dirigenti). Reazione rossonera: «I fatti addebitati sono del tutto sovrapponibili a quelli che hanno determinato il recente proscioglimento della società e del suo amministratore delegato da parte del Tribunale di Milano». E l’Inter si adegua rilevando «la correttezza e l’assoluta conformità alla legge dei propri bilanci, per altro confermata dalla giustizia ordinaria». Moratti, in particolare, deve destreggiarsi fra guai giudiziari e polemiche. Ancora e sempre quel 5 maggio 2002. Per la storia tutto regolare. Per il presidente nerazzurro nient’affatto: senza «la banda dei truffatori» sarebbe andata in maniera diversa. Parole pesanti che hanno messo in allerta la Procura Federale per un possibile deferimento. Quella Juve non c’è più da quasi tre anni. Moratti definisce «amici» i nuovi dirigenti bianconeri, ma ogni tanto muove la cenere e ravviva il fuoco. A Torino le allusioni a Moggi provocano sempre un certo disagio. Tuttavia la vecchia Juve non era soltanto Triade. C’erano anche giocatori, alcuni dei quali fanno ancora parte della squadra attuale, che la società vuole difendere. E per la prima volta i nuovi manager reagiscono su fatti dei quali non sono stati protagonisti. «Sono più che mai convinto che il silenzio sia d’oro - ricama Cobolli Gigli a margine del Consiglio di Lega -. E lo dico soprattutto nel caso del presidente Moratti che ha un ruolo di spicco. Noi juventini siamo certi che lo scudetto del 2002 sia stato vinto sul campo. E francamente non capisco come si possa definire “banda di truffatori” l’allenatore che poi ha contribuito a vincere il Mondiale, nonché giocatori come Buffon, Pessotto, Ferrara, Brindelli, Del Piero, Nedved».