ITALIA DEMOCRATICA.

CIANCIMINO: RAPPORTI DELL'UTRI-PROVENZANO


ANSA.it'Rapporti diretti Dell'Utri-Provenzano' Ciancimino depone a processo MoriDopo l'omicidio Borsellino, mio padre riprese contatti con carabinieri02 febbraio, 2010PALERMO - "Mio padre mi disse di avere informato i carabinieri che se si voleva catturare Riina si doveva utilizzare Provenzano". Lo ha detto Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito, al processo, per favoreggiamento alla mafia, al generale dei carabinieri Mario Mori. Il testimone ha raccontato che dopo la strage in cui venne ucciso il giudice Borsellino la trattativa, intrapresa con i carabinieri del Ros dopo l'eccidio del magistrato Giovanni Falcone, cambiò interlocutori e oggetto."L'uccisione di Borsellino - ha spiegato - convinse mio padre che con Riina non si poteva trattare. A quel punto decise di riprendere i contatti con i carabinieri, prima finalizzati a ottenere la resa dei latitanti di mafia, e a spostare l'oggetto dell'accordo sull'arresto di Riina". Secondo Ciancimino il padre avvertì Mori, all'epoca vice comandate del Ros, che l'obiettivo dell'arresto del padrino di Corleone si poteva raggiungere solo col contributo di Provenzano che diventa l'elemento chiave di quella che il testimone indica come la seconda fase della trattativa.RAPPORTI DIRETTI DELL'UTRI PROVENZANO - "Marcello Dell'Utri e Bernardo Provenzano avevano rapporti diretti. Me lo riferì mio padre a cui era stato detto dal capomafia". Lo ha detto Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito, al processo, per favoreggiamento alla mafia, al generale dei carabinieri Mario Mori.DELL'UTRI SOSTITUI' MIO PADRE IN TRATTATIVA  - "Dopo il suo arresto, a dicembre del '92, mio padre si convinse che i carabinieri l'avevano tradito e che avevano un nuovo interlocutore, probabilmente con l'avallo di Provenzano. Anni dopo mi rivelò che, secondo lui, il nuovo referente istituzionale sia della mafia che dei soggetti che avevano condotto la trattativa fosse Marcello Dell'Utri". Lo ha detto Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito, al processo, per favoreggiamento alla mafia, al generale dei carabinieri Mario Mori. "Mio padre - ha proseguito - era convinto che, una volta sfruttato il suo contributo per l'arresto di Riina, i carabinieri l'avessero mollato". Una tesi avvalorata, secondo l'ex sindaco, dal fatto che subito dopo aver consegnato la documentazione che portava al covo del boss, gli era stata notificata una nuova misura cautelare. Tutto ciò - secondo il teste - significava che era entrato in gioco un altro soggetto che aveva assicurato nuove garanzie. Ciancimino, ha inoltre raccontato che nelle ultime fasi della trattativa a cui prese parte il padre gli argomenti affrontati tra l'ex sindaco, Bernardo Provenzano e l'agente dei Servizi che nell'ombra avrebbe seguito tutte le vicende, erano più ampi della sola cattura di Riina. "Era il '92 - ha spiegato - l'anno dell'anno dell'avanzata politica della Rete e della Lega e si discuteva della necessità di non disperdere l'enorme patrimonio elettorale della Dc, di cercare cioé il riferimento in un'atra entità politica.CARABINIERI NON VOLEVANO CATTURA PROVENZANO - "I carabinieri non ipotizzarono nemmeno la cattura di Provenzano perché sapevano che grazie a lui sarebbero arrivato all'arresto di Riina". Lo ha detto Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito, al processo, per favoreggiamento alla mafia, al generale dei carabinieri Mario Mori. Il testimone ha raccontato che il padre aveva informato specificamente i carabinieri del Ros dei suoi contatti con Provenzano e del ruolo che questi avrebbe avuto nell'arresto di Riina.CATTURA RIINA FU SALVACONDOTTO PROVENZANO  - "In cambio del suo contributo per la cattura di Riina, Provenzano ottenne una sorta di impunità. Mio padre spiegò ai carabinieri che l'unica persona che poteva imprimere una rotta nuova alla strategia di Cosa nostra e far cessare le stragi era Provenzano e per questo doveva rimanere libero". Lo ha detto Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito, al processo, per favoreggiamento alla mafia, al generale dei carabinieri Mario Mori. Sempre parlando del ruolo di Provenzano nell'arresto di Riina, Ciancimino ha raccontato che, a fine novembre '92 il capitano del Ros Giuseppe De Donno, braccio destro di Mori, gli diede delle mappe catastali di Palermo che lui poi consegno' al padre. L'ex sindaco fece delle fotocopie di zone della città in cui riteneva probabile che Riina si nascondesse. Fu Massimo Ciancimino, i primi di dicembre, a consegnare le mappe fotocopiate a Provenzano. Il boss, dopo qualche giorno, le restituì a Ciancimino. Il 19 dicembre del '92 l'ex sindaco torno ' in carcere, un contrattempo che fece saltare l'incontro in cui Ciancimino avrebbe dovuto consegnare a De Donno le mappe con l'indicazione del covo di Riina fatta da Provenzano. Su indicazione sia di De Donno che del padre fu, allora, Massimo a dare i documenti ai carabinieri.MANCATA PERQUISIZIONE COVO RIINA FU CONCORDATA  - "La mancata perquisizione del covo di Riina, dopo l'arresto, fu concordata tra mio padre e Provenzano e fu comunicata ai carabinieri. Era uno dei punti dell'accordo". Lo ha detto Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito, al processo, per favoreggiamento alla mafia, al generale dei carabinieri Mario MoriMIO PADRE VOLEVA GARANZIE DA VIOLANTE - "Mio padre riteneva essenziale il coinvolgimento dell'on. Violante nella trattativa, perché pensava che fosse l'unico a potergli garantire un trattamento di favore nel procedimento davanti alla sezione misure di prevenzione. Violante, insomma, essendo vicino ai giudici in qualche modo poteva garantirgli la salvezza del patrimonio". Lo ha detto Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito, al processo, per favoreggiamento alla mafia, al generale dei carabinieri Mario Mori. Il testimone ha raccontato che, in cambio del suo ruolo di intermediario nella trattativa tra Stato e mafia, l'ex sindaco chiedeva appunto una garanzia relativa alla tutela del suo tesoro finito sotto sequestro. A questo fine Vito Ciancimino si era attivato anche autonomamente grazie ai suoi contatti con i giudici delle misure di prevenzione e aveva ottenuto la nomina di un perito "amico", Di Miceli. "Il capitano De Donno, collaboratore di Mori - ha aggiunto - rassicurò mio padre dicendo che anche lui avrebbe cercato di incidere sul procedimento di sequestro".