SPARWASSER

Una sera alla Scala


 Per l’inizio della stagione 2020 la Scala ha proposto un titolo di repertorio, che significa teatro pieno come un uovo , biglietti sold out da mesi e lunghe filodrammatiche sin dall’ora di pranzo per prendere gli ultimi 140 posti; d’altronde se la Tosca è assieme alla Traviata e alla Carmen uno dei tre titoli più rappresentati di sempre un motivo ci sarà.E che un motivo esiste ce lo mostrano Riccardo Chailly e Davisd Livermore con il loro allestimento.Le Scene e la Regia sono molto belle, soprattutto i primi due atti. Fratello Livermore utilizza la tecnologia al servizio della messinscena e così può, quando Mario Cavaradossi ordina “dammi i colori” al Sagrestano,  far colorare il ritratto “dell’Attavanti” prima esposto in bianco e nero; soluzione un tantino parac, così come tutta la regia a dir la verità; ma se vuoi non affondare a un 7 dicembre scaligero, un po’ parac devi esserlo. In tale ottica va visto anche il finale I, col Te Deum in zeffirelliano stile.Colpisce l’apparizione all’atto II di un’altra Tosca dopo l’assassinio di Scarpia, la stessa altra Tosca che si rivedrà nel finale ultimo rimanere sospesa nell’area protesa verso la volta celeste sorretta da raggi luminosi che ricordano quelli, simboleggianti lo Spirito Santo, che si vedono ne “L’Annunciazione” di Filippino Lippi (ed estesi nel relativo all’allestimento) in mostra nel di fronte Palazzo Marino (vedi il parac..); la Tosca reale sinvece profonda come da copione giù da un Castel Sant’Angelo reinventato ed all’inizio del III atto rivestito di un drappo granata che faceva molto rovine del Filadelfia (Fratello Livermore), drappo che poi al momento dell’esecuzione di Mario (come il Palmieri) diventa nero. Tutto molto bello, costumi compresi. I quali devono essere in armonia con la scenografia, se no è come quando la cravatta sul vestito fa un pugno nell’occhio. Al teatro ci deve essere anche una estetica complessiva della rappresentazione non solo un significato (che peraltro in questo caso non è poi così difficile da trovare).Musicalmente, Il M° Chailly recupera la prima versione della Tosca e ci dimostra che Puccini sapeva ben il fatto suo quando operò i tagli alla partitura originaria dopo la prima al Costanzi di Roma (era il 14 gennaio del 1900: un anno dopo morirà Verdi). In compenso mi fa sempre specie pensare che Puccini fu indeciso sino all’ultimo se inserire l’aria del Vissi d’Arte, Ma pensa,Direzione invero un filino letargica ma con alcuni passaggi (per lo più modulazioni) davvero ben fatte e incantevoli (ne ho annotata una in particolare nel II atto, protagonisti i vituperati ottoni).Il mio ascolto in presa diretta ha confermato l’ottimo Scarpia di Salsi, che la mattina prima era a Venezia a cantare al concerto di Capodanno (pecunia non olet). Giustamente il più osannato della serata al termine della recita, unitamente al M° Chailly.Ma più che altro c’era da confrontare la Tosca della Netrebko, sentita attraverso sister TV il 7 dicembre, con quella della Hernàndez (la Netrebko oramai non replica più di due volte lo stesso spettacolo, anche se prima fa quattro mesi di prova). Ora senza stare qui a tirar fuori Valter Benjamin e Glenn Gould riguardo alla riproducibilità tecnica di un’opera d’arte premetterò che non è la stessa cosa ascoltare un soprano dal vivo piuttosto che via filo ma comunque un’impressione rimane e qualcosa si può sempre dire. La mia è che la Hernàndez ha cantato forse anche meglio della celebrata Annuska (che ho avuto la gran ventura di ascoltare in teatro in una strepitosa, apicale, interpretazione della Giovanna d’Arco verdiana solamente tre anni fa) ma difettando alquanto rispetto alla Eyvazova in espressività; il che se canti Gilda (del Rigoletto) non è un grosso problema; ma se canti Tosca è un grosso problema.E comunque dovremo farcene una ragione: la Netrebko è ancora la numero uno in circolazione, ma il suo timbro rispetto a tre anni fa si è alquanto imbrunito; ancora un paio d’anni e arriveranno le cantate con gli amici.Come sempre da brividi il coro (voci bianche incluse), cosa che per fortuna nostra alla Scala non fa neanche più notizia (grazie Bruno Casoni).