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« Formica estemporanea (ma...Buona Pasqua »

La Gazette

Post n°123 pubblicato il 10 Febbraio 2008 da Sparwasser

E’ raro ma qualche volta succede. No, non sto parlando dello squillo ricevuto al sedicesimo del primo tempo (pardon: al sedicesimo del I atto) sul radiomobile debitamente spento, immediatamente seguito da dedicata ammenda in forma scritta ("quante cose nate e morte in un momento" , commenterebbe Roxane ) , ma del Cyrano de Bergerac che ho ascoltato ieri in turno O alla Scala (cantava Placido Domingo, conduceva Patrick Fournillier, dirigeva Francesca Zambello, aveva composto Franco Alfano). Alfano, com’è noto, è stato autore italo francese appositamente dimenticato nella seconda metà del novecento, pagando egli la colpa di aver aderito in maniera si può dire pressochè completa per ideologia, cronologia e mai professata ricusazione al regime fascista; e qui bisognerebbe rispolverare la vecchia questione dell’individuo visto come uomo e visto come artista e la conseguente necessità di esprimere giudizi differenziati e non funzionali rispetto alle due variabili in questione (eh, il caso Wagner…); ma non è di questo che dobbiamo qui parlare; piuttosto del fatto, come dicevo inusuale, che un’opera risulti all’ascolto dal vivo in teatro più bella, suggestiva e seduttiva rispetto all’ascolto accaduto attraverso il supporto fonografico o digitale. Merito dell’opera in re ipsa o potenza dell’interpretazione e della direzione musicale? Quando si avverte in maniera così netta questa differenza, ed è esperienza già accaduta per un’altra opera molto più popolare quale la Lammermoor donizettiana, vado a propendere per la prima ipotesi, anche se ciò non toglie che ieri la direzione musicale sia stata all’altezza (unica menda l’ultimissimo tema finale, alla morte di Cyrano, staccato su tempo leggermente troppo lento, forse – anzi probabilmente – scelta del maestro concertatore). Fournillier dirige senza bacchetta e con le mani, ma con lo spartito davanti. Altra caratteristica di quest’opera del Maestro Alfano è la massiccia presenza di personaggi secondari, risultando in definitiva (o quasi) l’opera riconducibile alla prestazione canora dei soli Cyrano e Roxane (essendo veramente brevi, nell’economia dell’opera le parti dei vari De Guiche, Raguenau e così via nella scala sociale delle parti dell’opera) e, ma già molto meno, di Christian. Così che in definitiva ci troviamo, di fatto, a dover parlare della prestazione di quella leggenda vivente che è Placido Domingo e della Radvanosky.
Su Domingo,chapeaux. Un tenore che alla sua età riesce ancora a confezionare, seppur con alcuni accorgimenti del mestiere sia musicali che di scena, una parte assolutamente dignitosa e ben fatta, merita il nostro elogio. Non andremo oltre per essere sicuri di non fare paragoni con altri (anche più) celebrati tenori, peraltro passati a miglior vita, che renderebbero la nostra recensione inelegante.
Discorso diverso per la Roxane di Sondra Radvanosky. Che non ci è piaciuta: non perché abbia steccato, cantato male o non abbia avuto presenza scenica (anche se – attorialmente – ha sfigurato davanti a Domingo), ma perché – sono andato a leggere la locandina più di una volta – alla voce Roxane si riporta in corrispondenza Soprano e non Mezzosoprano. La Radvanosky ha timbro molto brunito, scuro, senza avere però l’estensione vocale della cantatrice greca, e pertanto non si capisce perché debba cantare un ruolo sopranile. Se poi il risultato finale sia stato amplificato sull’altare di quegli accorgimenti messi in atto per agevolare il vecchio e celebrato tenore questo non lo saprei dire – a istinto direi di no, ma non sono un tecnico- , sta di fatto, a conferma di quello che sto per dire che nell’ultimo atto (a proposito: quattro o cinque atti?) quando Roxane canta immediatamente dopo Soeur Marthe (che è prescritto come ruolo di mezzo soprano) la differenza tra le due voci è praticamente inesistente.
Della direzione abbiamo detto (e incidentalmente annotiamo e mettiamo nei nostri ricordi una indimenticabile "Oh! Paris fuit, nocturne et quasi nébuleux") già di suo eccelsa pagina musicale, mentre sottolineiamo con raro entusiasmo la grandissima prova del coro diretto da Bruno Casoni, ieri veramente strepitoso. Molto belle infine le scene e la regia: quando si dice un lavoro fatto bene, con gusto e con trimo (dal solco tracciato dall’aratro).

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