Azzurroblu

Fii che fréd!


Fii = espressione dialettale più propria del dialetto parmense.Intraducibile in italiano, corrisponde più o meno al termine “accidenti”.Nel linguaggio corrente si possono trovare anche le varianti “fichi”, “fisciòli” o “fisciòla” (pronunciando “sc” come “scala”).“Fii che frèd!”Era diventato il motto ricorrente di quell’anno in cui decidemmo di svernare sul Monte Amiata.La mattina ci svegliavamo con un dito di brina sopra alla tenda e le dolci colline senesi, invece di evocare sentori di sottobosco, legno aromatico, piccoli frutti, leggera vaniglia e confettura composita, non facevano che esibirci anonimi scenari spogli e ghiacciati.Perfino l’olio si era congelato nella bottiglia e, disperatamente, cercavamo di scalfire la superficie di una Nutella alquanto ibernata per cercare di ricavarne qualche scaglia di cioccolata.Si dormiva nel sacco a pelo con la giacca, il cappuccio, la cuffia e quello fu l’anno in cui vide la luce il mitico “calzamaglione”, un accessorio per veri supereroi del campeggio estremo: di giorno innocuo maglione del buon Peter Parker e, di notte, infilato al contrario, improbabile calzamaglia di altrettanti improbabili Spider-Man intirizziti.Perché sottoporsi a tali torture?Sicuramente per vanagloria e spirito d’avventura, per poter dire un giorno ai posteri: “Io c’ero e sono sopravvissuto!”Ma soprattutto per vivere appieno la magica atmosfera dell’abbazia di Sant’Antimo.Qui non si scherza!Un perfetto stile romanico ti mette alle strette: niente fronzoli, pochi essenziali ornamenti, solo nuda pietra capace di lasciarti atterrito come quando improvvisamente ti trovi di fronte all’imponente eternità dei monti.E all’interno il canto: gregoriano puro, fatto di melodia e silenzio, di voce di uomo in dialogo con la voce di Dio.E sacerdoti: canonici regolari, fedeli alla regola agostiniana, vocazioni nate in Francia nel pieno delle contestazioni del ’68. Tosti, come le pietre della loro chiesa.All’inizio, mentre ancora attonito cerchi di seguire la liturgia in latino, inevitabilmente ti chiedi: “Ma dove sono finito?!!”Poi pian piano il silenzio inizia a cullarti teneramente e tutta l’abbazia diviene un cuore pulsante in cui poter riversare pensieri, gioie, dolori e in cui sciogliere la mente dalle quotidiane catene.E mai dimenticherò quella notte in cui ad uno dei miei amici più cari fu data la possibilità di suonare l’antico organo in legno.In un buio caldo e vellutato, rischiarato dolcemente dal lume di qualche candela, le note rimbalzavano sulle pareti, sulle volte, sulle colonne di alabastro.Le lunghe canne soffiavano verso l’alto l’austera melodia settecentesca e, pur nella chiesa vuota, si aveva la netta sensazione di essere al cospetto di un Ascoltatore attento e discreto, che tutto abbracciava di muta presenza.Allora ti dimenticavi del freddo, del ghiaccio sulla tenda, dei se e dei ma, dei forse e dei tentennamenti, dei dubbi e delle incoerenze e d’un tratto ti trovavi sospeso sull’orlo dell’abisso della ragione senza più nulla temere.N.B. Nell'immagine: l'abbazia di Sant'Antimo - www.antimo.itVorrei ma non posso: www.goum.it