Oltre il Hudùd

Jodie


Jodie aprì la porta di casa. Un tenue raggio di sole le illuminò parte del viso, trasmettendole un senso di benessere, come una boccata d’aria dopo un’immersione. Respirò a pieni polmoni un’aria fresca che contrastava con il calore proveniente da quel raggio di sole, si avvolse ben bene nel suo giubbino ed uscì. Tirò la porta e si avviò, mentre un leggero vento le muoveva i capelli. Si sentiva forte, viva, e osservava con noncuranza gli sguardi attenti dei passanti. I grandi occhi azzurri trasmettevano una strana vitalità mista a malinconia, mentre in testa le scorreva una canzone ascoltata da qualche parte, coprendo i rumori del traffico. Arrivò sulla strada principale e si guardò attorno. La canzone copriva ogni rumore, e lei vedeva come in un film muto una vita passarle avanti, che si svolgeva lenta e tranquilla come sempre. I raggi del sole da quel lato di strada si riflettevano nelle lenti scure che usava per nascondere gli occhi, quando non voleva che nessuno le guardasse dentro per capire cosa pensasse. Iniziò a camminare senza meta, come trasportata dalla musica leggera che le faceva da sottofondo musicale a quello spettacolo. L’orologio in fondo alla strada segnava l’ora, ma lei non sembrava interessarsene. In quel tiepido momento di primo pomeriggio, di una prima giornata primaverile, solo la musica poteva accompagnarla. Vedeva senza guardare le persone che le camminavano avanti, disordinata processione di corpi che si sfioravano veloci, ognuno per la sua strada. Aveva il suo tempo, che non coincideva per nulla con quello degli altri, ma non le importava. Camminava sicura, inseguendo pensieri nascosti dalla luce del sole. Il cielo pulito le dava un senso di vuota tranquillità, colorato a tratti da strati alti di nuvole poco corpose, che non riuscivano a dominare il colore azzurro del cielo. Camminava, seguendo il suo ritmo, il suo cammino, il suo cuore. Era il momento in cui riusciva a svuotare la testa dai pensieri e non farsi domande, riusciva a non pensare, e vedeva avanti a se scorrere immagini come la pellicola di un film. La musica a volte diminuiva di intensità, e lei rallentava il passo, per poi accelerare quando la musica riprendeva vigore. Era cosi immersa nei suoi pensieri, che non si accorgeva di nulla. Poi, come una scintilla, si riscosse per guardarsi attorno. La musica si era fermata, d’istante, fermando quel viaggio. Si fermò, e lo vide di fronte. Era fermo,appoggiato ad un palo, che fumava. Gli occhiali da sole nascondevano i suoi occhi, ma si sentiva dentro come se riuscisse a leggere in quello specchio. Non riusciva a muoversi. Sentiva quello sguardo come il raggio di un proiettore, che potesse comandare i suoi movimenti. Cercò disperatamente di far ripartire la musica, invano. Lui continuava a guardarla, fermo, mentre nuvole di fumo si sprigionavano dalla sua bocca per librarsi nell’etere. Riprese a camminare, lentamente. Lui era ancora fermo, appoggiato al palo. La musica ripartì di sottofondo, ma lei non riusciva a sentirla. Era immersa in quegli occhi che non riusciva a vedere, persa in uno sguardo che poteva solo immaginare. Si accorse che si stava muovendo verso di lui, e non riusciva a fermarsi. Quando fu a meno di un palmo da lui, quando il suo odore di colonia le riempiva le narici, vide il suo sguardo perso nei suoi occhi, come fari immersi. Ci fu un istante, un attimo, uno sguardo lungo, e continuò. Lo superò, inconsapevole, le gambe più veloci dei pensieri a trasportarla. Riuscì a girarsi solo dopo un po’, ma lui non c’era. Non era più li. Scomparso nei meandri di quella città, vivo nel labirinto dei suoi pensieri. Era stato un attimo, velocissimo, in cui aveva saputo tutto di lui. E si accorse che piangeva.