la finestra

la scala


La scala scese ondeggiando e si stagliò nitida, nel suo contorno di nastri rossi, contro la roccia scura e striata del dirupo. Sul fondo un paesaggio indistinto, sovrastato da una nebbiolina leggera, come riva ai piedi di una cascata, avvolta dal pulviscolo dorato del frangersi dell'onda nel sole.Posai il piede sul primo gradino, lo sguardo fisso in alto, oltre il ciglio, al cenno di assenso dell'uomo dagli occhi a mandorla. Poi uno dopo l'altro, declinando la discesa, una sinfonia lenta che non chiedeva fine, ma si chiudeva concentrica su ogni tasto.Infine toccai terra e le mie mani lasciarono il rifugio sicuro del nastro rosso che legava assieme i pioli. Solo allora l'uomo dagli occhi a mandorla prese a scendere a sua volta lungo la stessa parete, legato con una fune fissata alla roccia da chiodi d'acciaio. Man mano che si calava, raccoglieva la scala, piegandola ordinatamente su se stessa.Giungemmo così dentro la nebbia dorata e vidi solo allora la presenza di un villaggio. Un insieme di costruzioni in legno, dove il dentro si mescolava al fuori, tra graticci e impagliati che lasciavano filtrare quella luminosità dalla consistenza quasi tattile. Il mio stupore era assoluto per quel mondo invisibile dall'alto, tanto inerme eppure imprendibile nel ribaltamento di ogni ottica militare. La leggerezza di ciò che è profondo.La mia guida, dal passo rapido e dal prezioso silenzio, mi condusse ad una sorta di spazio comune ricavato al centro del villaggio, coperto da un tetto che era riparo ma allo stesso tempo cornice al cielo lontano. Ci sedemmo. Mi chiedevo quale sarebbe stata l'ambrosia e in quali calici l'avremmo gustata. Tutto mi sembrava di una bellezza tanto imprevedibile da farmi scordare lo scopo del viaggio. Come fiore di loto inebriava la mia mente prima ancora che i miei occhi.Finchè la luce cambiò e nell'aria si delineò un arcobaleno