la finestra

Roma o il firmamento


Vi sono crete dalla natura proteiforme, che appena uscite dalle mani del disavveduto creatore, amalgamano le loro impurità in perfetta alchimia. Ma, raggiunta forma autonoma, si dilettano a dosare le proprie componenti, lasciando affiorare ora l'una ora l'altra delle molteplici facce, secondo le leggi di un bizzaro e casuale divenire. Tale natura, dall'apparenza ambigua, è in realtà sintesi perfetta di una totalità che contempla al suo interno, materna e feconda, gli opposti.Così non si dà medaglia senza recto e verso e difficilmente esiste cosa, circostanza o persona che possa essere univocamente e monoliticamente determinata.Uno dei periodi che più mi affascina nelle sue complesse volute e nelle sue chimeriche espressioni è il barocco. Roma è il palco privilegiato che vede avvicendarsi due avversi spiriti, opposti eppure complementari: Francesco Borromini e Gian Lorenzo Bernini. Il contrasto tra i due è leggendario e senza esclusione di colpi.C'è un libretto, dalla vivida copertina arancione, che racconta di una "Roma sospesa tra la luce e l'ombra, i ruderi e il cielo, gli inferi e l'aldilà". Sullo sfondo di questo scenario si contrappongono come un Giano bifronte le due figure, le impurità di quel 1600 che vide nella luce e nella sua negazione l'origine delle sue forme nate in quel limbo della ragione tra sogno e incubo."Sembra che l'anima barocca abbia avuto bisogno di queste due persone eccezionali per esprimere tutte le sue violenze e le sue contraddizioni: estroversa o introversa sino all'eccesso, come in questa architettura da lei ispirata, dove il concavo e il convesso sono l'asta e il filetto di una medesima calligrafia".(citazioni da Gérard Macé, Roma o il firmamento)