la finestra

L'uccello delle Upanishad


Ammiro lo scivolare chiaro e limpido di certe dissertazioni logiche. Mi piace seguirne il senso, il rigore del metodo, la sequenzialità di tesi, antitesi e sintesi. Persino i paradossi che spesso provocano la scossa di un accostamento inusuale.E pure se il piacere intellettuale è alto, cerco altro.Ciò che in me induce a scegliere e distinguere, quel motore che interiormente spinge e costruisce ciò che siamo, mi porta altrove. Alla ricerca di spunti di pensiero che si traducano in emozioni, lungo linee di confine tragiche e assolute come un freddo siberiano.Mi rapiscono solo le parole che creano immagini, che forgiano mondi. Allora mi accade, percorrendole, di dimenticare l'intorno e di immergermi in quello che si conforma come un viaggio totale. Solo una compresenza di scenari mi permette di cogliere prospettive nuove. Come se attraverso il paese delle meraviglie riuscissi a possedere un dettaglio in più del paese reale. Come fosse tracciato un percorso liminare lungo due baratri e solo questo affacciarsi facesse sentire vivi. Come si moltiplicassero i piani della realtà e la fantasia li rendesse paritetici: un ventaglio di possibilità aperte sul tavolo dinnanzi.La riemersione è straniamento, confusione. Una decompressione lenta e necessaria per ripristinare l'ordine delle cose nella "dimensione principale"."Dalla contemplazione del limite - di quel necessario perdersi, nascondersi, interrompersi della visione - la vita sembra nutrirsi, come l'uccello delle Upanishad che guarda il frutto senza mangiarlo."(C. Campo, Gli imperdonabili)