Astral Night Reverie

Decisioni (seconda parte)


A New York fui risucchiato dagli impegni lavorativi, da un mondo e una lingua nuova da gestire, da nuovi amici e colleghi. Francesca, dopo l'anno sabbatico in cui stavamo insieme, era riuscita ad entrare in una prestigiosa università di Londra, come aveva sempre sognato.All'inizio fu dura, complici la lontananza e il suo vivere in una città in cui avevamo dato inizio al nostro amore clandestino. Dentro, Francesca serbava tutto il suo dolore e la voglia di lottare. Infatti, ogni volta che la sentivo mi diceva, convinta, che finiti gli studi mi avrebbe raggiunto, che avremmo trovato un modo per amarci ugualmente, che i nostri genitori avrebbero capito.Piano piano però accettò la nostra separazione: ne ebbi la conferma quando mi disse che aveva conosciuto un ragazzo simpatico, John, un nuovo amico che la aiutava a distrarsi e con il quale, insieme ad altre persone, passava serate o giornate spensierate. Si erano conosciuti in biblioteca, entrambi appartenevano a due gruppi di studio che poi si erano uniti e avevano cominciato a studiare insieme, me li immaginavo, una decina di ragazzi di varie età che si aiutavano a vicenda nello studio e nella vita.New York mi teneva molto impegnato e sapere che Francesca si stava abituando all'idea della lontananza mi rendeva più tranquillo, soffrivo meno anche io.Con quelle vite tanto diverse, separati dall'oceano e dal fuso orario, ci perdemmo di vista, ci sentimmo sempre più di rado e anche tornare in Italia, nello stesso periodo, fu difficile.***Poi, una sera come tante, Francesca mi telefonò.Dopo i convenevoli mi disse tutto d'un fiato "Ale... John mi ha chiesto se venerdì sera voglio andare con lui al pub, suonano i suoi amici lì... Ecco... non so se devo andarci...""Come mai? Sei andata a vederli altre volte, no? Credevo ti piacesse la loro musica" le dissi canzonatorio, a voler scherzare con lei."Non è per la musica, anzi, sono bravissimi... E' che gli altri hanno degli impegni, non possono venire..."Non capivo cosa volesse dirmi "Quindi?""Il gruppo sarà sul palco... Io e John da soli..."Per un attimo mi tremò il cuore, immaginavo che John fosse ammaliato dalla bellezza fisica e caratteriale di mia sorella, erano due amici molto in sintonia. Feci due più due: John le aveva chiesto un appuntamento, con gli amici sul palco era come se fossero da soli. Respirai profondamente "Francesca...""Ale...""Vuoi uscire con John?""Non lo so...""O vuoi sapere se sono d'accordo che ci esci?" le dissi un po' triste, rendendomi conto all'improvviso che, fino a quel momento, avevo solo finto di essere forte, ma ancora speravo anche io nella possibilità del nostro amore. Quello, fu come uno schiaffo."Voglio sapere cosa siamo noi""Bhè, studiate insieme, siete amici, o no? Che razza di domanda mi fai?" cercai di sdrammatizzare e, nel contempo, di indagare se erano più che amici."Non dicevo io e John... ma io e te... Ale, cosa siamo?" mi disse, alterandosi un po', pretendeva una risposta."Francesca, ascolta, ne abbiamo parlato tante volte... non possiamo...""Ale... lo so che non possiamo stare insieme... ma io ti amo... e se avessi la speranza di un futuro con te non penserei che forse devo lasciarmi andare, provare a dimenticare ciò che siamo stati e magari frequentare qualche altro ragazzo... Tu mi ami?"Mi rendevo conto che aveva voglia di essere felice e spensierata, semplicemente una ventenne come le altre. Stando quotidianamente a contatto con John si era resa conto che forse la tattica chiodo-scaccia-chiodo poteva funzionare, soprattutto perché per John davvero provava affetto e stima sinceri, si capivano, non era il primo che capitava. Ma aveva, dentro di se, ancora una flebile speranza di felicità con me "Non posso..."Assunse un tono imperioso "Ale, sì o no? Mi ami?""No" fu la risposta secca che le diedi, ancora un'altra bugia di cui forse, questa volta, non si accorse. Me la immaginai crollare su una sedia, fissare il vuoto, cercare di riprendersi, trovare le parole che le erano sparite dalla gola. Sapevo di averla distrutta in un attimo, così come mi ero autodistrutto. Avevo eretto un muro tra noi, finto ma insuperabile, per il nostro bene."Ok... quindi è giunta davvero l'ora che io volti pagina... Ale, lo accetto... Ciao, ci sentiamo" disse dignitosamente, più a se stessa che a me, con la voce leggermente incrinata, tratteneva le lacrime, la conoscevo troppo bene per non accorgermene. Ma era semplicemente stanca. Stanca di pregarmi, stanca di soffrire, stanca di aspettarmi.Quello era un momento cruciale, tentennai, volevo rimangiarmi tutto per non perderla "Francesca...""Dimmi" pronunciò quella piccola parola con una fermezza, una freddezza e un distacco che mi colpì come un'ago mortale nel cuore.Avrei voluto dirle che non era vero, che l'amavo ancora, che la desideravo, che pur di stare con lei avrei voluto mollare tutto per starle più vicino, invece le dissi "Divertiti venerdì, sono fiero di te" come uno stupido che non sa cosa dire. Sei parole messe in croce per riempire un silenzio.Mi rispose con un velocissimo "Grazie" e mise fine alla nostra telefonata senza darmi il tempo di salutarla."Sii felice" mormorai al vuoto.Com'era ovvio, Francesca e John si misero insieme pochi mesi dopo quella telefonata: ogni volta che la chiamavo mi diceva che si stava preparando per uscire o studiare con lui. Lui la portava al cinema, al ristorante, al museo, al parco... Tutti luoghi in cui avrei voluto portarla per vivere come una coppia qualsiasi. Ovviamente ero geloso, ci stavo male, ma, al tempo stesso, ero contento per lei, per la sua rinascita, per la sua ritrovata felicità. Io me la sarei cavata, anche se non sapevo come.