STURM UND DRANG

Post N° 6


Rimedi omeopatici... Solo acqua fresca? Non voglio con questo post ferire la sensibilità scientifica di nessuno. Neppure mi sognerei di difendere a spada tratta una branca della medicina che non conosco bene e che comunque, per vari motivi non sempre dipendenti dalle sue caratteristiche, non gode ancora dell'avvallo scientifico, derivante da studi rigorosamente condotti secondo il "sacro metodo sperimentale".Voglio invece presentarvi una notizia che coloro che non sostengono la validità del metodo omeopatico non vi verranno certamente a dire. Eppure è vera, documentata scientificamente e senz'altro sorprendente, seppur non recentissima (la data di pubblicazione della ricerca è infatti il 2000). Ma veniamo al sodo.Come molti di voi sapranno, l'attacco principale che fanno i "seguaci" della medicina tradizionale, detta "allopatica", a quella omeopatica, è la sostanziale inesistenza dei principi attivi utilizzati. Secondo il metodo delle diluizioni di Hahnemann, infatti, la tintura madre di base, contenente il principio attivo con cui viene realizzato il rimedio, viene immersa in alcool a gradazione 70 (di solito in rapporto di 99:1) e sottoposta a successive diluizioni e dinamizzazioni (scuotimenti della miscela). Raggiunta la concentrazione voluta, dopo 6-7 o anche 30 diluizioni e dinamizzazioni consecutive, è evidente che della sostanza base, secondo il numero di Avogadro (il numero di particelle necessarie a formare 1 g di sostanza), non sono più presdenti molecole. Come può dunque questa soluzione sviluppare un effetto terapeutico? Per provare a dare un fondamento scientifico su cui condurre eventuali studi successivi, il prof. Vittorio Elia, facente parte del Dipartimento di Chimica dell'Università Federico II di Napoli, pubblica nel 2000 i risultati di una ricerca, dal titolo "Un metodo microcalorimetrico per la caratterizzazione di soluzioni estremamente diluite in medicina omeopatica", nella quale testa la reazione di diversi campioni di miscele, contenenti medicinali omeopatici oppure sola acqua bidistillata (ma trattate in entrambi i casi omeopaticamente), con acidi e basi.  Dopo tre anni e circa 2000 dati sperimentali raccolti, arriva alla conclusione che le soluzioni omeopatiche non sono "acqua fresca". In tutti i casi, infatti, il calore prodotto dalla reazione della soluzione omeopatica di acqua bidistillata con i reagenti (acido cloridrico e idrossido di sodio) era diverso da quello prodotto dal rimedio omeopatico. Eppure, secondo il numero di avogadro, le due composizioni dovrebbero essere uguali, cioè entrambe non dovrebbero contenere nè acqua bidistillata nè rimedio omeopatico. Com'è possibile?Secondo alcuni, le diluizioni e le successive succussioni lascerebbero delle modificazioni conformazionali nelle molecole del solvente, alterandone la struttura molecolare. Una specie di traccia del loro passaggio, in parole povere, come uno che ha una sequela permanente dopo un incidente o una malattia: l'agente causale non c'è più, ma ha lasciato comunque il segno.Se questo può avere una rivelanza terapeutica è tutto da dimostrare, ma viste le premesse dovrebbero essere incentivati e finanziati degli studi seri volti a risolvere questi enigmi, per farci capire qualcosa più e togliere all'omeopatia, in caso positivo, quella brutta nomea di "stregoneria" che spesso le si infligge.Ai posteri l'ardua sentenza.Per saperne di più: Valter Masci, Omeopatia. Tradizione e attualità - IV ed., tecniche nuove.