stefylastrega

L'eredità di 1984


Togliere valore all’individualità, catturare il pensiero degli uomini e catalizzarne le emozioni. Sono gli elementi di una formula quanto mai attuale nel panorama socio-politico. E George Orwell l’aveva predetto in “1984”, uno dei capolavori letterari del Novecento. Sono almeno tre i motivi per cui ha senso “rivisitare” oggi l’opera dello scrittore inglese. In primis perché sono passati sessant’anni esatti da quando Orwell ha fissato nero su bianco il suo libro, iniziato appunto (lo si desume invertendo le ultime due cifre del titolo) nel 1948. In secondo luogo perché il George Orwell Prize for Political Writing, il più prestigioso premio letterario inglese dedicato alla scrittura politica, ha messo on line i diari dell’autore, che in origine, naturalmente, erano stati scritti a mano. Ciccando sul sito www.orwelldiaries.wordpress.com ci catapultiamo in una sorta di blog a ritroso curato idealmente da Orwell in persona che, giorno dopo giorno, aggiunge i suoi post con tanto di differenti tags. L’iniziativa ha preso il via lo scorso 9 agosto, in corrispondenza con la medesima data del 1938, nella quale l’autore ha cominciato la stesura dei suoi diari. Il blog di Orwell rappresenta a settant’anni di distanza uno spaccato sui grandi temi della storia, oltre che sulle piccole vicende quotidiane dell’autore. Tanti anche i commenti lasciati ogni giorno dai visitatori del blog. L’ultima, e anche la più significativa, ragione che ci indurre a parlare oggi di “1984” è la sua sconcertante lucidità profetica, il suo potersi porre a “modello” dello scenario politico dei nostri giorni. Il romanzo nasce come specchio socio-culturale di una società che incarna le piaghe dell’immediato dopoguerra e che, nel ricostruire il suo futuro, soffre lo sconforto di un passato difficilmente cancellabile. Orwell, valicando i confini storico-geografici, immagina uno scenario devastante nel quale cioè l’uomo ha smesso completamente di pensare. E’ il totalitarismo, impersonato dalla figura del Grande Fratello, l’origine del male. Alla sua base un gigantesco apparato umano e burocratico finalizzato a dar voce all’unica logica possibile: quella del potere. Il Grande Fratello annulla le facoltà legate all’individuo, espelle l’uomo dal flusso della storia e lo china indebitamente al suo servizio. Non tutti se ne avvedono o quanto meno non tutti hanno la forza di accennare una reazione. Il processo a cui assistiamo nei nostri giorni è di natura inversa, ma il risultato non è dissimile. La crisi delle coscienze, avvallata dall’allontanarsi dei valori della cultura, è il punto di partenza (anziché l’approdo) del proliferare dei nuovi giochi di potere, capaci di insinuarsi con lo stesso dirompente effetto illustrato in “1984”. Ecco perchè il modello disegnato da Orwell risulta tanto adeguato a fotografare anche il nostro presente. Ed ecco quindi perchè celebrare i sessant’anni di questo libro vuol dire, ahinoi, constatarne ancora una volta la sua forza oggi. Il Grande Fratello di Orwell trae linfa dal sapersi imporre attraverso un estenuante lavorio delle menti. Il protagonista del romanzo, Winston Smith, è infatti una delle tante vittime di un sistema votato all’incondizionata affermazione del Socing, il partito dominante. Soddisfare la sete di potere è fine che giustifica ogni mezzo. Da qui la nascita del cosidetto “Bipensiero”, vale a dire una metodologia di controllo della realtà che, ammettendo una logica, convalida nello stesso tempo il suo esatto contrario, giocando quindi su un indomito concatenarsi di paradossi. La morale viene annullata nell’atto stesso in cui la si rivendica. L’obiettivo è quello di manipolare diabolicamente il passato e gettare le basi di un futuro impostato sull’immutabilità delle gerarchie sociali. Il Grande Fratello insomma rimarrà sempre in alto e i prolet, masse inermi e inoffensive, inevitabilmente in basso. Oscurare, cancellare, omettere, o addirittura ritoccare quanto è avvenuto ieri vuol dire privare di ogni significato il culto della memoria e soprattutto garantire un domani che viaggi sugli stessi binari dell’oggi. Ma l’opera di formazione, o per meglio dire contaminazione, delle menti non sarebbe completa senza l’apporto di un altro strumento di primaria importanza nella missione del Grande Fratello: la “Neolingua”. Si tratta del linguaggio ufficiale del partito la cui caratteristica primaria è riconducibile all’assenza di sfumature. La “Neolingua” prevede infatti la progressiva riduzione del numero di parole. Il contrario di buono diventa semplicemente “sbuono”, mentre per esprimere il concetto di splendido basterà dire “plusbuono”. Cosa ne deriva? Un uomo “morto” che non possiede più la capacità di elaborare un pensiero, che è inibito dall’instaurare rapporti spontanei con i propri simili e che, alienato, si muove sulla scacchiera del mondo come svilita pedina del potere. Notissime anche le massime di “1984”: “La Guerra è Pace”, “La Libertà è Schiavitù” e “L’ignoranza è Forza” sono autentiche perle del progressivo trionfo dell’irragionevole, terreno sul quale si irradia l’aspra denuncia di Orwell. L’uomo non ha più a sua disposizione grandi baluardi se non quello, l’unico, di barricarsi direttamente nel proprio sentire, in quella forza incondizionata che nemmeno la volontà propria o altrui può deviare. Ma il pericolo è sempre imminente: il presunto amico si rivela complice del sistema e anche l’amore viene inesorabilmente rinnegato di fronte alla violenta procedura che porta alla rieducazione e alla totale conversione al partito.