sogni nel cassetto

IL CLEBBE CAP.1


  Sono circa le due di notte e siamo accucciati come levrieri ansimanti dietro le casse di legno ammonticchiate lungo il pontile a formare file disuguali, in attesa di essere caricate sui camion. Da quello ove siamo nascosti noi vien fuori un invitante profumo. – aho, quasi, quasi mo apro sta cassa, senti che odore d’ananas!  esclama Pino, er secco, per gli amici.  Gli mollo una gomitata al fianco:- voi facce scoprì nevvero? Guarda la, c’è qualcuno che si avvicina, e mo che famo?  chiedo sgomento a nessuno in particolare. – tranquilli. – afferma sicuro Stecca – è quello che aspettavamo. - chi il contrabbandiere? interrogo ansimando per la tensione che sale lungo i visceri. L’uomo intanto si è avvicinato,  vestito con il cappotto nero, lacero e dal colletto bisunto, rialzato sulla nuca rasata a zero, il pancione da birra sotto l’ampie falde, le mani in tasca, indossa scarpe da marinaio sdrucide. – spassiba tovarish- dice in una lingua che deve essere russo. – spassiba a te Josif – dice stecca. – hai portato la vodka?- continua a chiedergli impassibile il nostro amico. Il russo fa il gesto universale dei soldi, con le dita della grossa mano destra. I soldi li ho io, al sicuro in una tasca cucita da mia sorella sulla maglietta interna. Due milioni di lire. Ne tiro fuori una parte gia in precedenza preparata e glie li faccio vedere. Sempre con la mano ci fa segno di seguirlo lungo il molo. Apriamo delle bottiglie a caso, dalle casse ordinate una sull’altra. Sembra buona. Ci guardiamo intorno nella notte, finalmente due fari si avvicinano, si tratta del nostro autista. Carichiamo  in fretta le casse nel furgone Wolkswagen e fuggiamo lasciando Josif a contarsi soddisfatto il danaro nella notte. Il secco esclama tutto contento: - a spadi! Quanto pensi che ci frutteranno?- mi liscio i baffi se cosi posso dire, secondo i miei calcoli due milioni a testa. certo è un bel traguardo, mio padre guadagna a mala pena duecentomila al mese. Ci tocca sgobbare tutto il giorno, la vodka va a ruba nelle bische e nei locali notturni della circonvallazione casilino/prenestina. La sera sul tardi non ci resta neanche una bottiglia da scolare tra di noi. Poco male, abbiamo rimediato le tasche piene di bigliettoni fruscianti. Compriamo a due e rivendiamo a sei.   i gestori dei locali comprano a sei e rivendono a sessanta volte tanto.  Coi primi due bicchierini si  pagano la bottiglia da un litro e non tre quarti come quello schifo del monopolio. Si l’abbiamo studiata davvero bene. Nessuno immagina un traffico d’alcool nei bassifondi di periferia con tutta la polvere che circola, alternata a LSD e oppio; per non parlare  della marijuana  che viaggia a sacchi da mezzo quintale sotto il naso dei madama che neanche immaginano l’esistenza di tanta porcheria.- a regà- esclama euforico il secco:- se dovemo procurà un camioncino cor telo. – interviene sognante anche stecca; l’asso del bigliardo: - sicuro, così potemo amplià er giro.non mi sento affatto tranquillo e non ne faccio mistero: - cercamo de nun esagerà adesso! Due milioni a settimana vanno più che bene. C’avemo sti clienti che so fidati, c’hanno visti cresce, e stanno ar gioco. er secco se gratta la testa pensieroso   me sa che c’hai ragione, io nu me la sento de da uscì fori borgata. Già è un rischio annà e venì da Fiumicino cor Bulli; pensa in camion.- a stecca non rimane che capitolare:- vabbè, famo come dite voi due cacasotto. Ma nu finisce così però eh! - e come voi finì  stecca, ar gabbio forse? se infuria davvero – ma quale gabbio! E  famme er piacere, mica c’è er coprifuoco. concludo quella inutile discussione: - si vabbè, ma che je racconti alla pula se te trova  carico de bottiglie senza er marchio del monopolio e senza bolla d’accompagno? Ar gabbio finisci stecchetto bello, e mo piantala. - Sono il capo indiscusso della banda, e picchio duro quando serve. Spesso a sprangate co la catena der Suzuki  cinquecento che porto allucchettata in vita, a doppio giro, sotto er chiodo zippato due dita sotto l’ombelico. Anche i miei compagni sono armati bene, uno addirittura tiene nello stivale una Berta sei e trentacinque; io oltre la catena porto un bel siciliano a scatto taglia venti. Stecca  invece s’arrangia coi bastoni cinesi, infilati dietro la schiena, è da sempre fissato col cung fu e non si perde neanche un urlo di Chen. Non sembra ma facciamo molta palestra, a modo nostro s’intende, riusciamo a sopportare una badilata nello stomaco, e ci alleniamo a suon di pugni e sberle in faccia che fanno davvero male.   Ma quando si tratta di darle, non ci batte nessuno e vi assicuro che capita spesso nel nostro quartiere. Portiamo i capelli rasati e questo ci crea qualche problema coi rossi delle zone popolari ma non siamo fascisti, e neanche porci kartoffel come qualcuno ci chiama erroneamente; allora siamo costretti a spiegarci con le dovute maniere e la cosa non viene molto apprezzata. Io in modo particolare vado fiero della svastica che porto cucita alle spalle, sul giubbotto. In realtà la politica non ci interessa, noi vogliamo solo spazio, rispetto. Per il resto ci facciamo i fatti nostri. Che glie ne deve fregare ai rossi se a noi piace la svastica? Non abbiamo mica ucciso nessuno. Invece no, arrivano come dei tanti corsari coi loro capelli lunghi, i fazzoletti attorno al collo, le magliette rosse col volto di quel fallito sudamericano che si è sparato da solo nel campo di miglio e vogliono darci una lezione. Dio quanto fa male la mia catena quando colpisce di taglio, dura più d’una spranga di ferro. A volte ne troviamo qualcuno svelto, ma nun c’è trippa pè gatti. Loro non passano due ore al giorno ad allenarsi come noi, e cadono subito sotto i nostri colpi.  L’urtima vorta in tre ne abbiamo stesi nove, armati tutti di catena che er più delle vorte se davano in faccia da soli. Mannaggia a me mannaggia; abito in una bicocca da paura, proprio vicino na marana(tipo di ruscello che funge da scolo fognario a cielo aperto che ancora oggi attraversa molte campagne romane) de quelle toste, mi padre è fissato cò la pesca e mangiamo sempre ruelle(ruelle, tipo di pesce che assieme alle arborelle e le anguille abita le marane) merdose, sia fritte che infarinate. Tant’è che l’anrtra sera dopo l’ennesima litigata ho preso la decisione d’andar via di casa. Soprattutto dopo che m’ha gettato e quattro cianfrusaglie mia pè strada urlandome dietro: - morto de fame si, ma disonesto no. Sparisci de qua e nun te fa vede più in casa mia!-  Che tipo er mi padre, ha preso d’aceto vedendo li sordi mia. E io fregnone glie li volevo pure mprestà! Pe compra na cucina nova alla povera mamma  che se deve sdrumà l’ossa a cucinà sur foco drento ar camino.