1,nessuno&centomila

Ficozzo


Provo a distinguere il lago tra le gocce di pioggia sul vetro. E’ già aprile, chi l’avrebbe detto. Passata la Befana, passata la Pasqua, volati via i giorni. I mesi hanno già creato e disfatto un’infinità di equilibri, di calibrature nei rapporti, ci si avvicina e ci si allontana con facilità perché in fondo nessuno ha bisogno di nessuno. Almeno è questo quello che sembra.Cammino, zoppicando, per la mia strada cercando di indovinare gli incroci, scrivo frasi sconnesse per la tesi, l’italiano è incerto. Proprio io. Proprio io che in fondo avrei sempre voluto fare la scrittrice. Vivere di parole, lasciarsi riempire i polmoni e lo stomaco da piccoli particolari e colori, da odori e stralci di sensazioni. Forse ho poca immaginazione, la mia fantasia è troppo povera per mantenermi. Tiro giù il finestrino e fumo un’altra sigaretta, è uno di quei periodi in cui praticamente vivo in macchina: metto tutto nello zaino dell’invicta pieno di vecchie scrittee fuggo al lago. Mi perdo e mi ritrovo tra l’azzurro e il verde. Certe volte spengo lo stereo e ascolto le onde andare e venire che non c’è musica  più duratura.Qui ci sono quei rumori che in paese e in città non puoi sentire: le foglie che fanno rumore strusciando tra loro per il vento,l’uccellino che si posa su un albero e spezza un piccolo rametto, il rumore di quel rametto che cade a terra e vado avanti così all’infinito come le onde.Ogni tanto si alza un po’ di nebbia, le montagne spariscono e sembra quasi di essere al mare. Ma l’illusione dura poco. Non ho molto da raccontare e ormai nemmeno tanto da ricordare. I ricordi che avevo si stanno scolorendo col tempo e forse è un bene, anche se quando B. mi ha parlato l’altra mattina d’improvviso sono tornati tutti freschi e vividi. Ho avuto paura. Paura che sarebbe tornato, paura di non saperla gestire, di non essere abbastanza forte. So che non sarei stata in grado di dirgli no, che alla fine mi sarei arresa senza nemmeno lottare tanto per lui non ho difese.So che sarebbe ricominciato tutto da capo: le attese, i vuoti, le piene improvvise, i picchi e gli scivoloni, so che mi sarei trovata di nuovo aggrappata a un fragile ramo su un precipizio. Così, quando ho visto la sua macchina parcheggiata sotto casa della ragazza, ho sorriso contenta. Mi son trovata a fare il tifo per il nemico. Strani scherzi che fa il destino.Però, per un paio di giorni, mi son sentita di nuovo viva,ho sentito il sangue fluidificarsi e scorrere scorrere scorrere e i pensieri viaggiare e immaginare. A parte la batosta, lui è sempre stato la mia musa. Penso a lui e le frasi, le metafore, i paragoni, le immagini mentali prendono forma, si susseguono, diventano storie, diventano sogni. Ma lì rimangono, non saranno mai niente di più concreto che idee. Così quelle idee le ho parcheggiate vicino alla sua macchina azzurra. Bisogna andare avanti. So che dentro mi rimarrà sempre una parte B., ma in questi 4 anni ho imparato a conviverci. Certe porte devono essere tenute chiuse, alla fine ci si abitua e non si fa tanta fatica a buttar via la chiave. Il problema è che, in un modo o nell’altro, la si ritrova sempre. E’ come un boomerang. Ma hai preso male le misure nel lanciarlo e t’arriva dritto in fronte. Pazienza. Un ficozzo non è grave, c’è di peggio.