STORIE DI VITA

LA STORIA DELL'ESTATE


Sabbia bagnata, cenere di sigaretta, lacrime versate... questo rimane di me: cicche spente dentro il portacenere. Quanto ti amavo, dentro le mie notti insonni, ed ora mi sento fantasma di ciò che ero. Ed ero tante cose con te, soprattutto ero felice di esistere, di vivere, che carica che mi davi. Non credo più nell´amore, non credo più negli amici... nella vita ed il cuore è solo un segnale doloroso della mia esistenza. Vorrei finirla, vorrei... morire.Il silenzio della notte esalta ancora di più il mio furore, verrei ora sotto casa a vegliare, a capire se c´è un altro con te. Sono follemente geloso: prendo il cellulare, metto la chiamata privata e faccio partire il numero: nessun suono, hai anche cambiato scheda. Credo d´aver perso l´ultimo briciolo di dignità. Alcune cose non dovrei farle, non dovrei seguirti, osservarti di nascosto, ma io son folle e nulla posso fare per guarire dalla mia follia. Ti odio, in fondo ti odio con tutto me stesso perché non posso più fare l´amore con te, perché non posso più sentirti, guardarti.Sono le tre, notte profonda, nera ed inquieta, mi vesto velocemente e prima di uscire mi affaccio allo specchio un attimo: la mia barba incolta, i miei capelli senza verso, i miei occhi stanchi dicono molto di me. Ma non importa. Sono dentro l´auto, rullo il motore e accelero: e la strada si fa una striscia sottile tra le luci. Due luci rosse di fronte a me, una macchina mi precede, senza mettere la freccia sorpasso. Insiste lo stronzo, mi si affianca e non mi fa passare. Do fondo al gas, di più... adesso andrò, lo distacco. Nulla da fare regge la corsa e mi si affianca di nuovo, appena in tempo per vedere una folta chioma di capelli neri: è una donna. Mi guarda e quasi con aria di scherno mi sorride, dà un altro colpo all´acceleratore e va via. Di nuovo solo, sulla strada... decelerò. Rallentando accendo la radio che manda calde note dentro l´abitacolo. La città è deserta come un cane randagio, ma c´è un locale ancora aperto. Poche macchine, poca gente, ma è ciò che voglio. Entro. Luci soffuse qualche tavolo, mi siedo in fondo. Da un po´ di tempo cerco sempre i posti all´ombra, mi piace passare inosservato. Passando tra i tavoli mi sento scrutare, mi giro di scatto: capelli lisci e neri, occhioni che turbano e di nuovo quel sorriso da beffa. Eccola di nuovo la donna che mi ha sorpassato. Mi verrebbe da dire: ma che brava, hai vinto un premio. Ma non parlo, mi sorride invitante, ma io non mi sento invitato e continuo a camminare. "E bravo il mio orso" dice beffarda. "Adesso hai anche paura di una povera donnina tutta sola?". Che antipatica, penso. Vorrei stare da solo, ma vado verso di lei. Vorrei non averla sentita, ma vado verso di lei. Vorrei stare da solo e mi trovo seduto di fronte a lei. "Cosa c´è?" dico "Ti piacciono gli orsi malinconici?". Di nuovo quel sorriso poi aggiunge: "Chissà, magari mi fanno tenerezza". Rimanemmo lì, fino all´alba. Parlò molto, io pochissimo, mi guardò molto e molte volte sorrise. Poi, d´un tratto, mi prese per mano, stava per sorgere il sole e di corsa andammo fuori: guardammo l´alba, io guardai soprattutto i suoi occhi emozionati che trepidavano per l´evento e mi diceva: "Vedi? Sembra una cosa stupida, eppure, ora, in questo momento una cosa così mi fa sentire viva". Quel giorno ricominciai a vivere.Grazie ancora per quella notte Giulien.