Leggende di Roma

I giochi di Testaccio ed il monte dei cocci


Oggi è una delle zone più esclusive della capitale. Le sue origini però sono assai umili. Stiamo parlando del quartiere Testaccio che deve il proprio nome all’accumulo di testae, ovvero i frammenti, volgarmente detti cocci, delle anfore di terracotta . Tali anfore venivano scaricate dalle imbarcazioni approdate nell’insenatura del Tevere per essere depositate nelle horrea, cioè i magazzini della zona. Purtroppo, durante il trasporto a terra, alcune casualmente si rompevano sovrapponendo cocci su cocci che, nel corso degli anni, hanno generato una collina artificiale alta ben 35 metri con una circonferenza di 850 metri, nota anche come il Monte dei cocci e dei giochi. Il toponimo giochi deriva invece dal suo passato ludico del quartiere Testaccio. Dal Medioevo fino alla nascita del Rione, infatti, i romani l’avevano trasformata in un campo di giochi. In particolare c’era un gioco, detto il “Gioco de Testaccio” che più entusiasmava il popolo. Era una specie di torneo caratterizzato da palii, corse e corride con lotte tra tori e uomini e tra tori e cani. A contorno non mancavano ovviamente cortei in maschera con lanci di arance e confetti che animavano il periodo carnevalesco. Non vi erano solo manifestazioni ludiche. Nel corso della Settimana Santa andava in scena il “Gioco della Passione”, una processione itinerante dei popolani in costume che recitavano dialoghi improvvisati. A ricordo di tale evento, proprio in cima al monte dei cocci, venne posta una croce ancora oggi esistente. Molti, nel corso dei secoli, i giochi “testaccini” che hanno visto protagonisti i romani. Tra questi ricordiamo la “ruzzica” (meglio nota come ruzzola) che consisteva nel lancio di una pesante ruota di legno a mano libera verso la cima del monte. Vinceva ovviamente chi riusciva a mandarla più lontana. Più caratteristica invece era la gara degli stornelli a braccio, una sfida tra improvvisati menestrelli che si alternavano nell’invenzione di stornelli dedicati alla bellezza della giornata o della donna, apostrofata simpaticamente come la “bellona”. Immortalato nei versi di Gioacchino Belli l’invito di un popolano a una ballerina di Ponte di Nona: Eh vviè, ppasciocca, ar prato de Testaccio;viè, si tte schifi de bballà su cquello,la sera all’ostaria der Gallinaccio.Perch’io m’impeggneria puro l’uscello,pe bballà ‘nziem’a ttè, ddoppo er carraccio, o ‘na lavannarina o un zartarello.(Nella foto il gioco della ruzzola)