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...la calpesti, ti infanga, ti deride, ti fa risalire...la devi solo sentire..buona strada a tutti!.

 

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Un pò di ristoro...una chiacchiarata tra amici, gettare le armi, toccarsi un pò, dimenticare, guardare al presente, commuoversi, arrossire, lasciarsi andare...amare!immagine
 

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Stop!!! Qui si ferma per un pò il vostro cammino...ogni tanto si deve farlo...allora quale migliore occasione per scambiare i bagagli del viaggio?

Il casellante è impaziente di ascoltare cosa i viaggiatori hanno da raccontare.

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Post N° 15

Post n°15 pubblicato il 13 Dicembre 2007 da miomente
Foto di miomente

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Post N° 14

Post n°14 pubblicato il 06 Maggio 2007 da miomente
 

Breve storia del Buddhismoimmagine

 Il Buddha, il cui nome era Siddharta Gautama, visse nell'India del Nord nel VI sec. a.C. Il Buddha nacque, durante il viaggio che doveva portare la regina Maya, moglie del capo del clan degli Sakya, il nobile guerriero Suddhodana, a partorire il primo figlio nella casa paterna, secondo la tradizione del tempo. Ma la tradizione vuole che la giovane non raggiungesse mai la casa e partorisse in un boschetto, mettendo al mondo colui che diventerà il Buddha. Prima di intraprendere la sua ricerca spirituale, il Buddha viveva nell'agio presso il palazzo del padre, seguendo l'educazione necessaria a divenire, un giorno, re di una regione che corrisponde all'incirca all'attuale Nepal. Poco prima di compiere trent'anni il principe Siddharta incontrò delle persone che stavano vivendo l'esperienza della malattia, della vecchiaia e della morte, rimanendone molto impressionato e turbato. Allo stesso modo rimase profondamente ammirato dalla serenità mostrata da un saggio eremita. Maturando tali esperienze, il principe Siddharta realizzò la precarietà e la temporaneità del suo stato di agio ed abbandonò la sua casa e la sua famiglia, in cerca di una soluzione definitiva alle grandi sofferenze del mondo. Intraprese in tale ricerca diverse pratiche spirituali ed incontrò molti maestri, finché, insoddisfatto di quanto sperimentato, ricercò la sua via: una via di mezzo tra l’estremo ascetismo e una vita legata ai piaceri dei sensi. Fu come risultato di questa ricerca che una sera, all'età di trentacinque anni, meditando sotto un albero, poi conosciuto come l’albero della Bodhi o del Risveglio presso Bodhgaya (nell'attuale regione del Bihar, in India), il principe Siddharta raggiunse lo stato dell'Illuminazione, lo stato di completa e profonda saggezza, al di là di ogni sofferenza. Da quel giorno fu noto come il Buddha, il Risvegliato.
Dopo l'Illuminazione il Buddha diede il suo primo insegnamento a Sarnath, noto come "Le Quattro Nobili Verità" che indicano la via per liberarsi dallo stato di sofferenza esistenziale propria dell’uomo, senza il bisogno di intermediari sacerdotali come i brahmani, ma attraverso un lavoro su se stessi. Da quel momento passò la sua vita ad insegnare come raggiungere il suo stato di Illuminato ad innumerevoli persone. Fondò una comunità monastica a cui poterono accedere gli uomini e successivamente anche le donne, dato estremamente rivoluzionario nella società indiana dell’epoca, che tradizionalmente non consentiva a queste ultime di uscire dalla tutela e dal controllo diretto della famiglia patriarcale. Il Buddha morì ad ottanta anni nel 480 a.C., a Kusinara, nell'attuale regione indiana dell'Uttar Pradesh.
Alla morte il Buddha non lasciò alcun successore e la comunità continuò ad operare insieme. All’inizio mancava anche un Corpus Canonico codificato, e i discepoli diretti del Buddha si riunirono nel 473 durante il I Concilio indetto a Rajagriha per la durata di sette mesi per trasmettere ciò che avevano appreso direttamente dal Maestro. In tale consesso vennero esposti i sutra, ovvero i discorsi del Buddha così come ricordati dal discepolo a lui più vicino, Ananda, mentre la dottrina delle regole monastiche fu esposta da Upali, altro discepolo importante. Circa centodieci anni dopo, nel 363 a.C., si tenne un secondo Concilio a Vaisali, città in cui i monaci avevano da tempo adottato delle pratiche discutibili: questi furono messi a confronto con monaci provenienti da tutta l’India, fatto che dimostra la diffusione già avvenuta del buddhismo, e alla fine venne deciso da tutti i presenti di darsi un codice di comportamento, il Pratimoksha, che tuttora viene seguito dalla comunità monastica. Altro momento fondamentale nella storia del buddhismo sarà il terzo Concilio indetto nel 245 a.C. a Pataliputra dall’imperatore Asoka Maurya, che sarà uno dei principali protettori del buddhismo in India. In tale concilio si cercò di frenare le emergenti tendenze scismatiche, che cominciavano a differenziare l’insegnamento e che un paio di secoli più tardi daranno origine a due scuole fondamentali: la scuola del cosiddetto Piccolo Veicolo o Hinayana e quella del grande Veicolo o Mahayana. Infine all’incirca alla fine del primo secolo dopo Cristo, la comunità monastica che nei secoli precedenti si era formata e stabilizzata nello Sri-Lanka, redisse il Canone Buddhista in forma scritta Tale Canone in lingua pali , composto da tre parti o canestri (Tripitaka) ovvero quello dei discorsi (Suttapitaka), della disciplina monastica (Vinayapitaka) e della dottrina filosofica (Abhidharmapitaka) è rimasto integro fino ad oggi ed è accettato dalle scuole di tutto il sud-est asiatico ed è una base di comparazione per i resti del canone in sanscrito che nella sua interezza è andato perduto in seguito alle invasioni musulmane e alla distruzione dei monasteri e delle università monastiche buddiste come quella famosissima di Nalanda nel nord dell’India.
A seguito della morte del Buddha, il suo insegnamento si diffuse in varie parti dell'Asia, mutuando ed assimilando gli usi e costumi locali e dando vita a varie tradizioni buddhiste, che si differenziarono tra loro per alcuni aspetti interpretativi dell'Insegnamento. Delle originali diciotto scuole, che formavano il così detto "Piccolo Veicolo" (Hinayana), oggi rimane attiva solo la scuola Theravada, che si è prevalentemente diffusa in Sri Lanka, Tailandia, Birmania, Cambogia e Laos. All'incirca nel I secolo a.C. nacquero le tradizioni del "Grande Veicolo" (Mahayana), in cui vi è grande enfasi della figura del Bodhisattva, colui che dedica tutte le sue realizzazioni spirituali e le sue azioni alla liberazione della sofferenza di tutti gli esseri. Al "Grande Veicolo" appartengono le tradizioni Ch'an (pronuncia Cian) sviluppatesi in Cina, Vietnam e Corea, le altre scuole cinesi (Terra Pura, Tientai, ecc.), le scuole giapponesi (Zen, Nichiren, ecc.), nonché le scuole della tradizione Vajrayana (Via del Diamante, pronuncia vagiaraiana) diffuse in Tibet, Mongolia ed alcune regioni dell'attuale Russia. La tradizione Vajrayana del Tibet è particolarmente nota anche a causa delle vicende politiche ed umanitarie legate all'invasione del Tibet da parte della Cina, avvenuta tra il 1950 ed il 1960.

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Riguardo ad alcuni commenti!!!

Post n°13 pubblicato il 06 Maggio 2007 da miomente

Io accetto tutte le critiche ma non l'ignoranza...per cui almeno quando scrivete alcuni commenti identificatevi così anch'io ho il modo di rispondere!!!! Pace, amore e empatia fratelli!!!immagine

 
 
 

Post N° 12

Post n°12 pubblicato il 06 Maggio 2007 da miomente
 
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Eppure Sentire (Un Senso Di Te)

 A un passo dal possibile

A un passo da te

Paura di decidere Paura di me

Di tutto quello che non so

Di tutto quello che non ho

 Eppure sentire Nei fiori tra l’asfalto

 Nei cieli di cobalto C’è...

Eppure sentire Nei sogni in fondo a un pianto

 Nei giorni di silenzio C’è... un senso di te

C’è un senso di te

Eppure sentire Nei fiori tra l’asfalto

 Nei cieli di cobalto c’è

Eppure sentire Nei sogni in fondo a un pianto

 Nei giorni di silenzio

C’è... un senso di te C’è un senso di te Un senso di te C’è un senso di te...

 
 
 

Post N° 11

Post n°11 pubblicato il 01 Maggio 2007 da miomente
 
Tag: Foto

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Buddismo

Post n°9 pubblicato il 01 Maggio 2007 da miomente
 
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Nei prossimi messaggi cercherò di raccogliere informazioni sul Buddismo e sulla sua pratica. La ricerca dell'itinerario interiore è un concetto portante di questa religione per cui non posso fare altro che rendervi le notizie affnchè possiate avvicinarvi, per chi non ne sa nulla e anche per chi in parte ne sa, a questo modo di concepire la natura umana e le sue potenzialità!!

 
 
 

Jimi Hendrix. Una strada elettrica.

Post n°8 pubblicato il 01 Maggio 2007 da miomente
 
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Jimi Hendrix e` una delle grandi icone pop degli anni '60. La sua morte rimane uno degli eventi fondamentali Della storia Della musica rock. La sua opera e` forse meno saliente, in quanto troppi suoi dischi sono raffazzonati. Hendrix fu uno degli artisti piu` sfruttati dall'industria discografica, che non esito` a pubblicare tutto CIO` che Hendrix aveva suonato. Hendrix registro` due grandi album (IL primo e IL terzo). Ma soprattutto invento` uno stile alla chitarra che era piu` di uno stile: era una dichiarazione di guerra all'armonia occidentale. La chitarra di Hendrix apri` nuove porte alla sperimentazione sullo strumento musicale. La sua lezione sarebbe stata applicata non solo alla chitarra ma anche alle tastiere, a qualunque strumento guidi la melodia nella musica rock. Il caso di Hendrix come chitarrista e` unico nella storia Della musica moderna: Hendrix e` sistematicamente in testa a tutti I "poll" di critici del mondo, persino di quelli del jazz. Non esiste la stessa unanimita` per cantanti o batteristi o tastieristi. La sua statura come chitarrista e` paragonabile a quella di Beethoven come sinfonista.

Il suo stile alla chitarra nacque DA tre esperienze fondamentali (tutte al di fuori Della chitarra rock di Chuck Berry): IL rhythm and blues di Chicago (Muddy Waters, Elmore James), IL soul di Memphis e l'improvvisazione del chitarrista jazz Charlie Christian. Per quanto Hendrix citasse sia IL bluesman Robert Johnson sia Chuck Berry come influenze, e` difficile avvertirle nella sua musica. Semmai sono piu` palesi Le influenze di gruppi britannici come Yardbirds, Who e Cream, perlomeno nei primi dischi. E, tecnicamente parlando, Earl Hooker, Johnny Watson e Lowman Pauling furono I primi chitarristi blues a usare certi effetti sonori.

Hendrix fu davvero un Grande, straordinario chitarrista, forse IL primo Grande allo strumento nell'intera storia Della musica, certo quello che NE ridefini` IL suono. Ma IL fenomeno Hendrix fu un abietto e spudorato fenomeno commerciale, non molto piu` nobile di quello di Presley e dei Beatles.

Dal punto di vista strettamente tecnico IL suo merito fu quello di aprire nuovi orizzonti alla chitarra elettrica, lo strumento per eccellenza Della musica rock. Mancino Ed analfabeta, virtuosismo e sperimentazione trovarono in lui IL massimo interprete. Nel suo estremismo musicale confluirono elettrificazione, amplificazione e improvvisazione, blues, jazz e rock. La sua tecnica arrivo` ovunque, sfrutto` tutti gli effetti sonori (distorsioni, delay, wah-wah), capace di espandere IL suono lungo scale inesplorate. Tutta la mimica Della mano, del braccio, persino Della bocca, divennero funzionali al far emettere suoni alla chitarra, per piegare Le note sotto Le torture piu` sadiche agli effetti piu` repellenti (suono` con l'intero palmo Della mano, con I denti, con IL gomito, persino con l'asta del microfono).

Tutta la tecnologia dello strumento (dal finger-picking al wah-wah, dal plettro AI pedali, dal feedback all'effetto Larsen, dai controlli di tono AI distorsori) divenne una scienza istintiva Della timbrica. Cosi` cannibalizzata (e al termine dello show bruciata, condannata al rogo), la sua "sperm-guitar" dava la misura dell'eccesso, quell'eccesso, non come mezzo ma come fine, che "era" la sua arte. Hendrix "invento'" la chitarra elettrica, NE esalto` Le potenzialita` tonali e timbriche, usandola in tutti I modi possibili. Con lui la chitarra diventava un'orchestra, una macchina del suono con una gamma pressoche' infinita di possiblita`, fino al limite Della parodia Della voce umana.

L'improvvisazione partiva dalla scala blues, ma IL tema era lasciato libero di espandersi pressoche' all'infinito. Con Hendrix la chitarra acquistava addirittura una psicologia. Il suo magistero piu` alto sta forse nell'inventiva fluente dei suoi assoli e Della sua ritmica: esplorare ogni angolo del suono, far vibrare Le corde Della creativita` in ogni recesso sperduto dell'universo sonoro. Potenziando cosi` Le capacita` dialettiche dello strumento, materializzava un ego interiore incontrollabile, I cui deliri is esprimono con una grammatica irrazionale al massimo grado.

E, estendendo IL ruolo che essa aveva nel blues, NE fece qualcosa di piu` di uno strumento: un simbolo fallico (simulazioni di amplesso), un urlo di guerra (riti di auto-distruzione), la voce selvaggia delle sensazioni estreme (sensualita` primitiva), uno strumento di rivincita sulla negritudine, un animale ora domestico ora selvatico, un compagno di danza, un amico dotato di pensiero, sentimento e parola, un'appendice al corpo e alla mente. Alla fine di ogni show dava sfogo a un rituale sado-maso di masturbazione e distruzione dello strumento (ovvero di se stesso). Hendrix elevo` quello strumento a simbolo totemico per un'intera generazione.

Hendrix fu soprattutto IL re delle adunate oceaniche. Il giovane che aveva bisogno di esorcizzare in qualche modo la civilta' Della macchina is identificava nel suo virtuosismo, nella sua padronanza dello strumento, nella sua capacita` di dominare la macchina: Hendrix rappresentava per lui IL mito del liberatore, quel tipo di super-uomo che lo sotto-cultura del cinema e dei fumetti stava tramutando in super-eroe. Culto Della violenza, Della virilita`, Della volonta` di potenza: l'eccitazione Della massa "Costa" al duce l'adesione a filosofie titaniche e nichiliste che condannano automaticamente all'auto-annichilamento. E` un gesto eroico, il sacrificio volontario dell'officiante, secondo un rituale di purificazione ancestrale e in particolare cristiano.

La sua carriera solista si divide in due periodi: uno in cui continua a crescere la sua padronanza dello strumento e Hendrix scopre di giorno in giorno le potenzialita' espressive della chitarra; e uno in cui ha ormai bruciato velocemente tutte le proprie scoperte e non sa piu` cosa fare per colpire, sorprendere, scandalizzare. La maggior parte della sua musica e` da buttare, molto del rimanente e` appena discreto. Soltanto il primo album e` vera gloria, forse perche' a quel tempo l'istinto brado di Hendrix non era ancora frastornato e annacquato dal battage pubblicitario e mondano. In seguito, cercando vanamente e con patetica ostinazione di imitare se stesso, seppe essere insopportabilmente accademico e sovente stucchevole.

Le liriche di Hendrix (perversamente visionarie, di una religiosita` romantica che poneva al centro di ogni preghiera innanzitutto se stesso) si prestano ad inquietanti equivoci, con continui morbidi rimandi alla morte (Will I Live Tomorrow), al magico e al soprannaturale. Le ispirazioni piu` genuine venivano dalla religione nera e dal fascino delle immensita` celesti. Qui la sua fantasia si distendeva in lunghi monologhi e in larghi sogni che testimoniano tutta la solitudine, l'introversione e la paura dell'uomo, il suo intimo bisogno di purezza e di tranquillita`, la fondamentale insicurezza e fragilita` psichica di un giovane sconcertato e squilibrato dal successo.

Il suo canto limpido, nero, sofferto, calmo, e` l'altra voce (l'altro ego) di Hendrix. Quella voce acida ed irruente sembra sempre provenire da una misteriosa lontananza. L'angoscia non ne deforma piu` di tanto l'inflessione soprannaturale. E nell'assurda compostezza del canto trova sfogo la cupa amarezza del vinto, quello arcaico delle piantagioni e quello moderno sotto i riflettori.

La componente meno ovvia del suo messaggio artistico era quella cerimoniale. Hendrix incorporava ritmi voodoo presi direttamente dalle danze rituali dell'Africa e indulgeva nei rituali sacrificali in cui distruggeva la chitarra. Nel suo codice genetico era rimasta un'informazione ancestrale e la sua missione sarebbe stata quella di trapiantarla nell'iconografia del rock and roll.

James Marshall Hendrix, nato il 27 Novembre 1942 a Seattle da un incrocio fra indiani, neri e bianchi, comincio` a suonare la chitarra a undici anni, poco dopo aver perso la madre. A sedici lascio` la scuola per darsi al vagabondaggio, guadagnandosi da vivere con complessi di rhythm and blues e di rock and roll. Dopo aver prestato servizio militare come paracadutista per piu` di un anno, il ventunenne Hendrix si inseri` con qualche successo nel giro dei session-man. Fu via via il chitarrista di Little Richard, Wilson Pickett, Tina Turner, King Curtis. Nel 1965 al Greenwich Village formo` il suo primo complesso e ottenne un contratto per esibirsi regolarmente. La fama del prodigioso chitarrista giunse alle orecchie di Chas Chandler, ex- Animals ed ora manager, di passaggio a New York e in cerca di nuovi talenti.

Senza pensarci su due volte, Chandler se lo porto` dietro a Londra, gli procuro' una (mediocre) sezione ritmica, gli fece incidere una cover dalle cadenze epiche come Hey Joe (fine del 1966, scritta da Billy Roberts nel 1962), lo introdusse negli ambienti rock di Londra (propiziando l'amicizia con Donovan , forse la piu` duratura della sua vita) e gli organizzo` un paio di tournee` in Europa.

Mentre il 45 giri scalava le classifiche (doppiato quasi subito dalla marziale Purple Haze), il potente blues-rock di Hendrix mieteva ovunque calorosi consensi, e Chandler si dava da fare per pubblicizzare il suo pupillo come bandiera del sesso e della droga, curando la coreografia dei suoi show e i costumi da indossare tanto quanto il repertorio. Hendrix, docile esecutore dei suggerimenti del manager e conscio di come per scatenare il pubblico gli bastasse comportarsi nel modo piu` istintivo, prese a suonare la chitarra con i denti e a muoverla a mo di membro sessuale sotto le luci psichedeliche.

Dopo un terzo 45 giri, la romantica The Wind Cries Mary, nel maggio del 1967 venne pubblicato il primo album: Are You Experienced. Il sound e` quello di un blues-rock amfetaminico ad alto potenziale esplosivo, raggrumato in brevi, grezze e micidiali cariche di tritolo che eruttano tutto d'un fiato l'energia vulcanica della chitarra.
Sfilano senza pausa la martellante grinta sensuale di Foxy Lady, l'attacco epilettico di Manic Depression, il mantra ipnotico di Love Or Confusion, con la voce distorta in secondo piano, i riverberi, le staffilate e le rincorse mozzafiato di I Don't Live Today, il soul viscerale di Fire. In fondo al disco si snoda l'incubo sessuale della title-track, che celebra, con enfasi solenne su un ritmo ossessivo di raga, la sacralita` dell'esperienza ed e` anche il momento in cui la chitarra puo' librarsi senza piu` catene, fremere, agitarsi convulsa, contorcersi spasmodica, blaterare agli elementi un mantra cacofonico.
Il vero Hendrix e` quello supersonico di Third Stone From The Sun, il brano piu` lungo e sperimentale del disco, un tour de force della chitarra psichedelica, una cavalcata cosmica, un viaggio eroico durante il quale la voce (filtrata e rallentata) mugola parole oscure, la chitarra si impenna, libera in spazi immani, varca le porte della percezione, in un vortice di sibili fastidiosi ad un ritmo jazz scatenato. Hendrix degrada progressivamente il suono, passando da un riff iterato a un puro scorticare le corde per accordarle al caos universale, in un caos di vibrazioni e intermittenze; fino all'esplosione finale.

Il festival di Monterey (18 Giugno 1967) fu la consacrazione di Hendrix come animale dal vivo. Al termine della sua massacrante esibizione (con una versione demoniaca di Wild Thing), dopo aver dato fuoco alla chitarra, raccolse un'ovazione interminabile. Fu lui la vera stella del 1968, acclamato come il piu` grande chitarrista di ogni tempo e circondato da un alone mitico di disprezzo per i valori borghesi.

Axis Bold As Love, uscito nel dicembre 1967, ha gia` perso gran parte dell'energia, della vitalita` e dell'originalita` del primo album. La ferocia del primo disco si ritrova soltanto in Little Miss Lover. Il sound e` piu` lento e soffice, il rhythm and blues dell'apprendistato la spunta sul blues-rock della maturita'. Piu' pittorico e narrativo che viscerale, il disco delle tenerissime Little Wing, Bold As Love e Castles Made Of Sand trionfa nell'unico "trip" cosmico, If Six Was Nine, memore del free-jazz e dell'acid-rock. Non c'e` dubbio che la produzione sia molto piu` curata (ogni suono e` leggermente stravagante e la chitarra esplora dozzine di tecniche, talvolta all'interno dello stesso brano), ma, rispetto al precedente, questo e` un album di musica da salotto.

Electric Ladyland, uscito nell'agosto 1968, e` un ambizioso album doppio. L'umore e` drasticamente cambiato: Hendrix non fa piu` il duro, fa il poeta metafisico. Soltanto il boogie convulso di Crosstown Traffic e la marziale nenia psichedelica di Burning Of The Midnight Lamp riportano ai climi arroventati dell'opera d'esordio. Se le tante canzoni soul sparse sulle quattro facciate sono mediocri esercizi di auto-imitazione, il vertice del disco e` rappresentato dai due lunghi deliri di Voodoo Chile e di 1983, emblematici dei due versanti creativi nei quali l'arte di Hendrix fu piu` innovativa.
Voodoo Chile dimostra come lo stile chitarristico di Hendrix non potesse che nobilitare (ed essere a sua volta esaltato da) il genere drammatico per eccellenza. Intensa e vibrante, con Steve Winwood alle tastiere e Jack Casady al basso, Voodoo Chile si sviluppa peraltro secondo gli schemi improvvisati della classica jam jazzistica. Il flusso dell'improvvisazione e` tutto funzionale alla fantasiosa e sofferta recitazione della chitarra, che ora artiglia le note ad una ad una nella spasmodica cadenza dell'agonia ora scocca accordi lancinanti di rabbia ribelle, ruvida e nevrastenica, minacciosa e arrogante, vulnerabile ed inerme. L'ego-trip del gitano maudit e` la sua allucinata autobiografia.
1983 (sul quale Hendrix suona tutti gli strumenti meno il flauto) e` la sonata d'avanguardia per eccellenza del repertorio Hendrix-iano, ben oltre Third Stone From The Sun. La mole di effetti sonori trasforma la "canzone" in un'opera di "sound painting". Una vertigine cosmico-psichedelica oscilla a lungo fra rumoristica elettronica e improvvisazione jazz per sollevarsi infine in un vento impetuoso, in una progressione incalzante che all'apice dell'orgasmo si capovolge in una vertigine abissale. E la musica si dissolve in una marea di sibili, il miraggio cosmico che ritorna sempre in fondo agli incubi piu` cupi di Hendrix, come un estremo bisogno di purificazione dopo il viaggio negli inferi dell'anima.

Il 1968 segno` in realta` l'inizio di una precocissima e totale decadenza, fisica, morale e artistica. Si manifestarono i primi dissidi all'interno del suo complesso, l'Experience. Hendrix prese ad indulgere sempre piu` negli atteggiamenti che eccitavano le ragazzine e a pensare sempre meno alla musica. Venne arrestato in Svezia per aver sfasciato la camera d'albergo. L'anno dopo si separo` da Chandler. Fu arrestato due volte, la prima per teppismo, la seconda per droga. Si era trasferito a New York, dove frequentava le "Black Panther". In agosto, al culmine delle sue capacita` istrioniche, gia` leggenda vivente, trionfo` a Woodstock con una versione tutta distorta dell'inno americano (Star Spangled Banner) durante la quale la chitarra imita i bombardamenti del Vietnam. Postumo, uscira` un LIve At Woodstock (MCA, 1999) che contiene tutta la sua leggendaria esibizione. Formo` poi il primo complesso rock di soli neri, la Band of Gypsys, con Buddy Miles alla batteria e Billy Cox al basso. Sul live Band Of Gypsys (Capitol, 1970), registrato l'ultimo dell'anno del 1969, spicca il delirio logorroico di Machine Gun. Postumo uscira` un doppio Live At The Fillmore East (MCA, 1999) che comprende altro materiale dello stesso periodo. Con quella formazione, nell'agosto del 1970, ormai visibilmente in crisi, suono` senza entusiasmare al festival dell'Isle di Wight.

Moriva un mese dopo, per eccesso di barbiturici, nell'appartamento di un'amica. Il laconico "doveva succedere" di Chandler fu in pratica il commento di tutti coloro che lo conoscevano (e che forse avevano causato quella morte).

La sua morte divenne in pochi anni la piu` grande occasione discografica di tutti i tempi. I produttori scaricarono sul mercato tutte le registrazioni che Hendrix aveva destinato al macero. Vennero cosi` pubblicate decine di dischi postumi, quasi tutti di scadente qualita`, con enormi successi di vendita.

Sul primo album postumo, Cry Of Love (Reprise, 1971), lo stile e` un soul-rock piacevole, ma non rivoluzionario: Ezy Rider, Drifting, Freedom, Astro Man, Angel sono i brani piu` lucidi, zeppi di riff arci-noti e di versi che suonano scontati.

Rainbow Bridge si nutre di un'energia cupa e primitiva: Paligap e` un brano insolitamente squilibrato, pervaso di umori esistenziali; Dolly Dagger affonda in ritmi sinistri; e Room Full Of Mirrors e` un incubo freudiano-tribale.

Cry Of Love e Rainbow Bridge contengono il materiale che Hendrix stava preparando per un nuovo album doppio, First Rays Of The New Rising Sun.

In The West (1972) lo ritrae ancora alle prese con qualche power-blues psichedelico (Red House).

L'ultimo riff interessante e` quello di Steppin Stone, su War Heroes (1972).

Concerts (Reprise, 1989) raccoglie forse il materiale migliore.

Esaminando la musica dei dischi postumi e` facile rendersi conto di come l'umore della sua musica stesse mutando, sempre meno selvaggio e sempre piu` soffertamente meditato.

Hendrix suono` anche il basso sul disco accreditato a Timothy Leary You Can Be Anyone (1970)), con Buddy Miles alla batteria, Stephen Stills (Buffalo Springfield) e John Sebastian (Lovin' Spoonful) alle chitarre.

Nei trent'anni successivi usciranno piu` di cento album con registrazioni "inedite" della sua musica.

Gli incompiuti di Hendrix, le centinaia di frammenti incollati alla bell'e meglio dall'industria discografica per sfruttare fino alla fine la sua immagine, la dicono lunga sullo squallore che circonda l'ambiente della musica rock. Il risultato e` che, si dovesse giudicare dai dischi postumi, Jimi Hendrix sembra uno dei musicisti piu` mediocri dell'epoca.

La triste saga dello sfruttimmagineamento di Jimi Hendrix continuo` negli anni '90, quando gli eredi si contesero l'opera di Hendrix in una serie interminabile di processi. Le beghe legali indussero a cambiare nome al museo di Seattle che doveva diventare il Jimi Hendrix Museum.

Hendrix fu sempre un fenomeno gestito da altri: da Chandler che costrui` pezzo per pezzo la sua vita artistica, dai padroni discografici che lo sfruttarono vivo e morto nel modo piu` turpe, dalle masse dei festival rock che ne fecero cio` che esse non avevano il coraggio di essere, dai giovani impegnati che lo vollero (come il Che) morto per la causa. In effetti con lui mori`, per overdose di utopia, la generazione della contestazione.

Articolo inviato da Maninblues.immaginehttp://blog.libero.it/Maninblues/

 
 
 

Van Gogh. La strada allucinata.

Post n°7 pubblicato il 30 Aprile 2007 da miomente
 

Caro Vincent, quanto avrei voluto conoscerti  per poter vedere nei tuoi occhi il vetro attraverso cui tu vedevi la realtà per poi riversarla sui tuoi dipinti. Forse saranno state le lacrime a renderti tutto così sfumato? Il dolore si accaniva sul tuo corpo e tu lo sfogavi nel pennello? Caro Vincent, qualsiasi cosa ci fosse dentro a quegli occhi la ringrazio, perchè ogni volta che ho davanti un opera penso che forse il dolore non è poi così brutto e che anche quello è straordinario!!

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Il cammino di Santiago

Post n°6 pubblicato il 29 Aprile 2007 da miomente
 

Ho pensato che non ci fosse percorso migliore nella vita se non quello che parte da dentro...ma noi siamo un tutt'uno con ciò che ci circonda, noi siamo il mondo e nel mondo ci sono posti dove il cammino verso di noi si fa più semplice. 

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"Lo Straordinario risiede nel Cammino delle Persone Comuni."
"Quando si va verso un obiettivo, è molto importante prestare attenzione al Cammino. E' il Cammino che ci insegna sempre la maniera migliore di arrivare, e ci arricchisce mentre lo percorriamo."
Il Cammino di Santiago racconta il viaggio del narratore Paulo lungo il sentiero dei pellegrini che conduce a Santiago di Compostela, in Spagna. In compagnia della sua guida spirituale, il misterioso ed enigmatico Petrus, Paulo affronta una serie di prove ed esercizi, incontra figure che mettono a repentaglio la sua determinazione e la sua fede, schiva insidiosi pericoli e minacciose tentazioni, per ritrovare la spada che gli permetterà di diventare un Maestro Ram.
Il Cammino, realmente percorso da Paulo Coelho nel 1986, diventa così luogo letterario di un ispirato romanzo d'avventure che è nello stesso tempo una affascinante parabola sulla necessità di trovare la propria strada nella vita. Composto nel 1987, Il Cammino di Santiago occupa un posto peculiare nell'opera di Paulo Coelho, non soltanto perché è il suo primo romanzo - cui farà seguito L'Alchimista - ma soprattutto perché rivela pienamente l'umanità del suo messaggio e la profondità della sua ricerca interiore.
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Pensieri in musica

Post n°5 pubblicato il 28 Aprile 2007 da miomente

Inviato da maninblues81 il 28/04/07 @ 00:59 via WEB
LUNGO LE TORRI DI GUARDIA parole e musica Bob Dylan "Dev' esserci una via d'uscita", disse il giullare al ladro, "C'è troppa confusione, non riesco a trovare sollievo. Uomini d'affari bevono il mio vino, contadini scavano la mia terra, nessuno di loro lungo il confine sa quale sia il valore di ciò" "Non c'è motivo di allarmarsi", disse il ladro gentilmente "Ci sono molti qui tra di noi che pensano che la vita sia solo un gioco. Ma tu ed io sappiamo tutto ciò e non è questo il nostro destino, perciò, basta parlare in maniera falsa adesso, l'ora è tarda." Lungo le torri di guardia, prìncipi osservavano mentre tutte le donne andavano e venivano anche i servitori scalzi. Fuori, in lontananza, un puma ringhiò, due cavalieri si stavano avvicinando, il vento cominciò ad ululare.immagine

 
 
 

La strada Divina

Post n°4 pubblicato il 27 Aprile 2007 da miomente
 
Foto di miomente

Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura

chè la diritta via era smarrita.

 
 
 

Post N° 3

Post n°3 pubblicato il 27 Aprile 2007 da miomente
 

scrivetemi della vostra di strada...ognuna arricchisce l'altra...tutte si incrociano e forse portano allo stesso posto...good luck!!!

 
 
 

Kerouak. Quella strada vertiginosa.

Post n°2 pubblicato il 27 Aprile 2007 da miomente
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Le uniche persone per me sono i matti .... quelli che non sbadigliano mai e non dicono mai un luogo comune , ma bruciano , bruciano , bruciano come candele romane gialle e favolose , che esplodono come ragni tra le stelle
 
 
 

La strada di Charlie

Post n°1 pubblicato il 27 Aprile 2007 da miomente
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Charlie Chaplin

Due secoli in una maschera

 

Dotati di una forza narrativa unica, data dalla freddezza della psicologia più sottile e da un pathos assoluto ma controllato, i film di Chaplin spingono l'intimismo verso una visione agrodolce dell’assoluto, dell’universale, attraverso l’individuo novecentesco e la massa. Ottocento e Novecento nel cinema di Chaplin e della sua maschera Charlot diventano una cosa sola, come non è riuscito a nessun altro regista finora

 

In una carriera lunga oltre 70 anni, Charles Spencer Chaplin (1889-1977) è diventato un pilastro del cinema inteso soprattutto come macchina storica e apparato creativo in grado di mettersi in relazione con i rivolgimenti sociologici, con il passare del tempo, con il rinnovarsi delle varie stagioni. A una popolarità immensa fin dagli anni 10 ha corrisposto un odio feroce da parte dei suoi detrattori, una serie di scandali epocali che invece di distruggerne la carriera come accadde per molti divi dell’anteguerra ne rafforzavano paradossalmente l’immagine. Chaplin è stato l’icona che l’Occidente meglio è riuscito a trasportare nel mondo, più di ogni altro divo e di ogni merce; ma è stato anche un uomo dalle splendide, fertili contraddizioni, riflesse totalmente nella sua opera-frequentatore “parvenu” dell’alta società hollywoodiana e dell’intellighenzia europea, bersaglio preferito dei reazionari americani e del maccartismo, moralista ottocentesco e seduttore novecentesco, uomo di idee ferocemente anticlericali e talora quasi cristologiche, psicologo finissimo e artista talvolta accusato di facile sentimentalismo. Queste contraddizioni complesse si sublimano nella sua opera, considerata oggi capitale, al di là della popolarità (per molti anni lo stesso Chaplin ha fatto circolare solo occasionalmente la maggior parte delle sue vecchie pellicole), soprattutto per la forza narrativa unica, data dalla freddezza della psicologia più sottile (lo spirito di osservazione) e da un pathos assoluto ma controllatissimo, privo di ogni banalità o convenzionalità. Si tratta di film che mettono progressivamente da parte la comicità degli esordi, che scommettono sulla possibilità di spingere più in profondità il semplice intimismo, verso una visione agrodolce dell’assoluto, dell’universale, attraverso l’individuo novecentesco e la massa. Ottocento e Novecento nel cinema di Chaplin diventano una cosa sola, come non è riuscito a nessun altro regista finora.

Charles Spencer Chaplin nasce a Londra il 16 aprile 1889, a soli 4 giorni di distanza dal suo futuro “gemello nero”, Adolf Hitler. Fino al 1898 la vita del piccolo Charles è un incubo dickensiano vissuto nella miseria più assoluta e con lo spettro dell’alcolismo del padre e della crescente follia della madre, un tempo piccola celebrità del music-hall inglese presto decaduta. Queste esperienze sono decisive per la futura personalità di Chaplin: il regista dichiarerà sempre di avere mutuato il suo spirito di osservazione dalla madre e dalla folla di personaggi miseri e grotteschi che attraversavano le strade londinesi; Chaplin si comporterà sempre come un “parvenu” e cercherà a qualsiasi costo un riscatto. Notata la sua precoce abilità mimica, nel 1898 Chaplin entra a far parte di una piccola compagnia di teatro, gli Eight Lancashire Lads, ma ben presto le crisi di follia della madre Hannah lo costringono ad abbandonarla. Questa alternanza di periodi più calmi, in cui Chaplin può mettere a punto le basi del suo futuro personaggio in piccoli spettacoli locali, e di fasi in cui è costretto a occuparsi delle condizioni sempre più penose della madre, continua fino al 1910, anno della prima svolta. Hannah Hill viene definitivamente internata; il fratello di Charles, Sydney, trova un posto nella compagnia di Fred Karno, allora il più grande impresario di music-hall inglesi. La sua dura scuola mimica e l’innovazione dell’alternanza di comico e patetico saranno fondamentali per Chaplin. Charles intanto recita in un numero intitolato “Jimmy the Fearless” insieme a Stan Laurel, il futuro Stanlio; presentato a Karno dal fratello, viene assunto immediatamente. Lo sketch classico "Mumming Birds" gli permette di mettere a punto il cavallo di battaglia dei suoi primi anni, il personaggio del dandy ubriacone che porta lo scompiglio in una sala teatrale. Il successo è sufficiente da convincere Karno a portarlo con sé nel suo tour americano. Chaplin si imbarca nell’ottobre 1912, e resterà in America fino al 1957. Lo sketch, reintitolato “A night in a London club”, gli dà una discreta popolarità negli Usa, dove però il teatro comico-musicale è già stato sostanzialmente soppiantato dal cinema, a cui peraltro fornisce la quasi totalità degli attori. Così accade anche per Chaplin, che notato dal grande Mack Sennett, l’inventore delle comiche, entra nel 1914 a far parte della lanciatissima Keystone, la principale fucina di comicità americana del periodo. Nel primo breve film Making a Living (febbraio 1914), Chaplin riprende i suoi personaggi “europei”, è Kid Auto Races in Venice, dello stesso mese, il momento storico in cui per la prima volta appare sullo schermo la figura dell’omino in bombetta, bastoncino di canna, pantaloni sformati e scarponi. Qui però si chiama ancora Chas, è dispettoso e aggressivo, persino crudele nel suo interrompere una corsa di automobiline per bambini pur di farsi riprendere dalla cinepresa. Distribuite settimanalmente, le comiche Keystone sono un periodo formativo: il primo film diretto da Chaplin appare nell’aprile 1914, si intitola Twenty Minutes Of Love e non si discosta dalla formula comica del periodo, a cui bastavano “un parco, un poliziotto e una bella ragazza”. Anche il periodo successivo (1915), quello delle comiche girate per la casa Essanay, vede un Chaplin già popolarissimo, ma artisticamente ancora incerto tra semplici accumuli di gag da music-hall e primi abbozzi più complessi, velati di critica sociale (un film incompiuto del periodo si chiama “Work”; il suo primo film Essanay, “His new job”, si apre con un’immagine che anticipa già la crudeltà del futuro, con Charlot che cerca di trascinare una carriola stracarica lungo un sentiero ripidissimo). La forma comincia a definirsi più chiaramente: anche se manca ancora una vera e propria psicologia, le innovazioni di Chaplin si vedono soprattutto nella distensione del ritmo frenetico di Sennett, in piccoli esperimenti di montaggio, nell’inserimento finora impensabile di occasionali primi piani, nell’importanza data alle didascalie. Chaplin è comunque pronto al grande salto.

Gli anni tra il 1916 e il 1921 sono considerati generalmente i migliori della carriera di Chaplin, come produzione e livello di popolarità. Approdato alla Mutual, una delle case più importanti del periodo, e poi alla First National, Chaplin gode di un controllo sempre maggiore sul prodotto finale e crea una troupe di caratteristi che tornano quasi invariabilmente di film in film-su tutte Edna Purviance, per anni l’incarnazione della visione chapliniana della donna come essere romantico e indifeso, ma all’occasione coi piedi ben piantati per terra. Le pellicole da due rulli del periodo 16-18 sono ormai perfette nei loro meccanismi: The Vagabond segna la fine del vecchio Chas e l’inizio del periodo “rosa” di Charlot; Easy Street, The Cure, The Adventurer sono piccoli gioielli di ritmo e di critica sociale. The Immigrant è l’opera più riuscita del periodo, in cui a una sottotraccia romantica si accompagnano notazioni di una crudeltà rara (la famosa scena d’apertura in cui all’inquadratura della Statua della Libertà e alla didascalia “l’arrivo nel paese della libertà” segue l’immagine di un gruppo di emigranti circondati come bestie da un cordone e frustati). Chaplin mette a punto un metodo di lavoro estremamente perfezionista, rigira le stesse scene per giorni interi scartando chilometri di pellicola; i suoi tempi di lavoro si dilatano quanto il successo internazionale.

All’arrivo alla casa First National, può ormai permettersi di costruire i propri studi, all’inizio del 1918-in questo periodo gira altri due mediometraggi straordinari, A Dog’s life e Charlot Soldato. Il primo è una commedia picaresca nella quale Charlot condivide la propria lotta grottesca per la sopravvivenza con un bastardino; Charlot Soldato è un lavoro più complesso, dove appare per la prima volta il tema del sogno e una struttura circolare, geometrica della narrazione importante per il futuro. Incapace per i suoi piedi a papera di allinearsi agli altri soldati, Charlot si addormenta, sogna di travestirsi da albero e di catturare il Kaiser. I gas, che nella prima guerra mondiale avevano condotto alla pazzia il suo maestro Max Linder, sono sostituiti dal lancio di pezzi maleodoranti di formaggio. Il risveglio dal sogno è terribilmente reale. Dopo questi due capolavori, Chaplin attraversa una stasi creativa: ormai stanco del formato “due rulli”, tenta occasionali ritorni alla formula Keystone (A Day’s Pleasure,dicembre 1919) e scenari diversi (la campagna in Sunnyside), ma è visibilmente stanco e distratto dall’intensificarsi dell’interesse per la sua vita mondana e per le sue turbolente vicende sentimentali. Il matrimonio e divorzio con la minorenne Mildred Harris è il primo grande scandalo. Dalla Harris, probabilmente spinta dalla madre, Chaplin ha un figlio che muore pochi giorni dopo la nascita. Questo è il motore che spinge Chaplin a una rinascita creativa, insieme alla scoperta del piccolo Jackie Coogan (il futuro Fester del telefilm “la famiglia Addams”), figlio di due sue comparse.

Il 1920 è dedicato interamente alla lavorazione di The Kid, il primo lungometraggio ufficiale. Si tratta probabilmente dell’opera in cui il pathos chapliniano raggiunge il miglior equilibrio. La tenerezza del rapporto tra un Vagabondo ormai universale e il bambino abbandonato dalla madre segna in un modo magnifico la differenza tra sentimento e sentimentalismo. La poesia si fa più grande anche grazie a uno stile ormai maturo, che rilegge le regole del raccontare proprie del cinema classico americano in funzione dei personaggi e della penetrazione psicologica. Il successo internazionale è ovunque immenso. Il rapporto con la First National è però ormai logoro. Gira in relativa fretta un ultimo capolavoro che chiude il contratto con la casa di produzione. The Pilgrim (febbraio 1923) è di fatto Molière trasportato nel contesto dell’America più bigotta e ipocrita, di fronte a cui Chaplin dà spazio alla sua vena più caustica. L’evaso Charlot riesce abbastanza agevolmente, nonostante tutto, a spacciarsi per un prete; il suo sermone domenicale consiste in un’incredibile pantomima sul tema “Davide e Golia”, che entusiasma i bambini della parrocchia e lascia indignate le vecchie matrone alcolizzate del villaggio. L’abito fa letteralmente il monaco.

Già dal 1921 Chaplin, insieme ad altri divi come Douglas Fairbanks e al regista D.W.Griffith, aveva preso posizione contro lo strapotere degli studios hollywoodiani e costituito una casa di produzione autonoma chiamata United Artists, che resterà in vita fino ai primi anni 80. Il suo primo lavoro per essa è un film anomalo. Si intitola A Woman of Paris, Chaplin vi appare solo brevemente e truccato in modo da essere irriconoscibile; è una “commedia drammatica” sul tema del destino e del confine tra impotenza e insipienza dell’essere umano, “né buono né cattivo, fornito solo delle passioni date da Dio”, come recita la didascalia introduttiva. Su uno schema melodrammatico convenzionale (l’amore di due giovani è ostacolato dalle rispettive famiglie; per un equivoco i due si perdono, lei diventa l’amante di un aristocratico parigino; si ritrovano, ma la differenza di condizione è ormai tale da indurre il giovane al suicidio), Chaplin lavora per sottrazione. La lavorazione estenuante del film si basa sulla volontà di creare un racconto allusivo, sottile, un esperimento sulle possibilità del mezzo di sondare la psicologia più sottile e dialettica delle situazioni: questo sconcerta tanto attori mediocri come la Purviance quanto divi come Adolphe Menjou, che interpreta la parte di Pierre, il ricco parigino, quanto il pubblico stesso, che rifiuta anche l’idea di un film di Chaplin non comico. In realtà l’influenza di A Woman of Paris è enorme e riconosciuta da registi come Lubitsch; il film è però un fallimento economico tale da indurre Chaplin a ritirarlo dalla circolazione (resterà invisibile fino al 1975) e a tornare a Charlot.

La Febbre dell’Oro (1925) è uno dei più grandi successi artistici ed economici di Chaplin, la consacrazione definitiva a “re del cinema” nella considerazione popolare e intellettuale. Girato in parte nella Sierra Nevada, rilegge ancora una volta il tema della trasformazione sociale dell’ingenuità ottocentesca nel monetariato novecentesco; è un primo accenno all’interesse crescente per i temi politici e sociali degli anni successivi. Tuttavia qui prevale ancora una grande poesia dell’individuo, della solitudine e delle relazioni umane, e gli echi del “destino” del film precedente sono ancora visibili. Costellato di sequenze passate alla storia del cinema (la scarpa bollita e consumata con grazia surreale, sopraffina; la trasformazione di Charlot in pollo nelle allucinazioni da fame del compagno; il capodanno 1925 e la folla che intona “Auld Lang Syne”, con una malinconia indescrivibile a parole; la capanna in bilico sul dirupo; la danza dei panini) The Gold Rush è anche dal punto di vista tecnico e visivo l’opera più elaborata di Chaplin, regista notoriamente poco interessato a immagini estetizzanti, ma che qui si serve di tecniche d’avanguardia, modellini e proiezioni con rara efficacia, creando scenari estremi, assoluti. L’oscillazione diventa l’immagine che definisce più a fondo il suo cinema, sempre più preciso e poeticamente drastico nella sua apparente ridondanza sentimentale e nella costruzione solo ingannevolmente caotica, a “strati” delle trame. Dichiara: “ho tutto in mente prima di girare, non mi serve una sceneggiatura”.

Un nuovo matrimonio-scandalo con la sedicenne Lita Grey si conclude in una gigantesca causa di divorzio e minaccia di bloccare, insieme a varie altre disavventure (su tutte l’incendio del set, nel settembre 1927), la lavorazione del nuovo film, The Circus. Uscito nel 1928, The Circus è un film strano, nella stessa misura stanco, meccanico e pienamente in grado di trasmettere il senso di una creatività che in sé sarebbe sempre traboccante, ma viene messa in discussione dall’Altro, da chi ne deve godere più a fondo i frutti: pubblico, critica, gli altri membri del carrozzone cinematografico. La metafora è resa secondo il continuo stile comico-patetico, eppure il senso profondo del film all’epoca non venne colto con chiarezza. Charlot viene assunto come inserviente in un circo e si innamora della cavallerizza, figlia del padrone del circo, che la maltratta. Il circo va male fino al giorno in cui Charlot realizza involontariamente un entusiasmante exploit comico, con i disastri che combina mentre si sta svolgendo lo spettacolo. Diventa così, inconsapevolmente, l’unica vera attrazione del circo e finisce per trovarsi a camminare sul filo senza nessuna protezione e attaccato da un gruppo di scimmie dispettose. Una metafora fulminante per un film che chiude sostanzialmente il periodo più “universale” di Chaplin, che ora si volge a modo suo verso il Novecento. A modo suo: rifiuta il cinema sonoro e tra distrazioni, bagni di folla in Europa, vita mondana e ritorni al lavoro impiega oltre tre anni per realizzare City Lights. Un altro grande film di passaggio, più compiuto e coraggioso del predecessore e come questo leggibile a più livelli, è una parabola sulle maschere, sull’incomunicabilità e sull’impossibilità dell’amicizia come dell’amore, in un mondo nuovo: il capitalismo, la città, il novecento, non sono che un’altra forma attraverso cui l’uomo non riesce a essere uomo, anche se lo vuole. La celebre fioraia cieca che scambia Charlot per un “duca” ricco “quindi buono” è stata spesso descritta come un esempio dei limiti del sentimentalismo chapliniano, ma è in realtà una figura sottilissima nella sua ambiguità, una persona-maschera-essere la cui purezza potrebbe essere solo una facciata, un’autocostrizione necessaria per la sopravvivenza. La straordinaria agnizione finale si chiude su uno dei primi piani più enigmatici di tutta la storia del cinema, su uno Charlot che ancora una volta si perde e deve fare a meno delle parole.

Tempi Moderni (1936) è un altro film muto, con occasionali effetti sonori ma senza dialoghi. Nel finale Charlot canta una canzone con parole senza senso sull’aria del motivo popolare “Je cherche la Titine”. Tra i suoi lungometraggi, Tempi Moderni è di sicuro il più vicino al vecchio stile chapliniano: definito non a torto un insieme un po’ forzato di comiche a tema (Charlot operaio, Charlot vagabondo, Charlot magazziniere, Charlot cantante), assume però un senso nell’idea di base del film, cioè una visione frantumata e meccanica della realtà moderna, angosciosamente surreale, fatta di movimenti incongrui, folle che non sanno dove stanno andando (a lavorare), di droghe, di macchine che nutrono l’uomo, ma in realtà si nutrono dell’uomo, lo ingoiano e lo sputano via. E’ il suo film più nevrotico. Solo la fuga può di volta in volta liberare dai fallimenti, dalle disillusioni, ma ogni volta si ricomincia da capo: anche la “monella” Paulette Goddard, la nuova star e moglie di Chaplin, nel finale passa repentinamente dalla tristezza più assoluta a un nuovo energico ottimismo. Basta una parola di Charlot e tutto, paradossalmente, si ricompone.

Tempi Moderni piace più in Europa che negli Usa, la diffidenza crescente verso un Chaplin sempre più politico si intreccia inesorabilmente con il divampare delle tensioni che porteranno alla seconda guerra mondiale. Diversi caricaturisti europei notano la somiglianza tra Charlot e Adolf Hitler (il dittatore tedesco era nato tra l’altro a soli quattro giorni di distanza da Chaplin..) e spingono Chaplin verso il suo nuovo film, Il dittatore (1940). Girato tra ostacoli non indifferenti, è il suo primo film parlato, pur con ancora ampie concessioni alla pantomima e al non-sense metacinematografico che caratterizzavano i film degli anni 30. Non è certamente il suo film migliore, ma è di sicuro il più importante, il più coraggioso-i farfugliamenti del dittatore di Tomania Adenoid Hynkel sono un grande ritratto dei livelli a cui si può spingere l’assurda e vanesia mediocrità dell’essere umano; lo stesso essere umano però viene celebrato nel famoso e discusso finale, una perorazione lunga oltre 7 minuti in cui Chaplin si spoglia dei personaggi e si rivolge direttamente allo spettatore esprimendo tutto il suo disprezzo per ogni forma di totalitarismo, di destra e di sinistra. In mezzo a questi due estremi, c’è l’ultima apparizione di Charlot, qui barbiere ebreo sosia del temibile dittatore; Charlot si congeda dal pubblico con un recupero voluto di gag quasi slapstick, soprattutto nella seconda parte del film, ma è evidente la volontà del regista di cercare strade nuove.

Gli anni 40 sono tra i più tempestosi della vita di Chaplin. Il maccartismo lo prende di mira, va alla disperata ricerca di elementi che possano comprovare una sua “adesione al comunismo”; ma ancora una volta il pretesto viene fornito soprattutto da un nuovo scandalo sessuale che però stavolta si rivela una montatura colossale. Nel 1944 Chaplin viene accusato dall’Fbi di stupro nei confronti di una sua ex amante, Joan Barry, mentalmente squilibrata, che dichiara di aspettare da lui un figlio. Segue un nuovo processo pubblico durante il quale non viene data la possibilità di eseguire il test del Dna, che, come poi dimostrato, avrebbe scagionato Chaplin; il regista viene condannato al mantenimento della Barry e del figlio che è in realtà figlio di un altro amante della Barry, il miliardario Paul Getty Jr.

In questa atmosfera sordida, Chaplin scrive e gira in relativa fretta un nuovo film, Monsieur Verdoux (1947). Accolto malissimo negli Stati Uniti, si tratta in realtà di un’opera grandiosa nella sua apparente stringatezza. Girato con pochi mezzi e senza la stessa possibilità di perfezionismo maniacale del passato, Verdoux è un apologo crudelissimo sul 900 ispirato a Henri Landru, uno dei primi serial-killer del secolo. Henri Verdoux è un cortese ex bancario parigino che dopo il crollo delle borse nel 1929 per sopravvivere si è dato alla poligamia: sposa e uccide ricche vedove per mantenere la sua famiglia. Scoperto e condannato alla ghigliottina, si staglia nella sua dignità paradossale definendosi “un dilettante”, di fronte a un tempo in cui la politica e l’economia stessa si sono votate allo sterminio di massa, al genocidio. Di pessimo umore, Chaplin gira un film nevrotico, cerebrale ma anche perversamente godibile, che smentisce una volta per tutte la sua fama di autore “sentimentale” nel senso deteriore del termine. La campagna di diffamazione nei suoi confronti cresce esponenzialmente all’uscita del film, che viene boicottato in tutto il paese.

Nel 1952, Chaplin lascia definitivamente gli Usa e si stabilisce prima a Londra e poi in Svizzera. Un nuovo matrimonio con Oona, figlia del drammaturgo Eugene ‘O Neill, sarà stavolta duraturo (da lei Chaplin avrà otto figli); una nuova riflessività malinconica, dopo anni frenetici, durissimi, è alla base di Limelight, girato tra Londra e gli Usa e considerato il suo testamento artistico. Reazione al pessimismo di Verdoux, ma anche estensione paradossale del suo individualismo, racconta in chiave semiautobiografica l’ultimo periodo di vita di un clown un tempo famoso, Calvero, rovinato dall’alcool (il padre di Chaplin morì alcolizzato), che salva dal suicidio una giovane ballerina depressa (Claire Bloom) e prima di morire la aiuta a raggiungere il successo e l’autostima. Da notare nel film è soprattutto la verbosità, che denota il cambiamento stilistico di un’icona del muto. La tristezza straziante che la grande espressività di Chaplin fa trasparire quando rinuncia alle parole, viene bilanciata da un tono sempre più meditativo, quasi filosofico e sereno. Chaplin si guarda indietro con qualche dubbio, ma non sembra stanco. Infatti si rimette quasi subito al lavoro, e realizza tra il 1957 e il 1967 i suoi due ultimi film, oltre a un’autobiografia (1964). Un re a New York non viene proiettato negli Usa fino al 1972; satira sferzante sul neoconsumismo americano, recupera la tecnica del paradosso nelle peripezie di un re europeo detronizzato, Shahdov-Shadow, che fugge in America e per sopravvivere è costretto a farsi plastiche facciali e girare spot per whisky e formaggini-fino a essere accusato di essere un comunista. La satira è acre come in passato, ma l’esperienza di Limelight distende i toni di un film un po’ sottovalutato da critica e pubblico, che sono invece concordi nello stroncare, dieci anni dopo, La contessa di Hong Kong. Il suo ultimo film è girato a colori, con Marlon Brando e Sofia Loren; recupera una sceneggiatura degli anni 30 scritta per la Goddard. E’ una piccola commedia vecchio stile, godibile, sicuramente priva della profondità del passato; eppure a distanza di anni sembra crescere e rivelare come il tocco di umanità del regista non si perda mai completamente per strada. La Loren è stranamente adeguata al personaggio, una taxi-girl russa che si imbarca come clandestina su una nave di milionari, mentre Brando è decisamente poco convinto (i suoi rapporti con Chaplin sul set erano pessimi).

Il declino fisico non impedisce a Chaplin di progettare negli ultimi anni un nuovo film, da girare con le figlie Geraldine e Victoria, attrici in quegli anni per registi come Saura e Pasolini; The Freak, ideale recupero della scena del pollo nella Febbre dell’oro, dovrebbe parlare di una ragazza a cui spuntano le ali. Rimane però solo un abbozzo di script. Chaplin muore il 25 dicembre 1977 nel suo ritiro svizzero, a Vevey; il mondo intero fa ancora una volta a gara per omaggiarlo: il vero rilancio popolare della creatività di questo genio avviene però soprattutto negli anni 90, quando l’uscita dei suoi film in Dvd (progetto di restauro tuttora in corso sostenuto dalla Cineteca di Bologna, che dovrebbe concluderlo entro il 2008), viene accompagnata dall’apertura dei suoi sterminati archivi.

 

immaginedi Stefano Aicardi

 
 
 
 
 

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