E’ sempre così, arrivano a quest’ora.Non ridono, non piangono, domandano.Mi chiedono dov’è Pablo, dove possono trovarlo.Io quasi sempre gli rispondo che non lo so, ma che su , in salotto, c’è quella mia amica medium di cui gli raccontai la volta che mi perquisirono la casa alla ricerca di quel benedetto calzino bianco.Che poi non trovarono e che continuano ancora oggi a cercare.Non dico bugie, Pablo viene qua tutti i giorni ma non ad orari fissi e non so mai da dove viene, dove andrà. Non glielo chiedo neanche.Posso vedere la sua mano che sposta le tende verdi dell’ingresso a qualsiasi ora.Quando entra con la luce del mezzogiorno i suoi capelli biondi sembrano quasi bianchi.Non mi bacia più da mesi e mi fa un favore, il suo alito è sempre benzina in combustione.Pablo ha rubato un calzino bianco al Signor Moscondoro, che qui a Felicia possiede un po’ tutto: case popolari in paglia e cocco, saponifici per prodotti extra-lusso, rivenditori di caramelle al latte di giumenta, bar per strozzini, bar per bambini, bar per cretini, case di cura per gente felice, un team di psicologhe astrologhe per lenire il tempo vuoto delle vecchiette con corone di fiori in testa.Il Signor Moscondoro è una persona calma e sorride sempre per via di una paresi, sopraggiunta una decina di anni fa ad illuminargli il viso di vecchio arabo truccato.Girava per le vie del porto addormentato, fra i suoi container di melograni marciti e di sciroppi anticarie, quando , si dice, la sua seconda moglie, che lui aveva delicatamente sgozzato in una domenica d’ inverno, non gli si parò radiosa davanti e con molta concretezza si avventò sul suo corpo d’ossi per pizzicarlo, grattarlo e solleticarlo allo spasmo.Rise il vecchio Signor Moscondoro più di paura che di sensi.E lì il riso gli si bloccò in faccia. La sua autorità in effetti ne ha risentito, ma ha cani mordaci intorno che sanno far tornare i conti delle sue imprese. Il calzino bianco glielo aveva regalato sua madre.Una donnona di duecento chili e più, che amava circondarsi di giovani sirene dalla pelle d’ebano, magre come paletti, denutrite.La leggenda del calzino vuole che il padre, Moscondoro senior, abbia usato quel calzino per proteggersi il pene nell’atto di concupire la gigantesca donna. Il seme, filtrato e selezionato, oltrepassò il tessuto e andò a incunearsi nell’unico ovulo buono che la cicciona aveva prodotto nella sua adiposa vita.Un caso fortuito. Una leggenda. Pablo lo trovò nel tempio dei Moscondoro. Andava lì non per venerare uno dei Dii presenti in versione marmorea, ma per leggere le migliaia di poesie che venivano incise con scalpello e cacciaviti.Lo bruciò il giorno stesso sulla spiaggia dei gabbiani. Un falò spettacolare, avevo sedici anni. L’odore sprigionato dalla combustione era lo stesso del mare, ma senza quel sentore di pesce e scarichi di nave. Era puro. Capimmo perché Moscondoro senior fuggì subito dopo l’atto amoroso. Adesso entrano, nella mia casa di sei stanze impilate, ogni due o tre sere, gli scagnozzi di Moscondoro convinti che io sia la ragion di vita del caro Pablo.Ma io sono Pablita e non voglio essere ragion di vita.