Angolo Cattivo

In banchina


 
 Ho costruito balconi per affacciarmi dai miei occhi, ma la notte ha bevuto il mare e cancellato il panorama dalle visuali di infiniti indomani. Ebbi il tempo per camminare: ricalcare tratte cicliche per gli avanti indietro sulla banchina deserta, rimbalzato dai margini immaginati e patiti un numero imprecisato di volte. Interruppi il passeggio sedendomi di fronte ad un locale. Due persone si fondevano e si staccavano durante il tempo di un'ordinazione. Una mano tende il bicchiere e l’altra lo tende verso la bocca. Il bicchiere scuro prolunga la notte ma a poco a poco si svuota. Lo accompagno con un cenno distratto e poi ci riprendiamo la nostra solitudine, la mia che pare una strada mozzata all'infinito di ulteriore buio e di mistica foschia portuale, la sua che a goccia a goccia trova il fondo. Non ho niente da osservare se non sorsi d'ombra salmastra e pensieri gorgoglianti verso i tubi di scarico, del cliente del bar e del suo gomito etilico e frenetico come un sassofono. L'assolo termina senza applausi, il bicchiere cede la sua trasparenza alla notte e perplessità ipnotiche e scarpe ingarbugliate all'uomo che paga, si alza e se ne va. La saracinesca ora potrà ghigliottinare la notte mentre il singhiozzo del cliente scandisce solitudini, ridimensiona megalomania e furore e rincara i bollettini da pagare, nel cassetto. Il bar chiude. Il cameriere si illumina di nuova solitudine, del flash bluastro del televisore che si spegne e del persistente sibilo cotonoso di musica azzittita. Io sto seduto al mio posto, ancora là a supporre bocche beanti sulle isole di rossetto dei calici prosciugati e lunghe dita smaltate abbracciarne morbidamente lo stelo, ghiacci liquefatti che affondarono flotte di Titanic emotivi dalle ciurme ammutinate. La mia notte è iniziata tardi, elegante e misantropa, sa solo ricreare personaggi senza viverli. Mentre la saracinesca scende lenta e fatale nel suo meccanismo, agito con gli sguardi le bottiglie senza tappo e senza effervescenze, come tozze palazzine di città di provincia. La calura ha reso fuggiaschi gli spiriti, ormeggiati nei vetri spessi ed evasivi gongolanti nella trippa degli ubriachi ed ora si spartisce la notte con il vento, senza lacerarla. Lascio scorrere sequenze prevedibili: baratto quello schiaffo di ferramenta con la persistenza notturna di carta stropicciata che pochi istanti prima fu ritmo e fu quasi richiamo, poi proseguo abbracciato con gli occhi al cliente che diventa viandante, lungo il suo miraggio avviluppato nella lingerie e con le sue certezze domiciliate nel blister di benzodiazepine, dentro il solito cassetto pieno di debiti. Accompagno il vento senza farmi spingere, senza sentirlo amico. Immaginerò che culla il mare. Immaginerò che il mare ci sia. Poi vi annegherò.