Angolo Cattivo

Sotto un cielo crudo (Versione post-beta)


Mi lasciai dimenticare, gettandomi lontano dai panorami polimerizzati di una Babilonia minore.Congelai la nostalgia nelle celle frigo di una macelleria incruenta, ma non appesi desiderio ai corpi ignudi sui ganci ricurvi dei mattini sognanti.Mi penetrò dentro, sino alle ossa, tutta l'umidità di una stagione spenta, ingrossando i torrenti intossicati dai flussi costanti di me.Le mie mani si imposerò epilettiche sui padiglioni e fui così, capace di non sentire me stesso, di sospendermi sino a rarefarmi pur conservandomi in un continuo e salvifico rimandare.Mesi di plastica si fusero nell'anemica dissolvenza di ogni tensione, mescolati dai venti corsari in un braccio di mare, lasciandomi mucchi di noia da smaltire senza fretta con la forchetta spuntata di un destino parsimonioso.Le mie navigazioni abuliche cozzarono all'orizzonte con ogive alate crocifisse nella stratosfera: rimasero opacamente incistate in uno sfondo post bellico, totalmente demilitarizzato.Calpestai ciottoli grigi e neri come un gesso sulla lavagna, poi poggiai i miei passi sul tappeto ispido di silenzi acuminati, muovendomi strisciante tra stravaganze pietrificate.Briciole di lava arroventavano di memorie magmatiche, alternando vivide coccarde muschiate ad enfasi ferruginosa tra costellazioni luccicanti di silicio in un cielo di ossidiana.Ogni altro campione visivo raccolto, esprimeva secchezza mimetica, vegetale e vegetante, su cui confondere il mio movimento e le mie pause fluide, senza disorientamento olfattivo, senza turbamento, senza cenni di posa contemplativa per il recupero di un eden disidradato.Lo scirocco imbastardiva il pallore di un cielo crudo con una carezza cerea di pulviscolo e sabbia, quasi cremosa, senza ruvidezze.Confusi il respiro di un passo affrettato con lo sciamare bulimico su esplosioni floreali sgargianti, prima dello strapiombo che sfaldava fatalmente ciottoli e terreno brumoso nella perdizione intensamente blu del mare.Gli occhi restarono entrambe aperti, senza bruciare per esposizioni luminose eccessive.Il giorno difettoso smitizzò il ciclope bianco, allargò le sue crepe bigie malate di tempo, narcotizzò il guardiano nato insonne, interrompendo il girotondo del suo unico occhio incandescente sulla pelle del mare e sulle tuberosità aspre del suolo.La nave così naufragò senza l'unzione sanguigna del tramonto.Tornai indietro nel mio asilo abituale come se fosse ovvio, come se fosse tutto normale, ed in quella inesorabilità nascondevo la delusione per uno scafo colato a picco senza l'abbraccio del porto.Lungo il tragitto rivivevo sequenze post belliche narrate da luoghi muti, smarrendo persino la pretesa emozionale della fuga.Un aereo emerse puntiforme invertendo la sua rotta di eterea inerzia, un altro aereo ed un altro ed altri ancora infoltivano lo stormo stilizzando concetti di minaccia, increspando nervosamente la bianca e filante bava di ogni reattore, parallela all'orizzonte.Il rumore rapido silenziò i messaggi di pace, con un ronzio vorace di terra, di voragine, di profondità, di pietre da inghiottire come pane raffermo, da scagliare come dardi, da sputare come vomito, come nuova terra per dilatare le propaggini mutilate di un'isola, poi corroderle, liquefarle, pietrificarle di nuovo nella ciclicità del disfacimento e della rinascita.Solo pochi secondi e da prigioniero, divenni fuggitivo, inesperto naufragai, perso nell'indolenza mi riscoprii rivoltoso, poi collerico, così violento da diventare esplosivo ed infine distruttivo.Un cielo che si svuota, appare ancora più vasto, ancora più vuoto, ancora più crudo.Senza amici, senza nemici, come l'unico sopravvissuto in uno stato di tregua.Frammentaria è ogni mia voce, senza senso compiuto quelle mie parole orfane di periodi completi e di interlocutori.Nessuna vittoria, nessuna sconfitta, come sempre in ogni desertica pace.Ho spento il motore e spengo la radio.La guerra adesso è di nuovo finita.