Angolo Cattivo
"Luminoso e solo, come se fossi la prima stella della sera, minuscolo e buio, come se fossi l’ultimo uomo del mondo."
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Balbetto favole tra i cammini solitari, tra tentazioni astratte e realtà precipitose.
Un solo protagonista percorre i canali occasionali battuti dal vento, nella ciclica riproposizione di una stagione unica, dolorosamente lunga.
Sono ancorato a pensieri che assorbono nella noia umori non solidificati e succhi emotivi che si innalzano come scintille audaci e ricadono come cenere leggera.
Calpesto visivamente i mosaici grigi di un cielo autunnale rivissuto attraverso i rami secchi e le finestre continue, poi annaspo tra coperte accartocciate, penisole di pigrizia e di calore gradite, territorio sterminato di sogni a tratti scomodo ed irritante.
La favola vive la sua dimensione divergente, io l'ho abbandonata per godere della mia oasi sterile, quindi ne ho perso il copione, la trama, l'immagine sorridente di un lieto fine evitato.
Le settimane trascorrono, senza sottrarmi l'opacità ed il ritmo blando, la passiva commemorazione di un tempo diversamente vivibile, le occasioni sfumate, le corse frenate, all'improvviso e senza ragione, del sangue nelle vene.
Balbetto parole di carica vitale, con la fatica che le spezza, con i denti che masticano aria e nella grinta spengono gli occhi strappandone i contorni di futuro.
Non penso a correre, parto stanco, c'è andatura poco sostenuta, fatica che affiora da muscoli provati ancora turgidi.
La solitudine mi coinvolge, come se sentissi il respiro, non mio, come se frammenti di parole appena dette fossero il vocio del mondo accalcato dietro una parete sottile, non scarti biascicati di malumore limitati ad una stanza stancamente vissuta.
La finestra un pò distante è dietro ai miei occhi e di fronte alla vita.
I passi sono conservati nei piedi posati, la favola perde le pagine di sogni non ricreati, l'amore rattrappito è un ricordo senza rimorso, naufragato nell'impeto solitario e nelle scariche occasionali di un piacere diverso.
Il protagonista tace fermo, la carrozza l'ha persa, i suoi piedi non trovano il ballo, le sue mani non hanno altre mani, quindi si alza quasi angosciato in quel grigio che sa di notte spezzata, cercando la finestra come via di fuga disperata e felice.
La voce irrompe nel vento muto della camera, poi si zittisce mentre aumenta il respiro, il ritmo, il battito, mentre il pavimento dietro una porta sbattuta diventa asfalto, erba, terra, campi seminati di desiderio, ed allora io corro, io urlo, io vivo, scalzo, nudo, senza pietre in tasca, senza freddo dentro.
Ritrovo la vita.
Aspetto una nuova favola.
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