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Post n°49 pubblicato il 04 Ottobre 2011 da Studiolegaleniro
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Post n°47 pubblicato il 29 Novembre 2010 da Studiolegaleniro
“Il coniuge separato non ha diritto ad ottenere dall'altro coniuge un assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne con il medesimo convivente se quest'ultimo, nonostante non abbia raggiunto un'autosufficienza economica, abbia tuttavia già espletato delle attività lavorative sì da dimostrare il raggiungimento di un'adeguata capacità. In siffatta ipotesi, dunque, viene meno l'obbligo di mantenimento da parte dell'altro genitore che non potrà, pertanto, ripristinarsi al sopraggiungere di circostanze, quali la cessazione del rapporto di lavoro, che rendano il figlio privo di sostentamento economico, giacchè i presupposti sottesi al predetto obbligo sono già venuti meno”. È questo il principio che la Corte di Cassazione ha affermato con la sentenza n. 23590 del 22 novembre scorso. Tale pronuncia prende le mosse dal ricorso di una donna separata che in primo grado si era vista ridurre l'assegno di mantenimento corrispostole dal marito. La decisione in primo grado fu dettata da una diminuzione dei redditi del coniuge, da un miglioramento della situazione patrimoniale della ricorrente e della raggiunta indipendenza economica del figlio, ormai divenuto maggiorenne. In appello, l'assegno per il mantenimento veniva ridotto ulteriormente, con la cessazione dell'assegno di mantenimento del figlio maggiorenne. La donna ricorreva, pertanto, in Cassazione lamentando l'ingiustificata riduzione dell'assegno di mantenimento e l'illegittimità della statuizione in ordine alla cessazione dell'assegno a favore del figlio maggiorenne con lei convivente, che non poteva ritenersi entrato stabilmente nel mondo del lavoro essendo rimasto disoccupato dopo la scadenza del suo contratto di lavoro a tempo determinato. Gli Ermellini in merito alla cessazione dell'assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne, ha ribadito, come da consolidata giurisprudenza, che “il diritto del coniuge separato di ottenere dall'altro coniuge un assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest'ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato iniziato ad espletare un'attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di un'adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento da parte del genitore, senza che assuma rilievo il sopravvenire di circostanze ulteriori le quali, se pur determinano l'effetto di renderlo privo di sostentamento economico, non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti siano già venuti meno”. |
Post n°46 pubblicato il 11 Ottobre 2010 da Studiolegaleniro
I nonni non devono al nipote, al posto del figlio separato inadempiente, né il mantenimento né gli alimenti se la madre del bambino è in condizioni economiche tali da riuscire a provvedere da sola al piccolo. Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 20509 del 30 settembre 2010, ha respinto il ricorso di una mamma che aveva chiesto al suocero di concorrere al mantenimento del nipote dato che il figlio, condannato dal giudice della separazione a provvedere, non aveva mai versato l’assegno. L’unico rimedio esperibile è fare causa all’ex. La vicenda riguarda una coppia di Lecce. Dopo la separazione lei non aveva avuto nulla dall’ex marito e per questo aveva fatto causa ai suoceri, peraltro molto ricchi. Il Tribunale pugliese, a gennaio del 2004, le aveva dato ragione fissando un assegno a carico del nonno di 700 euro mensili. Poi la Corte d’Appello aveva cambiato idea sostenendo che i nonni non avrebbero dovuto sostituirsi al figlio inadempiente. Non solo. La signora era laureata e aveva un lavoro, dunque, avevano concluso i giudici, era perfettamente in grado di provvedere al bambino. Questa decisione è stata confermata in Cassazione. Infatti la prima sezione civile ha respinto il ricorso della mamma chiarendo che “l’articolo 147 del codice civile impone ai genitori l’obbligo di mantenere i propri figli. Tale obbligo grava su di essi in senso primario ed integrale, il che comporta che se l’uno dei due non voglia o non possa adempiere, l’altro deve farvi fronte con tutte le risorse patrimoniali di cu dispone e deve sfruttare la sua capacità di lavoro, salva comunque la possibilità di agire contro l’inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle sue condizioni economiche. Solo in via sussidiaria, dunque succedanea, si concretizza l’obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari per adempiere il loro dovere nei confronti dei figli previsto dall’articolo 148 del codice civile, che comunque trova ingresso non già perché uno dei due genitori sia rimasto inadempiente al proprio obbligo, ma se ed in quanto l’altro genitore non abbia mezzi per provvedervi”. |
Post n°45 pubblicato il 07 Ottobre 2010 da Studiolegaleniro
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26587 depositata il 17 dicembre 2009, ha stabilito che il giudice della separazione può derogare alla regola dell'affido condiviso, introdotta con la riforma del 2006, e decidere per l’affido esclusivo ad uno dei genitori, quando l'altro non versa ai figli l’assegno di mantenimento. La Suprema Corte ha motivato la decisione affermando che “perché possa derogarsi alla regola dell'affidamento condiviso, occorre quindi che risulti, nei confronti di uno dei genitori, una sua condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa o comunque tale appunto da rendere quell'affidamento in concreto pregiudizievole per il minore (come nel caso, ad esempio, di un'obiettiva lontananza del genitore dal figlio, o di un suo sostanziale disinteresse per le complessive esigenze di cura, di istruzione e di educazione del minore), con la conseguenza che l'esclusione della modalità dell'affidamento esclusivo dovrà risultare sorretta da una motivazione non più solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa del genitore che in tal modo si escluda dal pari esercizio della potestà genitoriale e sulla non rispondenza, quindi, all'interesse del figlio dell'adozione, nel caso concreto, del modello legale prioritario di affidamento”. |
Post n°44 pubblicato il 06 Settembre 2010 da Studiolegaleniro
da Studio Cataldi Giro di vite contro gli ex coniugi che rendono difficoltose all'altro genitore le visite ai figli. La Corte di Cassazione ha infatti stabilito che in casi del genere può scattar ela condanna al risarcimento del danno per il mancato affetto. La decisione è della Sesta sezione penale della Corte (sentenza n.32562/2010) che si è occupata del caso di un papà di ravenna a cui la ex aveva "pretestuosamente negato l'esercizio del diritto di visita" della figlia quattordicenne. I giudici di Piazza Cavour, oltre alla condanna penale per la mancata esecuzione dolosa del provvedimento del giudice (prevista dall'art. 388 c.p.) ha stabilito che il coniuge cui viene negato questo diritto deve essere risarcito del danno morale per il "rapporto difficoltoso" con i figli. La donna era stata già condannata dalla Corte di Appello di Bologna a 4 mesi di reclusione e al risarcimento del danno. La donna si è rivolta alla Cassazione contestando in particolare al condanna al risarcimento del danno che riteneva non provato. La Corte ha respinto il ricorso evidenziando la legittimità della pronuncia di condanna al risarcimento essendo stato "reso difficoltoso il rapporto" tra padre e figlio. |