Creato da Studiolegaleniro il 28/08/2009
Giurisprudenza commentata in materia di Diritto di Famiglia & Minori a cura delll'Avv. Fortunato Niro

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Comodato e Separazione - Cass. - Sentenza 7 luglio 2010 n. 15986

Post n°43 pubblicato il 08 Luglio 2010 da Studiolegaleniro
 

Con la sentenza in oggetto i Giudici della Suprema Corte hanno affermato il diritto alla restituzione della casa concessa in comodato dai suoceri al figlio ed alla moglie, ed adibita ad abitazione familiare, anche se dopo la separazione l'immobile è stato assegnato alla donna affidataria dei figli.
Gli Ermellini hanno affermato come la "convenzione negoziale (comodato) fosse privo di termine integrando, così, la fattispecie del c.d. comodato precario" che si caratterizza dalla circostanza che la determinazione del termine di efficacia del vinculum juris è rimesso alla volontà del solo comodante che ha, pertanto, facoltà di manifestarla ad nutum con la semplice richiesta di restituzione del bene, senza cheassuma rilievo la circostanza che l'immobile sia stato adibito a uso familiare e sia stato assegnato, in sede di separazione tra coniugi, all'affidatario dei figli".
Tale pronuncia ricalca analoga sentenza della Suprema Corte (20 ottobre 1997, n. 10258) con la quale i Giudici affermarono "Il comma sesto dell'art. 6 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74, nel prevedere che "l'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli..." e che "l'assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell'art. 1599 del codice civile", pur facendo riferimento alle disposizioni sulla locazione, si applica anche ad altri titoli di godimento, quali il comodato. Tuttavia la trascrizione lascia immutato la qualifica del contratto e l'opponibilità corrisponde al contenuto del titolo preesistente. Consegue che il coniuge assegnatario dell'appartamento dato in comodato è tenuto a restituire l'immobile a richiesta del comodante, secondo quanto dispone l'art. 1810 cod. civ."

 
 
 

Riduzione dell'assegno di mantenimento se il coniuge paga il mutuo della casa assegnata alla moglie

Post n°42 pubblicato il 30 Giugno 2010 da Studiolegaleniro
 

I giudici della Suprema Corte con la sentenza del 25 giugno scorso hanno stabilito che fino a quando c'è il mutuo da pagare, la misura dell'assegno di mantenimento riconosciuta all'altro coniuge può essere ridotta.

Gli Ermellini, infatti hanno riconosciuto che "è legittima la decurtazione dell’assegno di mantenimento" per il fatto che "il coniuge cui spetta l’obbligo dell’assegno "sta pagando per intero ... la rata del mutuo della casa coniugale"  (acquistata in regime di comunione legale ed assegnata alla moglie pur in mancanza di figli) in cui vive la moglie.

 

Di seguito la sentenza per esteso.

 

Cass. civ. Sez. I, 25-06-2010, n. 15333

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente

Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere

Dott. SCHIRO' Stefano - Consigliere

Dott. CULTRERA Maria Rosaria - rel. Consigliere

Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 34655/2006 proposto da:

D.M.C. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in Roma, Via Paolo Emilio 57, presso lo studio dell'avvocato GRECO MARCELLO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato Baiani Domenico, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

G.E.;

- intimato -

Sul ricorso 3467/2007 proposto da:

G.E. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in Roma, Via Emilio Faà di Bruno 4, presso l'avvocato Licciardello Orazio, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato Talotta Maia Raffaella, giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

D.M.C., elettivamente domiciliata in Roma, Via Paolo Emilio 57, presso l'avvocato Greco Marcello, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato Baiani Domenico, giusta a procura a margine del ricorso principale;

- controricorrente al ricorso incidentale -

Avverso la sentenza n. 5448/2005 della Corte d'Appello di Roma, depositata il 15/12/2005;

udita la reiezione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/05/2020 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;

udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale l'Avvocato L. DELFINI, per delega, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso incidentale, rigetto del ricorso principale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

 

Svolgimento del processo

Con ricorso 10 maggio 1999 G.E. ha chiesto al Tribunale di Viterbo di pronunciare la separazione personale dalla moglie D.M.C. a causa di insuperabili divergenze caratteriali, impeditive di pacifica convivenza. Ha affermato di essere privo di reddito al contrario della moglie che invece lavorava alle dipendenza di una ditta di autotrasporti.

Regolarmente costituita, la D. ha chiesto che la separazione venisse addebitata al marito, il quale peraltro svolgeva attività d'informatore farmaceutico ed aveva partecipazioni in una impresa commerciale.

Il Tribunale, con sentenza 2.9.2002, ha dichiarato la separazione con addebito al G., a cui carico ha posto il contributo di mantenimento di Euro 400 mensili a favore della moglie, alla quale ha altresì assegnato la casa coniugale.

La decisione, impugnata dai G. innanzi alla Corte d'appello di Roma, è stata parzialmente riformata con sentenza n. 5448 depositata il 15 dicembre 2005.

D.M.C. ha impugnato questa decisione con ricorso per cassazione affidato ad unico motivo cui ha resistito l'intimato con controricorso contenente ricorso incidentale in base a due mezzi resistiti dalla ricorrente principale.

 

               

Motivi della decisione

Preliminarmente si dispone la riunione dei ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c., in quanto sono stati proposti avverso la medesima, decisione.

La ricorrente denuncia vizio di omessa, illogica e contraddittoria motivazione per aver la Corte d'appello, che pur ha asserito che la questione concernente il pagamento del mutuo non rappresentasse oggetto di gravame, giustificato la decurtazione dell'assegno di mantenimento in suo favore proprio a cagione del pagamento dei mutuo da parte del marito.

Quest'ultimo deduce infondatezza dei mezzo.

Il motivo è infondato.

La decurtazione dell'assegno di mantenimento dovuto dal marito separato alla ricorrente all'importo di Euro 200,00 mensili è stato giustificato dalla circostanza dei pagamento da parte del predetto dell'intera rata di mutuo gravante sulla casa coniugale, acquistata in regime di comunione, che, pur in assenza di prole, è adibita ad abitazione della moglie. Tale argomentazione non contrasta con l'affermazione che la ripartizione del mutuo non rappresentasse questione devoluta in appello. Trattasi piuttosto di un apprezzamento di un fatto sicuramente incidente sulla determinazione del contributo, ammissibile e non sindacabile nel merito.

Il ricorso e deve perciò essere rigettato.

Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia violazione dell'art. 151 c.c., e correlato vizio di motivazione, affermando che la decisione impugnata ha erroneamente statuito l'addebito della separazione a carico del G., incorrendo nel vizio denunciato per non aver considerato la possibilità che il suo allontanamento fosse non già la causa, ma l'effetto della crisi coniugale, come pur era emerso in giudizio. La stessa D. ha ammesso che egli si era allontanato perché c'erano contrasti. Dalle dichiarazioni dei testi escussi si evince la prova dei dissidio tra i coniugi a far tempo dall'(OMISSIS) e non già che la crisi sia insorta a causa del comportamento di progressivo suo distacco ed abbia poi assunto carattere insanabile a causa del suo definitivo allontanamento.

La controricorrente ne deduce l'inammissibilità.

Il motivo è inammissibile.

Alle puntuali argomentazioni della decisione che ha individuato la causa e non l'effetto della crisi coniugale nel fatto che il G. aveva desunto un progressivo atteggiamento di disinteresse verso la moglie, trattenendosi fuori casa durante la notte, e finendo per allontanarsi definitivamente nell'(OMISSIS), il ricorrente replica confutando la fondatezza di tale ricostruzione in punto di fatto nonché dell'apprezzamento nei merito dei fatti esaminati. Già per tale ragione inammissibile. La censura peraltro richiama senza la necessaria autosufficienza il contenuto delle deposizioni testimoniali, di cui non riproduce tenore a contenuto.

Il sindacato richiesto non può per tali ragioni trovare ingresso.

Il secondo motivo del ricorso incidentale deduce violazione dell'art. 156 c.c., ed ancora vizio di motivazione. Lamenta il mancato accoglimento della richiesta di revoca dell'assegno di mantenimento attribuito alla D., fondata sulla disponibilità da parte di quest'ultima, peraltro comproprietaria dalla casa coniugale al 50%, di redditi propri che le consentono di mantenere il precedente tenore di vita.

La controricorrente ne deduce l'inammissibilità.

La censura mira palesemente ad une rivisitazione nel merito delle circostante riferite, il cui apprezzamento contesta confutandone la fondatezza. Non indirizza alcuna critica al tessuto motivazionale della decisione né tanto meno all'esegesi della norma, rubricata offerta dall'organo giudicante. La Corte territoriale, nella ricerca del giusto equilibrio tra le effettive capacità economiche dei coniugi, valutate nel complesso degli elementi fattuali non necessariamente reddituali, ma comunque capaci d'incidere almeno approssimativamente sulle condizioni economiche, in cui si concretano le circostanze rilevanti ex art. 156 c.c., comma 2, ha determinato il quantum che ha ritenuto lo abbia assicurato. Tale motivo critica nel merito il risultato di questa indagine. E' perciò inammissibile.

Ne discende il rigetto del ricorso. ha reciproca soccombenza giustifica la compensazione Integrale delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del presente giudizio.

 

 

 

 
 
 

Regime patrimoniale dei coniugi - Acquisto in regime di comunione mediante denaro proprio

Post n°39 pubblicato il 16 Giugno 2010 da Studiolegaleniro
 

Con sentenza n. 10855 dello scorso 5 maggio i giudici della Suprema Corte hanno stabilito che nel caso di acquisto di un bene,  in vigenza di un  regime di comunione legale  tra i coniugi, attraverso l'utilizzo di altro bene, di cui sia certa l'appartenenza al coniuge acquirente prima del matrimonio, l'acquisto dovrà ritenersi escluso dalla comunione legale e di natura personale al solo coniuge acquirente, senza che sia necessario rendere la dichiarazione di cui all'art. 179 lett. f) c.c.

Tale acquisto deve ritenersi tale anche nel caso in cui il bene impiegato  sia del denaro appartenente al solo coniuge acquirente.

Invero, la natura di bene fungibile riconosciuta al denaro e le connesse problematiche relative alla titolarità dello stesso non possono comunque ostacolare l'applicabilità dell'art. 179 lett. f) nel caso in cui sia certa la natura personale di tale bene, in quanto acquisito già prima del matrimonio, e la conseguente natura personale del bene con esso acquistato.

 
 
 

La pronuncia sul divorzio può "sorpassare" quella sul mantenimento

Post n°38 pubblicato il 10 Maggio 2010 da Studiolegaleniro
 

da ItaliaOggi

Sì alla sentenza di divorzio prima della decisione definitiva sul mantenimento. La Cassazione accelera le cause di divorzio. Infatti, per impedire che problemi e ritorsioni fra ex rallentino il procedimento va considerata valida la pronuncia di divorzio anche se il giudice non ha deciso sul mantenimento, confermando intanto l'assegno fissato provvisoriamente con la separazione. Lo ha stabilito la Suprema corte che, con la sentenza n. 9614 del 22/4/2010, ha respinto il ricorso di una signora che chiedeva, prima che fosse emessa la sentenza di divorzio, che la decisione definitiva anche sul mantenimento. In particolare la donna in sede si separazione aveva ottenuto un assegno da parte dell'ex di 20 mila euro al mese e aveva chiesto al giudice alla Corte d'appello di Roma, in sede di divorzio (prima ancora al tribunale della capitale), che la misura del mantenimento passasse a 35 mila euro al mese. I giudici di merito le avevano dato torto. Così lei ha fatto ricorso in Cassazione ma senza successo. In particolare gli Ermellini hanno sottolineato la legittimità di una separazione fra la pronuncia di divorzio e la decisione definitiva sull'assegno di mantenimento. Ciò perché tutte le decisioni collaterali, anche quelle sugli alimenti ai figli, sull'assegnazione della casa, sul tfr, potrebbero essere una scusa per frenare lo scioglimento del vincolo matrimoniale. In proposito la Suprema corte ha motivato che «nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell'assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. Avverso tale sentenza è ammesso solo appello immediato. Appena formatosi il giudicato, si applica la previsione di cui all'articolo 10», che a sua volta detta la disciplina sul riconoscimento e sulla determinazione dell'assegno di divorzio». Questa disposizione, sottolinea Piazza Cavour, «è stata introdotta dal legislatore allo scopo di delineare uno strumento di accelerazione dello svolgimento del processo, favorendo il più possibile, attraverso l'imposizione dell'appello immediato con esclusione della riserva facoltativa di impugnazione, la formazione in tempi brevi del giudicato sulla pronuncia di divorzio (e di separazione, ai sensi dell'art. 23, primo comma, della stessa legge n. 74 del 1987), così frustrando gli intenti dilatori che pongano ostacoli a un rapido intervento della decisione sullo status matrimoniale tale da eliminare l'incidenza negativa della durata della controversia attinente ai rapporti diversi da quello personale tra i coniugi». Non solo, «configura non una deroga, ma un'ipotesi di applicazione del principio generale di cui all'art. 277, secondo comma, cod. proc. civ. (e all'art. 279, primo comma, n. 4, dello stesso codice), con l'unico elemento distintivo della sostituzione, rispetto all'istanza di parte ed alla necessaria verifica della sussistenza dell'apprezzabile interesse di questa alla sollecita definizione della domanda, di una valutazione generale ed astratta della rispondenza della pronuncia non definitiva ad un interesse siffatto». E ancora, la norma «è stata estesa dalla giurisprudenza di questa Corte, condivisa dalla maggioranza della dottrina, ad ogni caso in cui restino ancora da definire, non soltanto i rapporti patrimoniali dei coniugi, ovvero la spettanza o la quantificazione dell'assegno di divorzio o l'assegnazione della casa familiare o il diritto alle quote delle indennità di fine lavoro, ma altresì quelli, patrimoniali e non, nei riguardi dei figli, o anche altre questioni pendenti tra le parti che richiedano un'ulteriore istruttoria». Viene infine intesa dalla prevalente dottrina «nel senso che il tribunale, qualora la causa sia matura per la decisione sul divorzio, ma non per quella sull'assegno, anche d'ufficio, (non può, ma) deve, senza alcun potere discrezionale in merito, pronunciare sentenza non definitiva sul divorzio medesimo».

 

 
 
 

L'affido condiviso alla ricerca del riordino

Post n°37 pubblicato il 21 Aprile 2010 da Studiolegaleniro
 

da il Sole24Ore

Parte la riforma dell'affido condiviso. Oggi la commissione Giustizia del Senato inizierà la discussione sul disegno di legge che interviene a modificare alcuni aspetti della disciplina approvata nel 2006. Il provvedimento ha come obiettivo quello di eliminare i problemi più rilevanti emersi in questi primi anni. Tra questi, quella che la relazione al testo qualifica come «la più insidiosa forma di non applicazione della legge n. 54 del 2006» e cioè il proliferare di sentenze in cui a un formale riconoscimento di affidamento condiviso si accompagnano invece modalità e contenuti di fatto identici a quelli di un affidamento esclusivo. Per questo il disegno di legge rafforza il diritto del minore a un rapporto equilibrato con entrambi i genitori, prevedendo la pariteticità di questi in materia di cura, educazione e istruzione. Un diritto all'affidamento condiviso che non può essere influenzato dall'età dei figli, dalla distanza tra le abitazioni dei genitori e il tenore dei loro rapporti. Toccherà poi al giudice determinare i tempi e le modalità della permanenza dei figli presso ciascun genitore «stabilendone il domicilio presso entrambi, salvi accordi diversi dei genitori, e tenendo conto della capacità di ciascun genitore di rispettare la figura e il ruolo dell'altro». Quanto al mantenimento, il disegno di legge si preoccupa di chiarire che ciascuno dei genitori dovrà contribuire in maniera diretta, tenendo conto che il costo dei figli dovrà essere calcolato con riferimento da una parte alle sua attuali esigenze, dall'altra alle attuali risorse economiche complessive dei genitori ( senza più riferimenti al tenore di vita passato, ormai sconvolto dalla separazione). Come contributo diretto il giudice deve valutare anche il valore economico dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. Inoltre, il disegno di legge sottolinea come non è facoltà del giudice scegliere a sua discrezione fra affidamento condiviso e esclusivo, ma solo proteggere il minore da uno dei genitori se l'affidamento condiviso potesse provocargli un pregiudizio. Si stabilisce che il cessato uso della casa familiare come abitazione o l'introduzione in essa di un soggetto estraneo fa venire meno quei requisiti di habitat naturale dei figli che permettono di superare le normali regole di godimento dei beni immobili. Tra le proposte di riforma c'è spazio anche per l'intervento del giudice sugli atti compiuti da uno dei genitori in pregiudizio all'altro: l'autorità giudiziaria dovrà muoversi non tanto in una prospettiva punitiva o risarcitoria, ma con l'obiettivo di ripristinare nei limiti del possibile la situazione precedente.

 
 
 
 
 

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