Stultifera Navis

Zavorre dal passato


Qualche sera fa ero a cena a casa di amici conosciuti da poco e così, chiaccherando, chiaccherando, mi sono trovato a parlare della mia infanzia , periodo che dovrebbe essere felice per antonomasia, dal quale però mi accorgo di portare un retaggio pesante.Il metodo educativo di mia madre era quello di farci tendere in uno sforzo per migliorarci sempre, dichiarandosi sempre insoddisfatta di noi, dicendoci che non eravamo mai abbastanza buoni, abbastanza educati, abbastanza diligenti a scuola ecc...Il suo obiettivo, neppure troppo celato era Domenico Savio, diventato santo all'età di quindici anni.Un metodo educativo che ricorda vagamente la carota messa davanti al muso dell'asino per invogliarlo a camminare per raggiungerla.Essendo però la carota appesa all'asino stesso rimaneva sempre alla stessa distanza dal muso e quindi l'asino procedeva senza raggiungerla mai.Se per l'asino poteva forse funzionare, nella vita quotidiana, questo sforzo mai ripagato diviene prima frustrazione, poi rivolta e così dalla quinta elementare in poi ho iniziato a dare veri dispiaceri.Non è stata una scelta cosciente e consapevole, è stato piuttosto un istinto quasi di sopravvivenza, il citato santo era morta a 15 anni ed io non volevo fare la stessa fine.Con il passare del tempo ho modificato il mio carattere, l'ho reso più forte, chi mi conosce oggi sa che sono notevolmente centrato su me stesso e sono abbastanza immune al pensiero che gli altri hanno su di me, eppure...... eppure quella sensazione di non essere perfetto, quell'intima irritazione personale quando le cose non mi vengono bene o mi accorgo di non essere stato al livello di perfezione che avrei voluto, mi colpisce ancora e mi amareggia la vita.E' una battaglia del tutto interiore, ma quel seme che mia madre aveva piantato in me è diventato un arbusto che ancora pretende ed occupa il suo spazio rovinandomi spesso i momenti ed obbligandomi ad un duro lavoro per ritrovare, in me stesso, la stima di me.Come detto è qualcosa che mi accade dentro, fuori non traspare nulla se non forse una vaga inquietudine, legegro malumore.Poi magari mi rendo conto che altri sono molto meno perfetti di me, ma non c'è nulla da fare, non mi curo degli altri e non mi misuro con gli altri, se non forse quando vedo spazi per migliorare, ma questa sensazione di mancata perfezione è un veleno che quel bambino diventato ormai uomo, deve continuare a bere