Creato da docsamurai il 23/04/2009

SUBARAU

per una nuova etica del Kendo

 

INTERLOCUTORI CERCANSI!

Questo blog è di tutti. Qualcuno scrive, ma consapevole che i Vangeli sono già stati redatti. Qui ogni affermazione è discutibile. Cerchiamo sinceramente interlocutori sereni e critici per un confronto utile a tutti. Leggeteci e, soprattutto, dateci del Vostro. Il Kendo ne ha bisogno.

 

IL DECALOGO DELL'ARBITRO DI KENDO

1. Seguire corsi tecnici tenuti da attuali competenti per futuri competenti

2. NON arbitrare in tornei importanti senza un'adeguata esperienza

3. Farsi la confessione e la comunione prima di ogni gara. Se non credenti o se appartenenti a religioni che non prevedano nè l'una nè l'altra, farsela lo stesso. Aiuta.

4. Dotarsi di adeguati apparati ottici dopo essersi sottoposti a visita oculistica specialistica.

5. Ascoltare i consigli dei Maestri che conoscono veramente il kendo: poco importa il numero dei dan, molto importa la capacità tecnica e di spirito.

6. Spogliarsi da ogni sudditanza e acquisire personalità di giudizio

7. Rifiutare il nepotismo

8. Rigettare l'esterofilia

9. Mettersi in discussione

10. E, soprattutto, rispettare i kendoka

 

 

 

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Spirit of Kendo

Post n°4 pubblicato il 01 Maggio 2009 da docsamurai

Il successo nel kendo si fonda su un principio naturale, cosmico: la supremazia del più forte. La Natura, nelle sue cose, opera in questo senso offrendo ai suoi membri – e secondo suoi criteri - doti più o meno spiccate. Maggiori e più affinate le doti, superiore la possibilità che l’essere vivente sopravviva al conflitto naturale e che, reciprocamente incrociandosi, migliori la specie d’appartenenza.

Il conflitto è però necessario: senza l’opposizione aggressiva dei contendenti non sarebbe possibile determinare le condizioni che fanno degli individui viventi – suddivisi per specie – i più adatti alla sopravvivenza.

In altre parole, la Natura è una guerra continua.

La differenza di fondo tra tutte le specie viventi e quella umana è che le prime agiscono sulla base di un puro istinto affidato alle loro elementari funzioni cerebrali; la specie umana, invece, aggiunge al puro istinto la facoltà della valutazione e considerazione delle circostanze (il contesto e la prospettiva), che all’atto del conflitto si traduce in strategia.

La parte non più soltanto intellettiva, ma anche intellettuale della contesa si riduce a poca cosa, però, se si perde il senso ancestrale, originale, del conflitto per la sopravvivenza.

Gli occidentali in genere e ancor più gli europei contemporanei non sono più avvezzi a pensare in termini di sopravvivenza. L’idea della Morte – che è l’angoscia profonda che tutto smuove con energia – sonnecchia infatti latente nelle lontane nicchie della loro coscienza, non ne influenza più la quotidianità, non sorge ad imporre quelle scelte severe e risolute che sarebbero, invece, dovute da ognuno a se stesso.

Temperamento e Personalità degli individui umani hanno subito una contrazione, si sono ridotti a un piccolo nucleo quasi inattivo, sufficiente appena ad affrontare l’ordinarietà. Affatto la Stra-Ordinarietà. Altrettanto può dirsi del kendoka contemporaneo medio, il quale tende, in tutto è per tutto, ad essere uno sportivo piuttosto che il praticante della Via (“Do”).

La differenza fra le due condizioni è rimarchevole.

Lo sportivo si limita a corrispondere alla codificazione di un gioco che simula (e null’altro) la primordiale competizione per l’Esistenza: si dà vita ad un confronto, la cui meta è l’alloro, o il trofeo, cioè un pacifico riconoscimento sociale. Esistono i più bravi e i meno bravi, i più dotati e quelli meno, proprio come in natura: ma la tecnica e la prestanza fisica sono i parametri principali sui quali si fonda la prestazione sportiva, alla quale è sufficiente quel ridotto nucleo attivo di temperamento e personalità superstiti per completare il quadro della performance sportiva.

Chi invece segue la Via - prima che praticare un’attività che è anche sportiva, ma solo in ragione della sua componente dinamica – si confronta sul piano della Vita e della Morte, e lo fa in prima istanza con se stesso.

Lasciare gli zori ai bordi del tatami e porre i piedi nudi su di esso dovrebbe rappresentare a tutti gli effetti, nella consapevolezza del kendoka, l’ingresso in un territorio di guerra, nel quale - pur nel rispetto e nella lealtà reciproca - la posta è la Sopravvivenza.

Se il praticante la Via della Spada fosse sempre cosciente di ciò, e l’idea della lotta per la Vita gli bruciasse in fronte costante come il segno sanguinante della lama, allora l’atteggiamento del suo spirito renderebbe ogni sua azione, ogni suo progresso, ogni apprendimento, ogni respiro, ogni istante di debolezza e di immediata ripresa un concerto di vincente consapevolezza. Perché chi lotta per la Vita (e non solo per la propria), e chi, nel frattempo, pur ostacolandola in ogni modo attende al varco la Morte con cuore rilassato, vince e vive comunque.

In un certo senso non muore mai.

E ciò perché la reale vittoria della Morte sta tutta nella paralisi che la paura di essa infonde nell’anima non pronta, e perciò inerme.

Il solo braccio disarmato di chi è pronto a morire per vivere si oppone con successo alla più sapiente lama. E anche senza più braccio – qualora la lama riesca a reciderlo - sia ben chiaro che il Ki uccide più dell’acciaio.

A tanta disposizione d’animo, tuttavia, bisogna prepararsi. Non si nasce, di solito, antagonisti naturali della Morte. Istinti innati alla componente animale della nostra specie, insieme alla facoltà intellettuale del discernimento, tendono a far si che l’essere umano cresca prudente. Inoltre, le convenzioni del sociale e della civiltà (parole entrambe false e orribili) giorno dopo giorno lo spingono a dimenticare la parte attiva di sé, la componente superomistica che, da sempre, nella lotta trova la cura ai propri mali e alle proprie miserie. Quel che ne risulta è un ripugnante quadro di pavore nei modi e nei tempi della vita umana.

Ritrovare il tesoro di temperamento e personalità sepolto nell’animo di ognuno è frutto di una cammino personale, certo. Esso chiede però di essere pur messo in moto da Qualcosa. O da Qualcuno.

Un Maestro e una germinale forma di Satori (l’Illuminazione) sono necessarie all’avvio di questo percorso che possono trasformare l’atleta praticante di kendo in un Samurai: portatore dello spirito del Subarau (il Servire), nel quale si condensano i valori altamente poetici della compassione, della dedizione, della certezza, della coscienza. E della Vittoria per la Vita, propria ed altrui.

Sarà una gran cosa quando avremo imparato a salire sul tatami per uccidere: noi stessi e il nemico; e per salvare: l’avversario e noi stessi. E quando avremo imparato - con lo stesso animo che affronta e accetta la Morte perché ama la Vita - a raccogliere, qua e là lungo la nostra strada, i delicati petali di ciliegio che il vento ci dona.

E faccia seppuku chi invece, distratto e perciò misero, i dolci petali continua a calpestare. Con cieca stoltezza.


Katomi Masashiro

 

 
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