Sublime Follia

ancora un mio racconto...


TRA ARTE E REALTA’Non smetteva di piovere da giorni.Era come se l’intero universo preparasse il morale degli uomini ad una catastrofe. Non voleva tornare a casa. Lì, sotto i portici osservava quel cielo sempre più scuro. Quanto tempo era passato? Ore, giorni, stagioni, niente di tutto questo esisteva più. Il tempo si contorceva, andava allungandosi, restringendosi, si fermava…A lui non importava. Continuava a stare lì, seduto, lo sguardo immobile perso contro i suoi stessi pensieri.L’aveva abbandonato in silenzio: un ultimo sospiro prima di sparire per sempre dalla sua vita. E lui aveva fatto come lei, accompagnandola in silenzio in quel cimitero. C’erano poche persone, l’avevano guardato con quello sguardo che sembra dire «mi dispiace», lasciandolo solo, mentre la pioggia iniziava a confondersi con le sue lacrime.Gli avevano detto che la guerra non avrebbe tardato ad arrivare anche in quella porzione di mondo. Guernica, piccola città spagnola con i suoi visi tutti uguali, uno di quei posti dove ci si sente, come in tanti altri luoghi, minuscoli pezzi di un immenso puzzle, ma necessari alla vita.Qualcosa stava per cambiare. Come quel cielo cupo e gelido aveva preso il posto della calura estiva, lo sgomento e la paura tormentavano l’animo di quelle persone. E il dolore di Pablo, diventava tutt’uno con quello degli altri abitanti. Ma niente dura. ..Questo è uno di quei casi. Sussultò. La speranza non l’aveva mai abbandonato; si sentiva privato anche di quell’ultima dea.Non c’era più. Smettila di vaneggiare, continuava a ripetersi, non tornerà.Quante volte, mentre le faceva compagnia su quel letto malato, aveva pensato di lasciarsi morire insieme a lei, ora niente aveva più senso. Vita, morte, tutto si annullava in quell’atmosfera così lugubre e surreale. Una foglia gli sfiorò il viso. Troppo fragile la nostra vita….…un colpo di vento……giù…Scrutò il cielo. Gli sembrò di scorgere dei grandi uccelli neri all’orizzonte.Chiuse gli occhi.Boati. Urla che si propagano per i tetti delle case, un forte vento che trascina via tutte le cose. Un vento di morte.Con lui il fuoco, le bombe, il rumore.Un lampo squarciò il cielo. E in quel momento, il grande cavallo cadde a terra ferito a morte.La speranza aveva abbandonato anche Guernica.Sollevò lo sguardo dal libro. Le bruciavano gli occhi, la nebbia le impediva di capire dove fosse.-Scusi dove siamo?-Lontano Madame, dorma un po’, sembra stanca.Cercava di andare avanti con la lettura, ma non riusciva a concentrarsi. Ogni parola la riportava a quella mattina.Cose che capitano quando al risveglio, ti rendi conto di aver sbagliato nuovamente tutto. Come un quadro: l’ultimo tocco di colore, e quella cosa che ha rubato un sacco del tuo tempo non ti soddisfa. Così, cerchi di coprire il tutto con il bianco. Di purificare.Nicole faceva lo stesso con la realtà. Arte e vita erano un’unica cosa.Odiava la persona che le stava a fianco. Quella mattina lo fissò e decise che non gli avrebbe più permesso di vedere la luce. L’avrebbe lasciato inalterato, il tempo non avrebbe mai potuto dominarlo. Come un’opera d’arte.Andò nel suo studio, aprì la valigetta. Flaconcino bianco: formaldeide. Gliel’aveva detto lui: una minima dose è sufficiente per imbalsamare un essere umano. Vide la sua immagine allo specchio mentre aspirava il liquido con la siringa. Un sorriso. Gli voleva bene in fondo e non lo voleva far soffrire. Dormiva ancora. L’ago penetrava lentamente nel collo: sussulti e poi l’immobilità. Ed ecco il risultato: una statua greca, perfetta, immortale, con un sorriso dolce ed enigmatico impresso per sempre sul volto. Non aveva ancora disfatto la valigia, qualcosa le aveva consigliato di lasciarla così. Senza troppi pensieri, recuperò le poche cose lasciate in giro e chiuse la porta di casa.“Ciao amore”. Ora era sul taxi. Sarebbe stato un lungo viaggio….Il suo appartamento in città era disabitato da anni. Da quando lei e Febo avevano deciso di vivere insieme in quella casa. Sesto piano, immerso nel grigiore dei palazzi, una piccola oasi nel cemento. Ma soprattutto lontano. Sarebbe stato come tornare indietro nel tempo, scoprire quella parte della sua vita nascosta dal bianco. “the sea’s evaporated, thought it comes as not surprise. These clouds we’ve seeing, their explosions in the sky. It seems it’s written but we can’t read between the lines.”Insonnia. Quando non sei realmente sveglia e Morfeo non è ancora riuscito a possederti. In bilico nella sottile linea che divide realtà e sogno. Da quando aveva iniziato a frequentare quelle sedute terapeutiche, non riusciva più a dormire.Notti passate seduta sul pavimento. Telecomando in mano e dita che premono meccanicamente dei pulsanti. E via con repliche e televendite. I teledipendenti della notte. Quelli dei talk show demenziali e delle linee hard. Lei voleva solo dimenticare, liberarsi da quella mania di voler sempre cambiare la realtà.Proteggimi da cio’ che voglio…Ancora quella canzone…La loro casa era piena di specchi. Luci soffuse illuminavano il suo viso riflesso nel vetro. E lui alle sue spalle sorrideva beffardo. Non riusciva più a dipingere e la colpa era tutta di quell’uomo. Non le dava un minimo di fiducia, derideva ogni sua creazione. Ora non c’era più. Ma allora perché continuava a vederlo ovunque?Una voce la riportava alla realtà:«Siamo qui riuniti per dare libero sfogo alle intenzioni… emozioni… esagerazioni… calore della notte… indivisibile mai…»Febo l’avrebbe derisa. -È da perdenti ridursi ad ascoltare dementi che raccontano pubblicamente la loro vita- avrebbe detto. Ma non trovava altra soluzione che passare i martedì pomeriggio ad ascoltare la voce di quel maestro di relax che invitava a sfogarsi…E il tipo che le sedeva vicino chiudendo gli occhi recitava:«E’ lei che voglio in un abisso ancestrale di note sulfuree ed incantevoli silenzi, mentre, il rumore sordo di questi attimi, quasi come fosse tutto più inerte del solito, con un pizzico di movimento poetico ci fa sognare ancora…»Nicole sussurrò…la sua voce si sovrappose a quella dell’uomo:«Il vento abbandona deciso il nostro viso e porta con se attimi regalandoli ad altri con una velocità impensabile, cosicché nessuno avrà mai il tempo né la possibilità di afferrarli…»Conosceva quelle parole.La voce di Febo. Le sue poesie. Era lui a parlare. Lui che la tormentava. Brividi febbrili l’assediavano. Cercava di mantenere la calma ma lacrime nere le solcavano il volto. Ne aveva parlato con il maestro. Cercava di spiegargli che suo marito possedeva quei corpi.Lui le aveva dato un foglio e una penna. «Sfogati, soffri di allucinazioni..riempi il foglio»Aveva iniziato a scarabocchiare, mentre un ragazzo parlava:«Ogni notte lo stesso sogno. Un inferno di angeli che chiedono il mio aiuto…»La penna sempre più veloce e nervosa..«Da quando ho avuto quell’incidente non c’è più stata pace in me…»Il ragazzo singhiozzava…Nicole non staccava gli occhi dal foglio..«Non so come fare, è come se fossi una statua di cera riempita con un’anima presa a caso. Pura apparenza, niente di più…gli angeli che piangono e io non posso fare niente per aiutarli…»Sempre più nervosa, esplose:-Basta!!!Il ragazzo smise di parlare, asciugò gli occhi con la manica della camicia.-Nicole calmati..Il foglio scivolò sul pavimento.Un paesaggio notturno. Linee nervose percorrevano il foglio.-Nicole, hai bisogno di molte sedute, di uno specialista.Lei si limitò ad infilare il cappotto e andare via. Tornava a casa. C’era odore ci caffè, libri ovunque, la radio ancora accesa. Si era dimenticata un’altra volta. Trasmettevano ancora quella canzone.“Maybe we’re victim to fate, remember when we celebrate, we drink and get high until late, and now we’re alone…”Era mezzanotte passata. Si buttò sul letto e accese la televisione.Numeri di telefono che scorrono sullo schermo, promesse di passioni effimere ed ingannevoli. Ma in fondo, cosa non lo è?Chiuse gli occhi. Quando li riaprì la luce cominciava a filtrare dalle persiane ridando vita ad ogni cosa di quel piccolo appartamento. Il pavimento era pieno di fogli accartocciati. La luce arrivò ad illuminare la tela poggiata al muro. Il colore ancora fresco. Quando aveva dipinto?Insonnia. Quando fai le cose senza rendertene conto. Quando il tempo si riduce ad un punto che si contorce nella tua mente. Muse, simili a divinità della mitologia greca, la guardavano con i loro occhi di tempera. Sguardi d’odio in un paesaggio surreale.Si accusava con i suoi dipinti, la sua coscienza la perseguitava.Da quando era andata via, nessuno l’aveva più cercata. Come se non fosse mai esistita. Non leggeva i giornali da tempo. E se l’avesse fatto non avrebbe trovato niente che la riguardava. Nessuno aveva parlato di lei e Febo. Entrambi nascosti sotto uno strato di bianco, lui ormai congelato nelle braccia della morte, lei che si deteriorava….lentamente…un mosaico che si distrugge…Ma ora l’ispirazione tornava, mai come ora sentiva la voglia di dipingere, creare…Non sarebbe più andata alle sedute, no, sarebbe rimasta a casa a sfogarsi a modo suo, con la sua arte.Sola. Ora poteva modificare la realtà. Ogni cosa assumeva nelle sue opere altre forme, la sua vita era un’opera d’arte. Come Dorian Gray, ma sapeva che era lei a comandare..Nessun quadro la poteva possedere. Ma niente dura…Luce e ombra si alternavano ritmicamente, le lancette dell’orologio continuavano la loro corsa, a lei non importava. Non le interessava sapere cosa succedeva fuori dalla sua oasi, lì dove il tempo si contorceva a suo piacimento. O almeno, lei pensava fosse così. Rinchiusa nella sua cella dorata, immersa in una città come tante.Nuovamente mattina. Bussavano alla porta. Era la prima volta che succedeva da quando si era trasferita. Dallo spioncino vide un blocco di marmo. Non ricordava di averlo ordinato. Ma non ci pensò più di tanto, non era certo quella l’unica cosa strana. Diede una mancia al fattorino, fece mettere la base vicino alla finestra. Bianco, perfetto. Aspettava di prendere forma.Iniziò a scolpire. Non fece altro per giorni. Non guardava neppure da che parte le sue mani sferravano i colpi. Non si fermava, aveva paura che l’ispirazione l’abbandonasse di nuovo.Quando riuscì a gettare lo scalpello sul pavimento, avrebbe preferito che qualcuno le strappasse gli occhi dalle orbite per evitarle quella visione. Purtroppo era sola. Cadde a terra. Il colpo, violentissimo, le impedì di rialzarsi. Un sorriso dolcissimo le si dipinse sul volto, lo sguardo rivolto verso la sua creazione. Il 21 marzo. Era passato un anno esatto da quella mattina. Un tiepido sole primaverile cercava di svegliare le cose inanimate. Nessuno l’avrebbe mai cercata. La luce bianca illuminava il suo sguardo senza più vita. Lei, una sfinge rivolta verso una statua greca: Febo, che sorrideva beffardo, ormai sazio di vendetta.