cahiers de doléances

Morelly, Codice della Natura (1755)


Parte prima Difetti dei principi generali della Politica e della Morale.Negli ultimi tempi vari Bacone, Hobbes, Locke, Montesquieu, hanno visto nella Morale la parte più imperfetta della filosofia, sia per la complessità, sia per l’instabilità dei suoi principi, sia per l’irregolarità del suo metodo, in base al quale nulla è dimostrabile, poiché anche le proposizioni negative sono ugualmente accettabili come quelle affermative.L’errore commesso da tutti è che credono come incontestabile la seguente proposizione: l’uomo nasce vizioso e cattivo; oppure altri dicono che la situazione in cui si trova l’uomo e la sua stessa costituzione, lo spingono inevitabilmente a divenire perverso. Ma nessuno ha osato supporre che l’origine della corruzione stava piuttosto nei primi insegnamenti offerti all’uomo; ai legislatori le leggi e le norme sembravano troppo perfette e rispettabili perché si osasse attribuire a loro stessi la colpa. Per cui hanno preferito rigettarla nella Natura.Cosicché per la maggior parte dei filosofi,benché l’uomo, appena uscito dalla mani della Natura, sia privo di idee metafisiche e morali, si trova provvisto a sufficienza di una buone dose di vizi congiunti ad alcune virtù “innate”.E’ da questa triste Morale che la comune educazione degli uomini prende le sue lugubri tinte.L’amor proprio, cioè il desiderio costante di conservare il proprio essere con mezzi facili e innocui, grazie alle istituzioni e agli insegnamenti della Morale, è diventato una inclinazione furiosa e capace dei più orribili eccessi.L’uomo non ha idee e tendenze innate. I suoi bisogni si sviluppano per gradi, rendendolo attento alla sua conservazione. Se l’uomo non trovasse ostacoli nel soddisfare i suoi bisogni, una volta soddisfatti, ricadrebbe nell’indifferenza primitiva… ma in questo non sarebbe differente dall’animale. La suprema saggezza della Natura ha voluto fare della specie umana un tutto intelligente, per cui alcuni leggeri ostacoli avrebbero eccitato, perfezionandolo, il meccanismo che provvede ai nostri bisogni. Due conseguenze risultano da questo stato di tensione: 1) un’affermazione benefica per tutto quanto allevia o soccorre  la nostra debolezza;2)  lo sviluppo della ragione che la Natura ha messo al fianco di quella debolezza stessa per assecondarla.Da queste due ricche sorgenti è derivato lo spirito e i moventi della sociabilità, un’industria, una previdenza unanime, e tutte le idee relative a questa comune felicità.Sono questi i propositi in cui la Natura ha distribuito le forze della umanità intera con differenti proporzioni fra tutti gli individui della specie. Ma essa ha lasciato indivise le proprietà del campo produttivo dei suoi doni, a tutti e a ciascuno l’uso delle sue liberalità. Il mondo è una tavola imbandita a sufficienza per tutti i commensali, i cui cibi appartengono ora a tutti, perché tutti hanno fame, ora ad alcuni soltanto perché gli altri sono satolli.In tal guisa nessuno è assolutamente il padrone, né ha il diritto di pretendere di esserlo.I fondamenti della sociabilità: 1)  indivisibile unità dei fondi patrimoniali e uso comune dei prodotti;2)  abbondanza e varietà dei prodotti più estesa dei nostri bisogni.La Natura ha disposto gli uomini a un’unanimità e a una concordia generale e ha prevenuto il conflitto delle pretese che potrebbero verificarsi: con la parità dei sentimenti e dei bisogni fa sentire l’uguaglianza di condizioni e di diritti e la necessità di un lavoro comune. Alla Morale a alla Politica spettava di assecondare con l’Arte la Natura, ordinare i diritti e i doveri di ciascun membro sulle operazioni della Natura, stabilire i mezzi per mantenere e incoraggiare l’unione della società. Incoraggiare tutti gli sforzi diretti al bene comune, connettendovi idee lusingatrici (che ora decorano stupidi fantasmi e frivoli oggetti d’invidia). A tale vizio vergognoso (la vanità) deve attribuirsi tutto ciò che arreca utilità. Insomma doveva essere stabilito che gli uomini sono grandi e rispettabili unicamente in proporzione al fatto di essere migliori; per cui in loro risarebbe stata la semplice emulazione di rendersi reciprocamente felici. L’ambizione sarebbe stata non il desiderio di soggiogare e opprimere gli altri ma quello di superarli nell’industria, nel lavoro e nella diligenza. Il solo vizio conosciuto nell’universo è l’avarizia (tutti gli altri sono gradi di questo), essa è la base e il veicolo di tutti i vizi. Anche le nostre virtù, compreso il disinteresse, contengono il sottile e pernicioso elemento del desiderio di possedere. L’interesse privato è la peste universale. Per cui non si può contestare l’evidenza di questa proposizione: “là dove non esistesse la proprietà privata, non potrebbe esistere nessuna sua conseguenza perniciosa”.La probità naturale è una disposizione, nell’ordine generale dell’universo, infinitamente saggia, per la quale un essere (senza l’intervento di cause accidentali) non può nuocere al movimento e all’esistenza di un altro. Essa sarebbe rimasta ciò che era: una invincibile avversione per ogni azione snaturata, una legge dettata dal sentimento, approvata dallo spirito e dal cuore.Nella sua pacifica condizione di essere ragionevole, l’uomo avrebbe avuto come unico movente delle sue azioni il bene comune, perché il suo particolare sarebbe stato una conseguenza infallibile di quello.La nostra morale, prevenendo ogni abitudine viziosa, avrebbe lasciato ignorare agli uomini la possibilità di divenire cattivi.L’uomo è fatto per essere il più mite e trattabile degli animali, e se fin da principio il sentimento iniziale fosse stato familiarizzato con abitudini pacifiche (che la ragione avrebbe poi perfezionato) tale esso sarebbe.La ragione non era fatta per combattere passioni impetuose o prevenire disordini che in noi non sarebbero mai esistiti. Se l’uomo fosse stato preparato, domato da una educazione conforme ai nostri principi, avrebbe fatti uso delle facoltà del suo spirito soltanto per conoscere e godere i vantaggi di una società saggiamente costituita… abituato sin da piccolo all’osservanza delle leggi di questa società non avrebbe mai concepito l’idea di contravvenirle.Non avendo timore di mancare di aiuti e delle cose necessarie e utili, nulla avrebbe eccitato in lui desideri smisurati. Se i padri avessero saggiamente scartato ogni idea di proprietà, prevenuta  e bandita ogni rivalità nell’uso dei beni comuni, sarebbe stato impossibile all’uomo rubare.Gli errori di una Morale artificiale, che si trova in perpetua contraddizione con se stessa, per aver voltato le spalle alla Natura, hanno aperto la porta a ogni sorta di crimini.