Coniglio mannaro

San Benedetto, patrono dell’Europa cristiana


di ELENA PERCIVALDIIl bel libro di Andrea Pamparana fornisce lo spunto per una rilettura  del personaggio di San Benedetto da Norcia come uomo del suo tempo, ma anche come cardine dell’identità cristiana dell’Europa. Un discorso più che mai attuale, in questi tempi di scontri religiosi e di dibattito sull’opportunità o meno di introdurre nella Costituzione Europea il richiamo alle radici cristiane.   Della Cristianità  europea Benedetto può essere infatti considerato a tutti gli effetti il padre in quanto fondatore dell’ordine monastico - che da lui avrebbe preso il nome -  che più di ogni altro avrebbe contribuito alla diffusione, alla costruzione e alla salvaguardia del messaggio cristiano in Europa.IL TRAVAGLIO DI UN’EPOCABenedetto nacque intorno al 480,   in un periodo di forte crisi  dell’Impero Romano  d’Occidente da pochi anni  formalmente estinto a seguito della deposizione del suo ultimo imperatore, Romolo Augustolo, e dell’invio delle insegne a Bisanzio. Un Occidente senza più  riferimenti,  travolto dalle invasioni barbariche e in piena decadenza culturale, economica e sociale.  Contemporaneo del re goto  Teodorico,  ne vide fallire l’ambizioso progetto di una pacifica convivenza tra il suo popolo e quel che restava dei “Romani” e assistette  impotente agli orrori della   guerra  che oppose   Goti e  Bizantini per il predominio dell’Italia: un conflitto tra i più terribili della Storia,  che si concluse con la riconquista da parte dell’Imperatore d’Oriente   Giustiniano di un territorio devastato da vent’anni di scorrerie, stragi e pestilenze. LA SVOLTA SPIRITUALEStudente a Roma, il giovane Benedetto constatò di persona lo stato di grave decadenza in cui versava l’antica capitale dell’impero. Ovunque regnavano povertà, spopolamento, delinquenza e corruzione. Fu così che, inorridito, si rifugiò nei boschi incontaminati e deserti dell’alta valle dell’Aniene, ai confini tra  Lazio e Abruzzo, per cercare nel silenzio e nella preghiera  la tranquillità perduta. Fu la svolta. Ben presto intorno a questo asceta pensoso si radunò una piccola comunità che lo volle a tutti i costi come guida. Ma i suoi modi austeri e la ferrea disciplina morale imposta ai confratelli gli procurarono odi e inimicizie, che sfociarono in un tentativo di avvelenamento. Scampato all’attentato,  si rifugiò nei pressi di  Subiaco dove, seguendo l’esempio di san Pacomio (vissuto due secoli prima in Egitto), organizzò un gruppo di monaci,  suddiviso simbolicamente  in dodici comunità di dodici uomini, ciascuna delle quali autonoma, con  Benedetto stesso come  abate “centrale”. Ma ancora una volta, la malevolenza di alcuni confratelli  lo spinse ad andarsene:  lasciò così  Subiaco per Cassino, sulla cui altura - Montecassino appunto -  nel 529 fondò con alcuni discepoli quel monastero che sarebbe destinato a diventare, nel giro di poco tempo, il più  importante d’Europa.LA REGOLA : ”ORA ET LABORA”E fu qui che  Benedetto elaborò,  sulla base di alcune normative provenienti da tradizioni prevalentemente orientali, la celeberrima “Regola”, che con i suoi precetti di ordine,  stabilità ed  equilibrio fra preghiera e lavoro (riassunte nella massima “Ora et labora”, “Prega e lavora”),  si impose in tutto il monachesimo occidentale e fu seguita, con l’eccezione dei monasteri  che derivavano dall’esperienza irlandese,  in ogni cenobio  europeo. A Montecassino, secondo la tradizione il 21 marzo di un anno imprecisato tra il  543 e il 555,  Benedetto morì. Ma non si spense la sua personalità, che divenne anzi sempre più popolare in tutto in Continente. Decisiva in questo senso fu l’azione di papa Gregorio Magno, che venuto a conoscenza   del valore e della santità dell’operato di Benedetto da alcuni suoi monaci, scampati alla distruzione dell’abbazia  da parte dei Longobardi (la prima di una lunga serie chiusa  solo nell’ultimo conflitto mondiale, ma sempre finita con la ricostruzione),  ne trasmise il racconto nel secondo libro dei suoi “Dialoghi”.  L’importanza di Benedetto va però ben oltre il piano della santità personale. I  monasteri che seguono la sua Regola a furono  infatti il cardine, per tutto il Medioevo e oltre, della vita non solo spirituale, ma anche economica e culturale.  LE “CELLULE” DEL MEDIOEVOLa valorizzazione del lavoro, visto come mezzo di elevazione dello spirito, portò alla ripresa di una serie di attività gravemente compromesse dalla crisi demografica ed economica seguita alle invasioni barbariche dei primi secoli dell’Età di Mezzo.   Seguendo le indicazioni della “Regola”, per provvedere alle loro necessità i monaci si diedero alla bonifica del suolo dissodando  e irrigando i campi,  prosciugando le  paludi,  arando e seminando, riportando la mano dell’uomo nella natura. Nei monasteri si allevavano api, bovini e ovini,  si coltivavano - a seconda delle zone geografiche - l’ulivo e la vite. Così, in un’Europa desolata, incolta  e spopolata, senza punti di riferimento ed esposta a scorrerie e avversità, i monasteri divennero il centro di aggregazione per i contadini e luoghi di mercato e scambio per le popolazioni: vere e proprie “cellule autonome” che, grazie anche ai progressi della tecnologia - la rotazione triennale, il collare di legno per gli animali da traino, l’invenzione del mulino ad acqua - col tempo riuscirono a dar vita ad un regime di autosussistenza e a fornire aiuto e protezione alle popolazioni circostanti.  Ma non solo. All’attività manuale, sempre secondo la Regola, i monaci affiancavano quella intellettuale, che si esaltava - oltre che nell’insegnamento delle arti liberali - nella trascrizione a mano, nei cosiddetti scriptoria, delle opere  degli antichi scrittori:  la Bibbia e i testi dei grandi autori cristiani, certo,  ma anche storici, poeti e scrittori del mondo antico, che riuscirono così a sopravvivere dall’oblio e alle insidie dei secoli. E’ quindi grazie agli amanuensi benedettini se le biblioteche monastiche di Montecassino, Bobbio, San  Gallo,  Fulda e Reichenau hanno potuto conservare, a volte in copia unica, moltissime opere di classici che altrimenti   avremmo perso per sempre.  Immenso è dunque il debito che la civiltà europea nutre nei confronti dell’ordine benedettino e di San Benedetto che ne fu il padre fondatore.  Venerato  per tanti secoli come l’uomo mandato da Dio per portare la pace là dove erano state seminate distruzioni e  morte, divenuto col tempo il simbolo stesso dell’ideale monastico,  nel 1947 Benedetto fu riconosciuto da Pio XII “Padre dell'Europa” e il 24 ottobre 1964, in coincidenza con la riconsacrazione della basilica di Montecassino ricostruita dopo la scellerata distruzione da parte degli alleati nella seconda guerra mondiale, Paolo VI lo proclamò “patrono d'Europa”. Ed è certo he senza di lui, oggi, l’Europa non sarebbe la stessa. 04/03/2006N.B.: ARTICOLO PROTETTO DA COPYRIGHT