Coniglio mannaro

Tamara de Lempicka, scandalo e modernità


A Palazzo Reale di Milano una mostra sulla grande artista polaccadi Elena Percivaldi"Alta, morbida ed armoniosa, nelle movenze, tutta accesa di vita, col volto illuminato dai grandi occhi un poco artificiali, con la bocca facile al sorriso e rossa dei più rari rouges parigini, ella fa convergere sulla sua persona tutti gli sguardi e tutte le curiosità. Che passi inosservata non è possibile tanto splende nei colori dei suoi abiti, nei toni della pelle, nella femminilità raggiante da tutta la persona". Così Tamara de Lempicka veniva colta, come un'apparizione, da un giornalista italiano in articolo pubblicato nel 1930 dalla rivista "La Donna". Un'apparizione folgorante, quella dell'allora trentaduenne artista di origine polacca nei Salon parigini, in un mix tra Greta Garbo e Theda Bara, in cui della prima sfolgorava la naturale eleganza e l'ambigua sensualità, e della seconda il fascino tenebroso e a tratti malinconico, comunque profondamente tragico. Il paragone tra l'artista e le due dive del cinema non è azzardato: fu per prima lei, che era nata (forse) a Varsavia nel 1898, agli albori del cinematografo, a comprendere lo straordinario potere dell'immagine, anzi a giocare con esso come seppe fare prima di lei un'altra incantatrice delle élite della Ville Lumiére, la Contessa di Castiglione. Fino a diventare un'icona capace di stregare intere generazioni. E' ciò che emerge prepotentemente dalla mostra allestita a Milano, Palazzo Reale, da oggi al 14 gennaio prossimo (catalogo Skira). Curata da Gioia Mori, la rassegna ripercorre attraverso un'ottantina di opere la carriera di quest'artista cosmopolita (ma italiana di formazione) ricreando anche le suggestive e raffinate atmosfere di un'epoca, quella tra gli Anni Venti e la seconda guerra mondiale, che ne vide l'apogeo pittorico, prima del declino, della depressione, della morte, le sue ceneri sparse in un vulcano in Messico.Proprio a Milano, nella galleria del conte Emanuele Castelbarco (la celebre "Bottega di Poesia") Tamara nel '25 tenne, sconosciuta a tutti, la sua prima personale. La sua pittura atipica, fortemente plastica, coi volumi dei corpi resi attraverso lo scorrere liquido della luce e i forti contrasti cromatici, colpirono l'attenzione di molti tra cui D'Annunzio, come lei filosofo della vita intesa come opera d'arte, da lei attratto ma respinto. Sono anni intensi, questi, gli anni della restaurazione dopo la rottura compiuta ancora a Milano dal Futurismo, con protagonisti i Casorati, gli Oppi, i Wildt, i Trombadori, i Funi: artisti che al mito della velocità e della macchina rombante sostituiscono il ritorno al figurativo, in altre parole al classico. Del resto l'amore di Tamara per l'arte antica - Botticelli e Raffaello, ma soprattutto Pontormo - riecheggia in opere come "Le voile vert" o "Maternitè", del Pontormo negli spigoli nervosi e nella brillantezza del colore.Un matrimonio fallito, l'esilio dopo la rivoluzione d'ottobre, in fuga poi dai nazisti, amanti raffinati scelti con cura in ambo i sessi tra le file delle élite culturali parigine e italiane, di Tamara si è sempre sottolineato l'accesa sensualità tradotta in una pittura «perversa», che sa di alcova e di sigarette, di vestaglie di seta e capelli alla garçonne. La vediamo, in mostra, in uno straordinario quanto breve filmato del '32 mentre ritrae una modella: le pennellate stese sulla tela sono vigorose, violente, quasi una metafora del sesso. Emblematicamente la pellicola termina  con l'artista che si sveste e riveste davanti allo specchio, dandosi civettuola la cipria, come dopo l'amore.  Lo scandalo, del resto, è la sua cifra: basta guardare opere come "Rafaëla su fond vert"('27) o "Nux aux buildings" ('30). Nella prima la modella copre pudicamente il petto ma lo sguardo è sfrontato, diretto; nella seconda i veli, caduti, svelano tra la bianca veste seni pieni e conici, e pare di sentir riecheggiare il "Cantico dei Cantici": «I tuoi seni sono come due caprioli, gemelli di gazzella, pascenti in mezzo ai gigli».Profetessa della donna libera ed emancipata, Tamara diventa un'icona della moda e del nuovo, nei suoi ritratti compaiono gioielli, abiti, palazzi, persino il telefono. Lei stessa si rappresenta seduta in auto, i capelli alla maschietto trattenuti da una cuffietta chiara, il manifesto della modernità. Fino alla crisi finale, che la porterà a meditare, depressa ed esaurita, i temi sacri. Femme fatale, angelo arcano, donna segnata dalla violenza della Storia e perciò tanto femminina quanto virile - dalla radice latina del termine, "vis", cioè forza -, Tamara fu questo e molto di più. Fu ghiaccio bollente, protagonista di un'epoca, "arbitra elegantiarum" di un mondo attraversato da contraddizioni telluriche, sospeso tra ammirazione per l'antico e anelito verso il futuro, senza certezze e piena di ambiguità. E per questo oggi affascina come non mai.Milano, Palazzo Reale. Orari: 9.30-19.30 (giovedì 9.30-22.30, lunedì chiuso). Info 0254919.