Coniglio mannaro

Maria Antonietta, vittima dell'ingenuità


Osteggiata da aristocratici e massoni, umiliata dai giacobini, odiata dai francesi: solo oggi viene, in parte, riabilitatadi ELENA PERCIVALDIIngenua e navigata, vittima e carnefice, santa e puttana. Colpevole e innocente. Di Maria Antonietta regina di Francia si è detto e scritto tutto e il contrario di tutto, in un’incessante alternarsi di corsi e ricorsi, perennemente in bilico tra damnatio memoriae e riabilitazione revisionista. E oggi, a distanza di oltre due secoli, il fiume di libri pubblicati su di lei – firmati in gran parte da studiosi d’Oltralpe – tradiscono il permanere di un complesso di colpa da parte dei francesi nei confronti dell’esecuzione della loro regina, una sorta di “rimorso collettivo” cui già all’epoca dei fatti più d’uno aveva messo in guardia. Ma, vox clamantis in deserto, rimase profeta inascoltato che ora ottiene la sua rivincita.Difficile oggi dare un giudizio equilibrato su un personaggio al tempo stesso così amato e così detestato, preda dei languori più patetici come degli odi più feroci. Da lei, vissuta nel Settecento delle parrucche e dei salotti rococò, ci separano oltre due secoli. Ma ci sembra vicina e reale perché la sua vita (breve) è stata percorsa, come quella di molti di noi, da tanti eventi e da forti passioni, ma poco dalla felicità. Perciò forse val la pena lasciare da parte per un momento la toga del giudice e tentare di capirne l’umanità e le contraddizioni. Senza dimenticarne le responsabilità.Quando arrivò a Versailles spedita dalla madre Maria Teresa, imperatrice d’Austria, a sposare un giovanotto goffo e privo di ogni attrattiva eccetto il rango, aveva solo 14 anni. Secondo i canoni del tempo era bella, graziosa e fresca come una rosa. L’attendeva il futuro re Luigi XVI e una strada in salita. Troppo ingenua per governare un paese (divenne regina a 19 anni), impreparata nonostante l’occhio della madre che la seguiva implacabile da Vienna tramite un fido ambasciatore, Maria Antonietta si trovò sola in un nido di serpi. Attanagliata dalla rigida etichetta di corte che la costringeva a vivere in una sorta di “Grande Fratello” e a far tutto sempre sotto gli occhi di tutti, depressa per l’incapacità del marito di consumare il matrimonio, esposta per la sua ingenuità agli intrighi e alle invidie delle cortigiane, rispose attaccandosi alle sole cose che possedeva: il bell’aspetto e l’incantevole leggiadria. Così se il consorte la escludeva da ogni decisione politica, lei cercava di consolarsi spendendo cifre astronomiche in gioielli, abiti e toilette, passando da una festa all’altra, giocando d’azzardo, concedendosi qualche amorazzo. Certo non fu cattiva. Egoista sì, ma malvagia no. Le “Memorie” di Madame Campan, per molti anni al servizio della sovrana, e svariati documenti dimostrano che Maria Antonietta adottò ben sei bambini (di cui uno di colore) provenienti da famiglie più o meno indigenti, ai quali offrì la possibilità di mangiare pasti caldi, vestirsi decentemente e ricevere in alcuni casi un’educazione di prim’ordine. Facile, direte voi, quando si porta una corona, il lavoro duro lo fanno decine di domestiche e i conti li paga lo Stato. Ma troppo difficile per chi pensa solo a se stesso. E inconcepibile per chi offre brioche al volgo che, affamato, chiede il pane scuotendo le inferriate del palazzo.A rovinarla furono il suo atteggiamento volubile e umorale, la sua frivolezza e l’insofferenza per le regole. Le fortune spese al gioco al punto da gravare sul bilancio dello Stato. La storia con Hans Axel Conte di Fersen che fece molto favoleggiare persino sulla paternità della progenie reale. Ma soprattutto lo “scandalo della collana”, che si concluse in maniera inaudita con il processo alla regina, che minò l’idea stessa di regalità. Le sue eventuali responsabilità non furono mai del tutto chiarite, ma una cosa è certa: nessuno si mosse in sua difesa. Nemmeno tra i membri dell’antica nobiltà del regno. E anche qui, se l’era cercata. Sin dall’inizio la regina aveva infatti preferito la più docile piccola e media nobiltà, trascurando invece le grandi famiglie da sempre fedelissime alla corona. Che dunque nel vederla umiliata non mossero un dito. Ancora una volta fu la sua ingenuità a punirla. Ma dietro c’era anche ben altro. Dall’odore di zolfo emanato dal Cagliostro, probabile burattinaio della vicenda, si sente, nella gogna alla regina, un processo politico orchestrato dalla Massoneria allo scopo di rovesciare chiesa e corona e aprire la strada alla rivoluzione. Una figuretta di carta, Maria Antonietta, inserita in un gioco più grande di lei. Lo dimostrano i tanti pamphlet diffamatori che circolavano in Europa, la gran parte dei quali stampata a Londra col tacito consenso delle autorità inglesi, come le monumentali “Memorie” di Jeanne de La Motte, la mente dell’intrigo della collana, fuggita dal carcere della Salpêtrière. Sul Tamigi si prendevano due piccioni con una fava: infangare la corona francese e vendicarsi dell’appoggio di Parigi alla guerra d’indipendenza americana. Se poi a dirigere il traffico c’era l’innocuo Duca d’Orléans, che tramava per detronizzare il cugino e prendere il suo posto, tanto meglio. I libelli venivano poi fatti circolare clandestinamente sulla Senna per alimentare il dissenso e gettare benzina sul fuoco della rivoluzione. Che puntualmente arrivò con tutti i suoi eccessi. Così   “Madame Déficit”, l’“Austriaca” che trescava con Vienna e spargeva il sangue dei francesi, naufragò in un mare di accuse. Nel processo che l’avrebbe vista condannare alla ghigliottina,  fu imputata addirittura di pedofilia nei confronti del figlio: una calunnia al quale nemmeno Robespierre, per quanto assetato di sangue, riuscì a credere. Una figuretta di carta, si diceva. Ma che seppe trovare nei terribili momenti finali quella forza morale e quella fierezza che le mancarono quando regnava. Le trovò quando le strapparono i figli, quando le decapitarono il marito, quando in carcere, alla Conciergerie, la costrinsero a cambiarsi la biancheria intima davanti ai carcerieri. Quando la sua unica amica, la Principessa di Lamballe, venne sventrata davanti ai suoi occhi e la sua testa, mozzata e infilata sulla lancia, le fu mostrata da una torma di giacobini ridacchianti. La ragazzina insofferente alle regole, superficiale e svampita lasciò all’ultimo il posto ad una donna matura che stupì anche gli avversari per la sua dignità nell’affrontare le ingiurie dei rivoluzionari e l’ignominiosa fine. Riconoscere questo non significa né santificarla, né assolverla dalle sue colpe e dalle sue responsabilità. Sul palcoscenico della Storia Maria Antonietta rivestì il ruolo che era stato previsto per lei sin dall’inizio: quello di agente catalizzatore della rivoluzione, di traghettatrice della Francia dall’Ancien Régime alla modernità. Nel bene e nel male. Sull’essere umano, vivo e palpitante, lasciamo invece la parola a Madame de Staël, la letterata figlia del banchiere Necker, ministro di Luigi XVI, sua rivale nel cuore del conte di Fersen (cui era stata promessa in sposa), che da rivoluzionaria pentita si lanciò in una sua disperata difesa: «Il destino di Maria Antonietta racchiude tutto quello che può toccare il vostro cuore. Se voi siete state felici, ella lo è stata; se soffrite da un anno, da più lungo tempo ancora hanno straziato il suo cuore; se voi siete sensibili, se voi siete madri, lei ha amato con tutte le forze dell’anima». ELENA PERCIVALDI