Coniglio mannaro

L'Aida di Violeta Urmana


Intervista alla protagonista dell'opera verdiana in questi giorni alla Scala di Milanodi ELENA PERCIVALDISarà un debutto in piena regola, quello che Violeta Urmana affronterà a Milano il 7 dicembre in occasione dell’inaugurazione della stagione scaligera. Sì perché la cantante lituana, già assidua primadonna al Piermarini (la ricordiamo in Iphigénie en Aulide di Gluck nel 2002 diretta da Riccardo Muti, e prima ancora  splendida Azucena nel Trovatore sempre con Muti) esordirà come Aida in un’edizione che, almeno nelle attese, si profila memorabile. L’abbiamo incontrata pochi giorni prima della “prima”, con gli altri protagonisti – Franco Zeffirelli, che firma costumi e regia, Ildiko Komlosi (Amneris), Carlo Guelfi (Amonasro) e le ètoile Roberto Bolle, Luciana Savignano e Myrna Kamara, mentre mancavano Roberto Alagna (Radames) e il maestro Riccardo Chailly – durante un cocktail informale con la stampa, organizzato forse per esorcizzare la tensione che come sempre accompagna ogni Sant’Ambrogio meneghino.  Signora Urmana, come si sente alla vigilia di questa “prima”?«Un po’ nervosa, è naturale. Sono giorni che non dormo bene, è un debutto che implica forti dosi di coraggio». Quello di Aida è un ruolo complesso, molto più di quanto non sembri a prima vista…«E’ vero. In Aida ci sono tutti i tipi di soprano, tranne quello di coloratura. E’ un ruolo che richiede una voce molto bene equilibrata, nei passaggi forti come nei pianissimi, che devono essere belli e puliti. Ci vuole poi molto peso drammatico, per esempio nei duetti. E ci sono poi gli insiemi concertati, che sono particolarmente ardui perché occorre farsi sentire». In quali passaggi, vocalmente parlando, si sente maggiormente a suo agio?«Sicuramente nei momenti più lirici, dove emerge il lato romantico e pensoso di Aida. L’ultimo duetto, quello con Radames prima della morte, ad esempio, lo adoro: lì viene fuori tutta la dimensione estatica, quasi irreale, di due personaggi che si amano profondamente e per questo riescono a vincere persino la paura dell’incombente fine». Lei è stata, prima di Aida, un’Amneris decisamente efficace. Era il 2005, a Vienna, con Gatti. Come vive ora lo “sdoppiamento” che le impone affrontare la protagonista invece della sua rivale?«Debbo dire che mi sento decisamente più a mio agio nei panni di Aida che in quelli di Amneris. Non che Amneris sia un personaggio quadrato, senza sfaccettature: tutt’altro. Aida però è tutto: è una donna romantica, ma sa essere anche estremamente coraggiosa» Interpretare Aida significa passare dal registro di mezzosoprano a quello sopranile. Un bel salto…«In realtà ai miei inizi, per quattro anni,  ho studiato da soprano. Ho affrontato Gilda e Violetta, anche ruoli di agilità dunque. Ho però sempre avuto una voce scura, molto particolare. Ma io volevo fortemente diventare soprano, loro sono sempre stati i miei idoli. Il problema è che possedevo gli acuti, ma non sempre trovavo facile riuscire a gestirli. Quando alla Scala sono stata Azucena nel Trovatore di Verdi, piangevo perché mi sentivo fuori posto. In certi momenti, ho perfino pensato che essere definita un mezzosoprano fosse quasi un’offesa. E’ stato allora che ho deciso di percorrere un’altra strada. Per fortuna molti teatri hanno creduto in me, e la Scala fra questi».  Resta il fatto che Aida è una parte vocalmente ardua…«Non me ne parli. In “O cieli azzurri” c’è quel Do che mi ha fatto molto penare. Presenta una salita tutta particolare, diversa dalle altre, che può anche far paura. Richiede un pianissimo e devo dire che come tale l’ho provato più e più volte. A teatro, però, mi riservo una sorpresa». Che Aida sarà la sua, romantica o eroica? «Sicuramente romantica, divisa tra l’amore per il suo uomo e la fedeltà alla patria. In questo mi ha aiutato molto Zeffirelli, che ha chiesto a me e ad Alagna di sentirci innamorati. Aida è l’esatto ritratto di quelle che io chiamo “vittime forti”: in lei c’è dolcezza, anche tanta grinta, tanto coraggio. Cercherò di rendere tutti gli aspetti del personaggio, una donna che sento molto vicina alla mia sensibilità».  Com’è lavorare con Chailly? «Come sempre, una gran bella esperienza. Ci mette a nostro agio e segue alla lettera la partitura». Progetti per il futuro? «Farò Macbeth di Verdi, poi a Vienna nel 2009 sarò Isotta con Simon Rattle. Forse un giorno Brunilde. Ma la Scala è sempre il massimo, qui mi sento di casa. Sarebbe il massimo (sorride, ndr) interpretarvi Norma. Chissà…». Il suo sogno? «La Sonnambula di Bellini, ma (altro sorriso, ndr) non potrò mai cantarla per via della mia figura».  Alla fine, sempre repertorio italiano, al massimo wagneriano. Quello francese no?«Mah, per ora non rientra nei miei interessi. In realtà è solo che la voce, come il resto, col tempo invecchia. Per questo voglio continuare a cantare Verdi e Bellini. Finché  posso e ce la faccio…». Vedi il resto delle interviste (Franco Zeffirelli, Roberto Bolle) sul sito:http://www.classicaonline.com/link "Le nostre Interviste"