Coniglio mannaro

Post N° 149


Successo travolgente per il Cyrano portato in scena dal tenorissimo ibericoAlla Scala trionfa Domingo e rinasce Franco Alfanodi Elena PercivaldiDieci minuti di applausi, pioggia di "bravo" e ovazioni a non finire. Così Milano ha accolto Placido Domingo che l’altra sera, alla Scala, ha fatto il suo "Grande ritorno". Vi mancava da cinque anni, dopo l’Otello che inaugurò l’ultima stagione prima della riapertura dopo i restauri. E vi ha portato trionfalmente il Cyrano de Bergerac di Franco Alfano, opera quasi sconosciuta (debutto a Roma nel '36, pochissime riprese, pochissime incisioni) ma alla quale ha saputo restituire, complice un cast di grande livello, una nuova vita.
Diciamola tutto. La musica di Alfano non è certo brutta. Ma l'opera non è nemmeno questo gran capolavoro. Il trionfo assoluto, al Piermarini come altrove, va quindi a nostro avviso in gran parte, se non del tutto, attribuito al carisma del tenore iberico , che ha incarnato un Cyrano a tutto tondo, intriso di prodondissimo afflato lirico ma anche di impressionante vigoria fisica, impegnato in svariati duelli da stroncare il fiato. Questo a 68 anni suonati. E scusate se è poco. Sulla resa vocale preferiamo, con umiltà, tacere, sussurrando appena che abbiamo ascoltato quasi immutato lo smalto e il timbro dei suoi tempi migliori. D'accordo, non è una novità per nessuno. E allora diremo che ciò che ha davvero impressionato è la maestria col quale il suo Cyrano, nient'affatto imbarazzato dall'imponente (anche se non grottesco) naso, ha fatto vibrare tutte le corde delle emozioni, brillare tutto lo spettro dei colori del sentimento più nobile, dalla sfrenata esaltazione alla più profonda depressione, efficacemente sintetizzati nei formidabili sei modi differenti con cui sussurra "ah" nello scoprire che l'amata Roxane in verità non è invaghita di lui ma del bel Christian.
Sul podio la bacchetta di Patrick Fournillier ha dominato una partitura come detto non nota, non facile, non cantabile ma ricca di spunti melodici, in bilico tra lo slancio lirico di Puccini e gli impressionismi di Debussy. Perfettamente a suo agio in una musica più francese - lui che si è prodigato con le opere meno note di Auber e Massenet - che italiana, toccante nei momenti più alti del testo (la scena del coro dei cadetti, la scena del balcone, tutto l'ultimo atto e in particolare la morte di Cyrano), travolgente nei finali in fortissimo, la direzione del maestro è di quelle che lasciano il segno e sono il miglior biglietto da visita possibile per reinserire in repertorio lavori che ne sono usciti da tempo immemore o forse non vi sono mai entrati.
 Sondra Radvanovsky ha dato vita ad una Roxane spavalda e sbarazzina, molto intensa e di grande presenza scenica. Vocalmente rotonda, così piena nel registro centrale quanto sicura e vibrante negli acuti, è stata in una parola splendida. Convincenti anche gli altri ruoli, dal Christian di German Villar al Carbon di Simone Alberghini, dal De Guiche di Pietro Spagnoli al Le Bret di Claudio Sgura. Come al solito superlative le voci del coro diretto da Bruno Casoni. Belle le ormai collaudate scene di Peter J. Davidson, anche se forse era un poco spoglia la scena del balcone: suggestivi invece la torre e il campo dell'assedio di Arras dell'atto terzo, adattissimi all'evocazione nostalgica della patria da parte dei cadetti ormai allo stremo delle forze.Efficaci i costumi (d’epoca) di Anita Y. Yavich, mentre più da blockbuster di cappa e spada che da teatro lirico - ma il sospetto è che ciò sia voluto - è la regia di Francesca Zambello, che ha concepito questo Cyrano come un kolossal da portare, dopo il Met, Londra e Milano, in tournée per tutto il mondo. Con questi interpreti, c’è da scommetterci, sbancherà ovunque.PUBBLICATO SU CLASSICAONLINE:http://www.classicaonline.com/ Repliche 5, 9, 12 e 15 febbraio.