Il regista: «Chi c’era giura: non ci fu mai nessun blitz a Gradoli. Esistono le prove, di questa come di altre menzogne. Chi si vuole coprire? E perché?»Caso Moro, ecco la verità negataCarlo Infanti ha raccolto nel suo ultimo filmtestimonianze finora mai ascoltate. Scoprendo che...di ELENA PERCIVALDI
La vicenda è nota. Parliamo del sequestro e dell’uccisione, avvenuta trent’anni fa esatti, di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, già ministro degli Esteri e presidente del Consiglio. Ma se ognuno, di quei plumbei giorni d’inizio primavera, ricorda la strage della scorta in via Fani, la drammatica immagine dello statista con in mano una copia di Repubblica e dietro la stella a cinque punte delle Brigate Rosse, la Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani che custodiva, come una bara, il suo corpo senza vita, ci sono fatti, personaggi, circostanze che nessuno a parte gli interessati conosce. E che nessuno, finora, ha avuto il coraggio di raccontare. Carlo Infanti, classe 1966, è nato a Luino e ha iniziato a fare teatro quando aveva quindici anni. Ha lavorato in Parlami d’amore Mariù e Il Grigio di Giorgio Gaber e Sandro Luporini, poi come attore professionista nella compagnia di Piero Mazzarella. E come autore, scrivendo testi di successo tra cui Finalmenteunuomo, Attimi d’amore, Le avventure del sior Tone, che ha anche diretto. Stavolta però ha deciso di affrontare a modo suo, con un film originale, uno dei più sconcertanti misteri italici alla ricerca di quella verità che, al di là delle versioni ufficiali, stenta ancora a venire fuori. «Il mio - ci racconta Infanti - non è un documentario. E non è neppure un film inchiesta. O almeno, non è solo quello. La vicenda Moro è il più grande, controverso e oscuro delitto politico del dopoguerra. Una pagina terribile della nostra storia sulla quale esiste una verità che però, inspiegabilmente, continua a rimanere nascosta. Una verità negata».E proprio Moro, la verità negata è il titolo di questi 93 minuti diversi dagli altri perché non vedono protagonisti attori, ma i testimoni dei fatti. Ex ministri, agenti segreti, amministratori pubblici, legali e ufficiali dell'Esercito e della Marina militare che, per la prima volta, raccontano quello che non compare né nelle inchieste ufficiali, né sulla stampa dell’epoca, né nelle ricostruzioni successive. «Per cinque mesi - spiega Infanti - ho raccolto una gran mole di materiale. Atti giudiziari, documenti ufficiali, filmati, interviste, testimonianze. Pagine mai lette, voci mai ascoltate. Che ora io, per la prima volta, faccio parlare». IL MISTERO DI GRADOLIIl film comincia con la seduta spiritica che il 2 aprile del 1978 avrebbe suggerito a Romano Prodi e ad altri (tra cui Mario Baldassarri e Alberto Clò) il nome “Gradoli” come indicazione del luogo dove Moro sarebbe stato tenuto prigioniero. Quattro giorni dopo, su ordine del ministero dell'Interno, la procura di Viterbo organizzò un blitz armato nell’omonimo paesotto del Viterbese. Secondo la versione ufficiale, il blitz non ebbe successo. Ma le testimonianze raccolte da Infanti nel paesino, intervistando gli abitanti, sono sconcertanti: tale blitz, secondo loro, non si sarebbe mai verificato, quel giorno in giro non c’era anima viva. Altro che agenti in tenuta da rambo.Il nome di Gradoli sarebbe ritornato alla ribalta in seguito, quando a Roma, in via Gradoli appunto, sarebbe stato scoperto un covo delle Brigate Rosse. Ma per altri Gradoli sarebbe un nome in codice per coprire alcune informazioni passate dai servizi segreti sovietici a politici italiani. Su questo caso stava indagando la commissione parlamentare d'inchiesta Mitrokin quando, alla fine del 2006, si è ritrovata al centro di un complesso intrigo internazionale. Nel film parlano molti testimoni, vivi e morti. E riferiscono fatti inquietanti. Come Alexander Litvinenko, l'ex tenente colonnello dell’FSB (il servizio segreto russo erede del Kgb) assassinato a Londra nel novembre 2006 con una massiccia dose di Polonio 210, che in una sequenza d’archivio riprodotta tale e quale da Infanti dichiara senza mezzi termini che uno dei big della politica italiana lavorava, nientemeno, che per il Kgb.
IL RICORDO DELLA FIGLIAParla anche la figlia di Moro, Maria Fida, finora restìa a partecipare alle commemorazioni ufficiali del delitto. Qui compare in una sequenza toccante: dal cofano della macchina ricorda il padre com’era prima del sequestro, in famiglia, a casa, nelle cose di tutti i giorni. Un uomo mite e generoso del quale non sarebbe mai importato nulla a nessuno, ma che all’improvviso, strumentalmente, fu trattato da tutti come un martire. «Del mio film - sottolinea Infanti - si potranno dire molte cose. Che è brutto. Che è girato male. Ma quello che viene detto dai testimoni non si può negare: è tutto provato in centinaia di pagine di documenti». Infanti, però, non vuole dare risposte. Non vuole fare il giudice. Ma solo suggerire una pista, stimolare alla ricerca, fornire un punto di partenza. Che possa, un giorno, sfociare da qualche parte, facendo svanire la nebbia: «Sapete cos’è che mi fa davvero male? Che nonostante ci siano tante e tali prove, che decine di persone sappiano che la verità sul sequestro Moro è un’altra, nessuno si sia mai preso la briga di leggere, di ascoltare. Che nessuno voglia indagare. Che nessun giornale voglia scriverlo. Uno scandalo tutto italiano, che strappa il Paese dal novero delle democrazie per cacciarlo nella lista squallida dei regimi». ALLA RICERCA DELLA VERITA'La pellicola era iscritta alle preselezioni dei Festival del Cinema di Cannes, 2008, ma è stata esclusa. «Non mi importa - scrolla la testa il regista -. Il mio film non è nato per fare cassetta. Non ha sponsor né interessi da difendere. Non ha nemmeno un grande nome per la distribuzione. Troveremo comunque il modo per farlo vedere in giro, piuttosto lo regaliamo. Dirò di più. Il mio prossimo film sarà dedicato alla ricostruzione dell’attentato a papa Giovanni Paolo II, episodio che col delitto Moro ha inquietanti legami. Lo ripeto: ciò che mi preme è solo che la verità, finalmente, venga a galla. Costi quel che costi».