Coniglio mannaro

Post N° 173


Como “abbraccia” Vienna e le inquietudini del ’900A Villa Olmo le opere di Klimt, Schiele e Kokoschka raccontano la fine di un’epocadi ELENA PERCIVALDI
Sono due corpi nudi e glabri, intrecciati un amplesso forte, di quelli che tolgono il fiato. Lei  pelle chiara, lui olivastro, sotto il lenzuolo candido e stropicciato.  È il 1917, l’Austria sta soccombendo sotto le granate e i colpi di cannone della Grande Guerra. Egon Schiele,  testimone dei tempi, ritrae in questo Abbraccio il sentimento morboso e disperato di due amanti che non sanno, non possono sapere, se sopravviveranno al disastro e se potranno avere ancora qualcosa da raccontare. È questo il quadro simbolo della mostra in corso a Como fino al  20 luglio  (catalogo Silvana Editoriale), dove le stanze di Villa Olmo accolgono una nutrita selezione di capolavori provenienti dal Museo Belvedere di Vienna. Il titolo è proprio L’abbraccio di Vienna, e sta ad indicare  il ruolo che la capitale del vecchio impero asburgico ha rivestito nella genesi dell’arte del Novecento, in particolare agli inizi del secolo, quando divenne protagonista con la  Secessione e il  primo Espressionismo. I nomi sono quelli, eclatanti e terribili, di Egon Schiele, di Gustav Klimt e di Oskar Kokoschka. Ma la rassegna non inizia né finisce con loro.  Curata da Sergio Gaddi  e Franz Smola, la mostra raccoglie un’ottantina di opere che dal Barocco arrivano  appunto all’Espressionismo, passando per la Belle Èpoque e quel tanto vituperato Biedermeier, tutto  oleografico e buoni sentimenti,  profumato  di interno borghese, di cannella e torta di mele, che qualcuno pure non senza ragione ha tentato di rivalutare come parte integrante della cultura austriaca. La parte che preferiamo, comunque,  resta  quella  dello Jugendstil. Con le sue inquietudini, i suoi terrori, le sue visioni morbose amiamo le  turbe psicanalitiche di Schiele che, morto giovanissimo, ha saputo trasmetterci lo smarrimento e l’angoscia di una generazione che ha visto violato il rassicurante e caldo grembo della grande madre Austria.  E sentiamo nelle sue opere la voce di Joseph Roth e le pagine dolenti e disperate della Cripta dei Cappuccini. Così come ci piacciono  la veemenza e i colori forti e icastici di  Kokoschka, e  di Klimt apprezziamo non  solo gli svolazzi decò e le citazioni dell’antica arte bizantina, ma anche i ritratti e i paesaggi, di gran lunga meno conosciuti. Questi artisti sono gli interpreti della fine fragorosa di un’epoca e della fine della vecchia Europa. E il canto del cigno dell’impero alla fine della decadenza è  un canto che  continua a commuovere.