Coniglio mannaro

Post N° 188


IL BELLO, CHE FORZA!Centoventi capolavori dell’arte greca per raccontare la storia di un successo senza tempo. Dai kouroi ai crateri, dalle danzatrici ai satiri, dalle statue sensuali delle dee alle severe erme. Modelli imitati o respinti, comunque la pietra di paragone dei secoli a venire. Nel bene e nel male...di ELENA PERCIVALDIpubblicato martedì 1 luglio 2008Sarà per la formazione scolastica prettamente umanistica. Sarà per il nostro senso estetico, affinato dalla presenza di tanti capolavori. Sarà, forse, semplicemente perché si tratta di pura e semplice perfezione. Fatto sta che quando pensiamo alla bellezza in campo artistico, la nostra mente evoca subito, in modo quasi automatico, le statue greche. Che con la loro imponenza, la levigatezza delle forme, le proporzioni assolute destano da sempre, in chi osserva, grande meraviglia e anche una certa invidia. Ecco perché recarsi a Mantova, di questi tempi, è una gioia per gli occhi e per il cuore. Ci si va per visitare la grande mostra La forza del bello. L'arte greca conquista l'Italia, allestita nelle sale di Palazzo Te e nelle sue Fruttiere. E non è tempo perso.Curata da Salvatore Settis, la rassegna illustra, grazie alla scelta di centoventi opere provenienti da tutto il mondo ed esposte per la prima volta insieme, la storia della presenza dell'arte greca sulla Penisola, una presenza cruciale che ha avuto ripercussioni incommensurabili nella storia dell’arte mondiale. L’idillio tra arte greca e Italia è antico e caratterizzato da vicende alterne, non sempre del tutto felici. Inizia ai tempi delle antiche colonie nel sud e nelle isole (VII sec. a.C.), nelle quali vasi, statue, oggetti d’arte non solo venivano importati dall’Ellade, ma anche prodotti in loco. Segnarono un gusto e un’epoca e finirono per essere imitate da tutti i popoli italici, dagli Etruschi agli stessi Romani. Proprio questi ultimi, nell’epoca della maggiore espansione (III sec. a.C. - IV d.C.), furono grandi collezionisti, a volte saccheggiatori, spesso mecenati. A loro e alla loro smania di ornare giardini e atri dobbiamo le tante copie in marmo da originale in bronzo, quasi sempre andato perduto, che ci sono rimaste. Opere che, dissepolte dalle rovine nel Medioevo e nel Rinascimento, hanno rinfocolato la fortuna dell’arte greca, diventando grazie a Winkelmann tra Sette e Ottocento ora, per i classicisti, fonte di massima ispirazione, ora, per i romantici, totem da rigettare. Comunque, un punto fermo con cui confrontarsi. La mostra mantovana, corredata da un catalogo edito da Skira, raccoglie in un sobrio ma efficace allestimento pezzi unici, dai kouroi ai crateri a figure rosse o nere, dai ritratti alle danzatrici e ai satiri, dalle statue sensuali delle dee alle severe erme. Purtroppo di alcuni -come il celeberrimo Cratere di Vix- è proposto solo il calco in bronzo e non l’originale, non avendo il Museo di Châtillon-sur-Seine acconsentito al prestito. Ma la mancanza la si perdona volentieri, se si pensa all’estrema fragilità di un reperto che è considerato universalmente come una delle testimonianze più alte dell’arte ceramica di tutti i tempi. Questa e altre assenze -la testa dell’Atena Parigi, l’imponente lastra del Museo di Alicarnasso- sono però ampiamente compensate da alcuni pezzi straordinari, come lo splendido Spinario dei Musei Capitolini (I secolo a.C.) o il Busto del cosiddetto Pseudo-Seneca proveniente dalla Villa dei Papiri di Ercolano. Ammirarli ci riconcilia con la vita e con l’uomo nel senso suo più nobile, quello di interprete, anzi artefice della Bellezza. Facendoci intravedere, per un istante, l’assoluto. elena percivaldimostra visitata il 14 marzo 2008PUBBLICATO SU EXIBART:http://www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=24099&IDCategoria=1