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Post N° 214

Post n°214 pubblicato il 16 Novembre 2008 da eleperci
 

TURNER EQUO E SOLIDALE

Spilorcio, egocentrico e misantropo? Manco a parlarne. William Turner, il più grande paesaggista di tutti i tempi, era in realtà un uomo generoso e profondo. Come altrimenti concepire la sublimità dei suoi quadri? La parola a James Hamilton, curatore della grande mostra ferrarese dedicata alle tele italiane...

di ELENA PERCIVALDI

pubblicato domenica 16 novembre 2008

Le sontuose e terribili rovine di Roma, i sinuosi e arcadici paesaggi della campagna italiana. Ma anche la luce tenue e vibrante della laguna di Venezia colta nei suoi scorci più intimi e raccolti. Tutto questo, e altro ancora, offre la mostra Turner e l’Italia, che apre oggi i battenti a Ferrara. A Palazzo dei Diamanti sarà esposta, fino al 22 febbraio, un’ampia selezione di oli, acquerelli, tele, disegni e incisioni del grande pittore inglese che rivoluzionò l’arte di ritrarre il paesaggio, superando i limiti della raffigurazione prospettica e restituendo gli aspetti più segreti dello spettacolo della natura. A curare l’evento il professor James Hamilton, tra i maggiori esperti di William Turner (Londra, 1775 - Chelsea, 1851) e autore di una rivoluzionaria biografia (Turner: A Life, Hodder and Stoughton, 1997) che ha contribuito a sfatare miti e leggende negative sull’uomo, ricollocando nel contempo l’artista tra i grandi di ogni tempo.

Professor Hamilton, la mostra Turner e l’Italia esplora i legami tra il celebre pittore inglese e il nostro Paese. Lui lo percorse in lungo e in largo, ma poi si fermò a Roma e a Venezia. Perché allora scegliere Ferrara come sede espositiva?

A proporre Ferrara fu proprio Andrea Buzzoni, direttore di Palazzo dei Diamanti, che contattò nell’occasione la National Gallery of Scotland a Edimburgo. Siamo felici di lavorare con un gruppo così pieno di entusiasmo e talento. Turner probabilmente passò da Ferrara quando, nel settembre 1819, lasciò Venezia per dirigersi al sud, anche se non sembra che vi si sia fermato, come del resto farebbe supporre l’assenza di disegni che ritraggono la città. Ma non è nemmeno troppo corretto dire che solo Roma e Venezia furono al centro della sua attenzione. Entrambe, certo, furono per lui molto importanti, ma i suoi viaggi in Italia, in particolare quello del 1819, lo portarono a conoscere tutto il Paese, a nord fino a Domodossola, a est verso Rimini e Ancona, a nord-ovest fino a Torino, spingendosi poi nel Mezzogiorno e toccando Napoli e Paestum. Come dimostrano le sue opere, egli rimase affascinato dall’Italia sia antica che moderna, anzi amò profondamente l’Italia in tutti i suoi aspetti: dalle sue leggende alla sua storia, dalla letteratura all’arte.

Che novità porterà l’esposizione ferrarese di Palazzo dei Diamanti?
Innanzitutto, saranno esposte alcune delle più belle tele “italiane” di Turner, tra cui Roma vista dal Vaticano (1820), dipinto subito dopo il suo ritorno dal viaggio, e Palestrina e La visione di Medea, realizzati entrambi a Roma nel 1828. Tutti e tre questi quadri sono stati prestati dalla Tate Gallery di Londra. Avremo poi in mostra anche una straordinaria Scena di montagna in Val d’Aosta, prestito della National Gallery of Victoria di Melbourne, e la poco conosciuta Fontana dell’indolenza (1834) dalla Beaverbrook Art Gallery di New Brunswick, in Canada. Altri prestiti importanti provengono dalla Rosebery Collection, dal Louvre e dalla Royal Academy di Londra.

Turner e l’arte italiana. Quali furono i maestri che lo intrigarono di più?
Direi Tiziano, Veronese e Salvator Rosa. In mostra, ad esempio, vedrete una Sacra Famiglia (1830, oggi alla Tate) che si ispira direttamente alla pittura del Seicento veneziano. Tra i non italiani, sicuramente Poussin, la cui influenza è tangibile in tutti i dipinti in esposizione.

Come tutti gli artisti (e gli scrittori) romantici, Turner ha subito il fascino del paesaggio italiano. Come Goethe, ad esempio, apprezzava sia la campagna, arcadica e selvaggia, sia una città che, come Roma, con le sue monumentali rovine antiche costituiva un suggestivo museo a cielo aperto. Qual era il rapporto di Turner con l’arte classica, e quanto essa influenzò i suoi lavori?
Il suo viaggio in Italia del 1819 fu per lui un percorso sia nello spazio che nel tempo. Prese appunti molto precisi delle rovine e delle iscrizioni che poté vedere attraversando il Paese, cercando di inquadrarle alla luce di quanto aveva studiato nella sua giovinezza. Tra le sue letture figuravano i resoconti di viaggi di autori contemporanei come il reverendo John Eustace e Henry Sass, ma anche i classici latini e greci: Omero, Virgilio, Ovidio e Cicerone. E tra questi, Virgilio e l’Eneide furono decisivi. Turner era un viaggiatore molto “intellettuale”, faceva spesso deviazioni per visitare siti che custodivano memorie storiche o mitologiche, come ad esempio il Lago d’Averno, Rimini e Paestum. Durante i mesi che trascorse a Roma, lavorò alacremente ai Musei Vaticani, in Campidoglio e al Foro studiando la scultura romana. Il risultato sono dozzine di disegni e acquerelli che probabilmente avrebbero dovuto servire come base per future incisioni. Turner si considerava un artista europeo, e come tale era convinto che le rovine antiche costituissero una radice profonda dell’identità europea.

Turner non fu l’unico artista inglese a dipingere paesaggi. Perché, secondo lei, porta le stimmate del genio?
Perché rivoluzionò il modo di concepire e vedere il paesaggio. Le costruzioni pittoresche e oleografiche del XVIII secolo non facevano per lui. Molto più adatte alla sua sensibilità le nuove concezioni romantiche che vedevano unità tra paesaggio, luce, clima e attività umane. Pochissimi dei suoi paesaggi non recano alcuna traccia di una presenza umana: di solito infatti compaiono sempre figure di persone intente alle loro occupazioni quotidiane, oppure tracce di opere dell’uomo come ponti, strade e rovine. Il suo genio consiste nell’aver individuato nel paesaggio gli elementi essenziali e poi trasferirli in una realtà che comprendesse, al centro di tutto, l’umanità colta nella sua storia. Era un grande affabulatore, e riuscì a esserlo usando le immagini piuttosto che la parola. Ma fu anche un impresario dotato di grande intuito commerciale, come dimostra il fatto che cercò in ogni modo di far ricavare incisioni dai suoi quadri per pubblicizzarli a un mercato il più vasto possibile. Fu proprio Turner a creare un nuovo concetto del paesaggio inglese, e grazie ai suoi viaggi in Francia, Germania e Italia, anche del paesaggio europeo, storico e contemporaneo.

Quale fu dunque il suo rapporto con gli altri paesaggisti inglesi, Cozens, Wilson e Constable?
Cozens e Wilson erano i suoi eroi, i suoi mentori per quanto concerne la pittura inglese. Riguardo a Constable, i due non erano amici sebbene egli lo ammirasse molto. Non conosciamo quasi nulla riguardo al giudizio che Turner possedeva dei lavori di Constable; tuttavia entrambi possono essere considerati i “geni gemelli” della pittura di paesaggio, con tutte le loro differenze. Entrambi contavano su un pubblico abbastanza ristretto per quanto concerne sia la clientela, sia la comprensione in sé del loro lavoro. Per questo furono, in ultima analisi, rivali, come emerse agli inizi degli anni ‘30 quando si scontrarono per esporre alla Royal Academy.

Il viaggio a Venezia di Turner può essere considerato un punto di non ritorno. Da allora, le sue opere sembrano riflettere il suo universo interiore più che il mondo sensibile. Che impatto ebbe la laguna sul suo lavoro e sul suo spirito?
Turner visitò Venezia per la prima volta nel 1819, ma la città non divenne un soggetto importante sino agli anni ‘30. Dai suoi quadri emerge che per lui Venezia era l’esatto opposto di Roma: la prima lussuosa e indolente, la seconda in equilibrio tra storia antica e attività moderne. A Roma le rovine contrastano con il divenire contemporaneo, che si traduce nella costruzione del nuovo ma anche nel rinnovamento e nel restauro dell’antico nel rispetto per il passato. Invecchiando, tornava spesso ai temi trattati in gioventù, ad esempio la Valle d’Aosta o Didone ed Enea. A Venezia egli trovò un senso della storia che probabilmente interpretò come il crepuscolo, un approccio del resto abbastanza naturale per un uomo della sua età. Ma anche in questo non mancano le contraddizioni: nei suoi ultimi anni Turner continuò a sperimentare nuove tecniche di pittura, e in almeno due occasioni riprese in mano opere precedenti per allinearle al suo nuovo senso estetico. La reazione di Turner nei confronti di Venezia non va dunque considerata a mio avviso un punto di non ritorno, ma semmai un’ulteriore fase nello sviluppo continuo e costante della sua arte.

Nella sua biografia, lei ha smentito molti luoghi comuni sul pittore e sul personaggio, come l’avarizia e la misantropia. Qual era in realtà il suo vero carattere, come uomo e come artista?
Era generoso, riflessivo, solidale e comprensivo nei confronti di quelli che chiamava “fratelli artisti”, sensibile all’educazione dei giovani e sempre attento ai cambiamenti sociali, tecnologici e scientifici. Concepiva il paesaggio come un luogo eletto, un’oasi dove nutrire e rinfrancare lo spirito. Era un uomo straordinario, unico, la cui statura può essere tranquillamente considerata alla pari con quella di Dante, Shakespeare e Dickens.

In due parole: quale fu l’importanza di Turner nella storia dell’arte?
È una domanda troppo difficile. Rispondere richiederebbe assai più che poche battute, ma credo di averlo in parte già fatto. Turner si considerava un grande artista europeo. Penso che il tempo gli abbia dato ragione.

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Turner e gli impressionisti al Museo di Santa Giulia

a cura di elena percivaldi

*articolo pubblicato su Grandimostre n. 1. Te l’eri perso? Abbonati!
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dal 15 novembre 2008 al 22 febbraio 2009
Turner e l'Italia
a cura di James Hamilton
Palazzo dei Diamanti
Corso Ercole I d'Este, 21 - 44100 Ferrara
Orario: tutti i giorni ore 9-19
Ingresso: intero € 10; ridotto € 8
Catalogo Ferrara Arte
Info: tel. +39 0532209988; fax +39 0532203064; diamanti@comune.fe.it; www.palazzodiamanti.it


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