Mattone dopo mattone

Post N°98


Lettera OttavaIl deserto di cemento e ruggine, non molto tempo addietro, era una verde terra, dove le colline si alzavano modeste e i borghi in cima spuntavano curiosi come il muso d'una talpa. Le montagne bucavano i cieli, aguzze e bianche come i denti degli squali, le vallate morbide come il ventre d'una calda e tenera amante, e le acque impetuose bagnavano le coste e alimentavano la vita degli abissi.Ma tra gli abitanti l'amore non fiammeggiò mai quanto arde il sole, e bastò poco a che si spezzassero i vincoli di sangue e ci si disinteressasse ai tributi dell'amicizia. Non fu difficile trasformare ciò che ribolliva di vita in una pozzanghera vischiosa di nero catrame.Arrivò un giorno da chissà dove, e nessuno se lo chiese, la terribile progenie d'un male antico. Quali fossero i suoi scopi non si seppero, e nessuno si chiese manco quello. Ma ebbe bocca per parlare, e mente e bracci per plasmare, e fu così che gli uomini caddero presto in suo possesso. Divennero suoi e loro ne furono compiaciuti. Aveva una fame di vita mai concepibile, una volontà di possesso implacabile quanto il magma che dalle profondità della terra innalza come una colonna di anime dannate, e spara spietata lapilli dove maggiormente le garba. E gli uomini, che ormai erano suoi e non sapevano come redimersi, giocavano al suo orrido gioco, e tra le lacrime amare dei coccodrilli abbattevano le loro case, mangiavano i loro figli, ammorbavano i loro mari e stupravano i loro amanti. Adesso, quando la luna sorge sul deserto di cemento e ruggine, porta il viso di quelle anime maledette dalle atrocità, un fantasma col volto sozzo del sangue d'agnello.  Death Valley Blues