Mattone dopo mattone

Post n°102


Sono le 15 e qualcosa quando esco di casa trafelato sapendo di portare minimo 20 minuti di ritardo all'appuntamento con Frank. Carmela è accucciata sul pail proprio fuori dalla porta, bianca sporca e grassa, chiede una carezza, è una gatta voluttuosa. Le indicazioni che ho avuto da Frank sulla strada per raggiungerlo a lezione non sono state completamente esaustive. Imbocco l'autostrada mentre il sole si avvicina alle vette bianche del Gran Sasso, reggono un cielo tagliato a metà tra il blu dello spazio rischiarato appena e il grigio gonfio delle nubi che salgono piano dall'orizzonte. Passa quasi un'ora prima che riesca ad individuare il luogo dell'appuntamento, mi passa a prendere dal benzinaio, faccio in tempo per una pisciata, comprare le cartine e mezzo chilo di pane, che rompo disordinatamente mentre lo aspetto. Quando arriva mi offre un caffè e un bicchiere d'acqua, e io so già che prima che finisca la lezione avrò nuovamente la tanica da svuotare.Arriviamo al Polifunzionale, scendiamo una rampa per automobili e si entra dentro l'auditorio, che, insomma, altro non è che una stanza piastrellata, bianca, sedie e panche sono schiacciate alla parete. Dico a Frank, molto mortificato, che tornato da lavoro non ho tutto questo tempo, e recuperare a 30 anni tutto il programma di dieci lunghi anni di conservatorio attualmente per me è impossibile, tra i panni insozzati, la casa da pulire e il dovere fondamentale di mangiare qualcosa, quanto meno per sopravvivere un altro giorno. La lezione finisce presto, il Blues me lo dovrò suonare a casa da solo. Arrivano due sorelline che stanno studiando latino americano, estraggono le loro chitarre e si accordano con Frank. La mia vescica è gonfia, individuo l'iscrizione che mi salverà i reni e varco la porta. Si apre un corridoio senza luci, illuminato poco dalla porta a vetri al suo termine. Si fa largo un ficcante lezzo di putrefazione avanzata. Sulla destra un barlume metallico si stacca dalla parete scura, un gancio da macellaio appeso al muro, intelato da una cerata trasparente macchiata a chiazze da evidenti schizzi di sangue obliqui. Per terra un lago di sangue in crosta occupa una grossa superfice del corridoio, e a fianco un'enorme bacinella bianca in plastica contiene per metà scarti di macellazione, un porpora annerito, schiarito a intervalli solo da brevi lampi gialli tendinei. Il mio piscio è chiaro come l'acqua. Quando torno in auditorio non devo avere un bell'aspetto, Frank mi guarda curioso mentre fa la base alle signorine studentesse. Sorrido pallido, inforco il giubotto, prendo la chitarra e filo via. La notte è piombata rapida sui paesi dalla Val Vibrata. Lunghe file di auto si intrecciano, ognuno è infilato stretto nel proprio loculo e pensa a quanto ci metterà a tornare a casa.