Mattone dopo mattone

Post N°87


Le luci della città sfavillano incerte e allegre, come ragazzine nel fiore della giovinezza, e gli aerei volano sulle nostre teste e sembrano astronavi aliene che lasciano di corsa questo strano e triste mondo. Dal fango dove affondano le mie radici, pronte a sbocciare in uno splendido fiore purpureo, guardo il cielo coperto dalla notte, e quando tutto appare così distante da me  mi commuovo, e tendo una mano ma non è abbastanza lunga per toccarlo. Devo ammettere, con merito o colpa, che sono mosso da desideri umani, pensieri di uomo, emozioni e paure da bambino . Ogni istante si affollano dentro la nostra vita tutte le età e tutto ciò che siamo stati che siamo e che un giorno saremo, come il fiore riposa dentro la radice, e come il frutto attende nel sonno dentro il suo fiore. Tutto, irrinunciabilmente, adesso. Eppure, se penso a ciò che ho avuto e a ciò che non ho più, riguardo il cielo ed è sempre così maledettamente lontano, nonostante io sia ragionevolmente dentro di esso. Già immerso in quello spazio profondo e gelido, già proiettato nei vortici più arditi delle galassie più focose. Eppure, i miei piedi sono ancora coperti di fango. Mi è parso che il cielo abbia promesso l’amore, un’economia dignitosa, e una vita umana. E invece a ben vedere, il cielo non promette nulla, la vita non muove alcuna intenzione e non agisce alcun fine. Come un serpente che striscia per cercare una preda, una logica ferrea, ma per noi è comunque ben troppo alta. Dovrei piangere dalla gioia, sapendo ora che non possiamo attingere dalla fonte alcuna legge scritta valida ora e per sempre, che con robusti mattoni ectoplasmatici non possiamo imbastire grattacieli eterni. Ma devo ammettere, con merito o colpa, che così, nudo, esposto alle raffiche di vento che soffia questa vita selvaggia, si, ho freddo. E temo le tenebre. Andrò a dormire pensando all’amore, alla vita e alla morte, sono tutte qui, irrinunciabilmente, adesso. Eppure così maledettamente lontane.