Non ti muovere

Post N° 36


E' da poco che abbiamo cominciato ad annusarci io e te, da quando hai cominciato a battibeccare con tua madre.Sai, aspettavo quel momento, sono stato a braccia conserte tanti anni.Hai incontrato il mio sorriso fuori dalla porta del bagno, perchè è sempre lì che vi azzuffate, in mutande, con gli ombretti rovesciati nel lavandino.Ti ho sorriso.Anche tu mi hai sorriso.Tua madre si è indispettita."Finalmente avete la stessa età" ha detto.Lei non voleva che ti comprassimo il motorino, anch'io non volevo, ma non volevo dirti di no.Avevi menato quella solfa per tanto tempo, metodica, senza mai stancarti.Allora ho detto: "Comunque salirà su quello degli altri, salirà senza casco, salirà dietro qualcuno che magari guida troppo forte".Tua madre ha detto: "Non se ne parla nemmeno".Io sono rimasto in silenzio, e lei è uscita senza salutarmi quel giorno.Ma la verità è che volevo veder brillare i tuoi occhi, volevo quel tuffo intorno al collo: "Grazie, papo...", volevo come un ragazzino.E alla fine il più emozionato ero io.Ma la mamma lo sapeva, eravamo già sconfitti.Non sappiamo dirti di no.Non sappiamo dirlo a noi stessi.Lei si è sgretolata più in fretta di quanto credessi.Poi sono venute le raccomandazioni, i giuramenti.Piegato sul bancone del negozio, io riempivo l'assegno.Abbiamo scelto il casco più costoso.Tua madre ci ha battuto le nocche contro per saggiarne la durezza, un inutile ultimo gesto di difesa.Poi ha infilato la mano nell'imbottitura che avrebbe protetto la tua testa.La sua testa."Tiene anche caldo" ha detto, e ha fatto un sorriso triste.Tu eri dietro in motorino, seguivi la nostra auto che andava pianissimo.Nello specchietto vedevo il tuo casco rosso.Mi ricordo d'aver detto: "Non possiamo vivere di paure, dobbiamo lasciarla crescere".E avevo paura di pensare: dobbiamo lasciarla morire.Buttai la chiave sul mobile all'ingresso e mi tolsi subito le scarpe.Avevo visitato tutto il pomeriggio nel mio studio.L'ultimo paziente era stata una donna visibilmente benestante.Gli occhi plastificati in un'unica espressione simili ai bottoni del suo tailleur.Le iniziali dello stilista impresse su quei bottoni erano rimaste a galleggiarmi negli occhi, ultimo dispetto della giornata.Camminando verso il bagno già mi spogliavo.Entrai nella doccia, il telefono squillò."Ti sei fatto un pò di spesa?"Tua madre era puntuale come sempre."Certo."Naturalmente mentivo.Quell'estate campavo di arancini, palle di riso bianco fritte e gustose.Mi fermavo a mangiarli in una gastronomia che oggi ha chiuso.C'era un bancone di marmo, e un uomo allampanato che mi serviva in silenzio la mia dose.Tre arancini, dentro un piatto pesante da osteria.Sai, figlietta, la vita è una carta adesiva piuttosto ingannevole, la colla sembra resistente, sembra che debbano resistere molte cose.Poi la srotoli, e ti accorgi che manca un sacco di roba, restano giusto quattro stronzate.Ecco, tra quelle quattro stronzate, per me, c'è un piatto da osteria con tre arancini dentro.Mi mancavano in città le cene di tua madre.Ma il sapore di quella mancanza mi piaceva, nudo in piedi, dentro la mia piccola pozzanghera.Era il sapore della solitudine, di una mano in mezzo ai coglioni.E camminando da una stanza all'altra scoprivo che la nostalgia è un sentimento molto elastico, dentro il quale puoi far transitare tutto quello che ti va.Una di quelle muffe del cuore che saziano di buona compagnia.Accesi il televisore.C'era un programma così estivo che il presentatore fluttuava dentro una piscina su un'isola di polistirolo accanto a una sirena negra.Tolsi il volume e lasciai che quel celeste fasullo riverberasse intorno.Andai in camera, presi dal comodino il libro che stavo leggendo, tornai in soggiorno e sprofondai sudo sul divano.Come da ragazzo, quando i miei partivano per le vacanze e io restavo a studiare.Aiutavo mio padre a caricare l'ultima borsa nell'impraticabile bagagliaio della Lancia coupè.Trascorrevo i giorno disordinando la casa.Spargevo libri, mutande, avanzi, ovunque, a tappeto.Mi piaceva violare quei luoghi modesti che mia madre conservava lindi durante l'inverno.E quando alla fine ogni cosa tornava in ordine riuscivo a sopravvivere meglio tra quelle mura perchè conservavo memoria del mio affronto estivo.Credo che fosse lo stesso identico piacere che prova un sudicio cameriere quando sputa di nascosto nel piatto di un cliente troppo pretenzioso.