Le labbra piene di rossetto, i capelli scorticati dalla decolorazione...Si stringe nella giacchetta sintetica, tira a sè la sua valigia troppo grande, sente che quell'uomo la sta giudicando.Guarda la testa curva dietro il banco, e forse si è già pentita di essere venuta.Attraversa la hall con un'espressione sfrontata, quasi ostile.I suoi tratti sembrano più rozzi perchè dentro il suo animo è cupo.Si sta difendendo.Saliamo insieme in ascensore.Siamo soli eppure non la sfioro.Ora mi fa pena, cammina nel corridoio con i suoi tacconi storpi e mi fa pena.Le camere sono sullo stesso piano.Non c'è nessuno in giro.Italia entra da me.Rimane in piedi senza nemmeno guardarsi intorno, si rosica le mani.Il congresso va avanti per quattro giorni, conferenze riunioni, corsi di aggiornamento.Italia non cuole uscire dall'albergo, resta sul letto a guardare la televisione, le ordino qualcosa da mangiare e glielo faccio portare in camera.Io ceno nel ristorante dell'hotel con gli altri colleghi.Non ho fretta, gusto il cibo, parlo, scherzo.Dentro di me sciaborda un piacere sottile.Lei è di sopra, nascosta, pronta a scivolare nelle mie braccia.Mi aspetta, è chiusa dentro a chiave.Ogni volta che busso sento i suoi passi scalzi, affrettarsi, sulla moquette.Parla a bassa voce, ha sempre paura che qualcuno possa sentirci.Le dispiace per quell'altra camera che rimane vuota, ha letto il prezzo dietro la porta, è diventata rossa.Non prende nemmeno l'acqua dal frigo bar, beve dal rubinetto, io mi arrabbio ma lei si ostina.Non esce neppure quando vengono le cameriere a rifare la stanza, si siede in un angolo e le guarda.Di notte ci amiano per ore, non ci addormentiamo mai.Italia torce il collo oltre il cuscino, la sua gola freme, i capelli piovono in terra.E' come se cercasse qualcosa oltre di me, un luogo dove ricongiungersi con una parte smarrita di se stessa.Fugge, pezzi di lei sfuggono dalle mie mani.I suoi occhi guardano la finestra dove riverberano le luci della corte interna dell'hotel.Lì sotto c'è una fontana che a una certa ora viene spenta.Italia si alza dal letto per assistere a quello spegnimento, le piace quello spruzzo che finisce.Parla poco, non reclama un posto, sa di non essere una sposa in viaggio di nozze.Non saprò mai quanti uomini l'hanno amata prima di me, ma so che ognuno di loro, accudendola o scalfendola. ha contribuito a plasmarla, a farla così com'è.La seconda sera usciamo nel cuore della notte, lasciamo le chiave e scivoliamo fuori dalla hall.Le ho regalato un paio di scarpe bianche, le ho viste in una vetrina e le ho prese.Sono più grandi dei suoi piedi, Italia ha spinto nelle punte un pò di carta igienica.La cittadina è tutta in salita, vicoli dentro vicoli, e case di pietra greggia.I talloni di Italia escono dalle scarpe tropo larghe.Ci inerpichiamo fino alla rocca, oltre il palazzo del comune.Affacciati al belvedere, guardiamo in basso la piana notturna costellata di luci.Scendiamo pochi gradini e ci troviamo in uno slargo di ciottoli, al centro qualche gioco da bambino.Un'altalena cigola mossa dalla brezza che batte quell'altura, c'è buio, solo il campanile dalle guglie romaniche spunta illuminato tra i tetti neri.Seduti su una panca di pietra, guardiamo davanti a noi il cavallo di legno con una grossa molla al posto delle zampe, e un pò di melanconia scolora nella nosta clandestinità.Quei giochi senza bambini ci rattristano.L'altalena che non vuole smetterla di cigolare ci guasta l'umore.Italia si alza, va a sedersi sul seggiolino di ferro, si dà una spinta, poi un'altra.Le sue gambe si piegano nell'aria, la sua schiena va e torna.Le scarpe bianche da sposa sono cadute dai suoi piedi, lei non le ha trattenute.
Post N° 49
Le labbra piene di rossetto, i capelli scorticati dalla decolorazione...Si stringe nella giacchetta sintetica, tira a sè la sua valigia troppo grande, sente che quell'uomo la sta giudicando.Guarda la testa curva dietro il banco, e forse si è già pentita di essere venuta.Attraversa la hall con un'espressione sfrontata, quasi ostile.I suoi tratti sembrano più rozzi perchè dentro il suo animo è cupo.Si sta difendendo.Saliamo insieme in ascensore.Siamo soli eppure non la sfioro.Ora mi fa pena, cammina nel corridoio con i suoi tacconi storpi e mi fa pena.Le camere sono sullo stesso piano.Non c'è nessuno in giro.Italia entra da me.Rimane in piedi senza nemmeno guardarsi intorno, si rosica le mani.Il congresso va avanti per quattro giorni, conferenze riunioni, corsi di aggiornamento.Italia non cuole uscire dall'albergo, resta sul letto a guardare la televisione, le ordino qualcosa da mangiare e glielo faccio portare in camera.Io ceno nel ristorante dell'hotel con gli altri colleghi.Non ho fretta, gusto il cibo, parlo, scherzo.Dentro di me sciaborda un piacere sottile.Lei è di sopra, nascosta, pronta a scivolare nelle mie braccia.Mi aspetta, è chiusa dentro a chiave.Ogni volta che busso sento i suoi passi scalzi, affrettarsi, sulla moquette.Parla a bassa voce, ha sempre paura che qualcuno possa sentirci.Le dispiace per quell'altra camera che rimane vuota, ha letto il prezzo dietro la porta, è diventata rossa.Non prende nemmeno l'acqua dal frigo bar, beve dal rubinetto, io mi arrabbio ma lei si ostina.Non esce neppure quando vengono le cameriere a rifare la stanza, si siede in un angolo e le guarda.Di notte ci amiano per ore, non ci addormentiamo mai.Italia torce il collo oltre il cuscino, la sua gola freme, i capelli piovono in terra.E' come se cercasse qualcosa oltre di me, un luogo dove ricongiungersi con una parte smarrita di se stessa.Fugge, pezzi di lei sfuggono dalle mie mani.I suoi occhi guardano la finestra dove riverberano le luci della corte interna dell'hotel.Lì sotto c'è una fontana che a una certa ora viene spenta.Italia si alza dal letto per assistere a quello spegnimento, le piace quello spruzzo che finisce.Parla poco, non reclama un posto, sa di non essere una sposa in viaggio di nozze.Non saprò mai quanti uomini l'hanno amata prima di me, ma so che ognuno di loro, accudendola o scalfendola. ha contribuito a plasmarla, a farla così com'è.La seconda sera usciamo nel cuore della notte, lasciamo le chiave e scivoliamo fuori dalla hall.Le ho regalato un paio di scarpe bianche, le ho viste in una vetrina e le ho prese.Sono più grandi dei suoi piedi, Italia ha spinto nelle punte un pò di carta igienica.La cittadina è tutta in salita, vicoli dentro vicoli, e case di pietra greggia.I talloni di Italia escono dalle scarpe tropo larghe.Ci inerpichiamo fino alla rocca, oltre il palazzo del comune.Affacciati al belvedere, guardiamo in basso la piana notturna costellata di luci.Scendiamo pochi gradini e ci troviamo in uno slargo di ciottoli, al centro qualche gioco da bambino.Un'altalena cigola mossa dalla brezza che batte quell'altura, c'è buio, solo il campanile dalle guglie romaniche spunta illuminato tra i tetti neri.Seduti su una panca di pietra, guardiamo davanti a noi il cavallo di legno con una grossa molla al posto delle zampe, e un pò di melanconia scolora nella nosta clandestinità.Quei giochi senza bambini ci rattristano.L'altalena che non vuole smetterla di cigolare ci guasta l'umore.Italia si alza, va a sedersi sul seggiolino di ferro, si dà una spinta, poi un'altra.Le sue gambe si piegano nell'aria, la sua schiena va e torna.Le scarpe bianche da sposa sono cadute dai suoi piedi, lei non le ha trattenute.