Versi da mare

Dopo la malattia


Le scende per le bracciaai fianchi, si diffondein tutte le membra quella frescae festosa mattutinitā -Lei avanza contro il sole,                                      s'immergein quella tempra,                          abbrivida,ancora duro intoppo,le sembra,al dilagare della luce                                finchč, eccole entra il mondonei sensi, nella conoscenza.E' lei che traversa quella nubeo č quella nuvola cangiante -la vita - che la invadee tutta la percorre?                              chi č l'ombra                              chi č che lo decide?Oh niente, niente, lo sai bene, le disingue,se non la nostra allarmata insufficienza.*Ti prego, non tornino.                            Oredi carcere in cui eroin compagnia di meche m'ero invisoper nero disamoree tu non eri e non veniviin visita o a dimoracome immagine o come memoriao forma di preghiera -ore cieche, ore nerein cui era penuriad'aria, pių ancora di coloree non c'era nč ardore nč pittura...Pių tardi, quando da evasodi quella prigioniami riversai, mi espansiin molte simiglianze, in moltefraternitā, forse mi aveviinvaso, ma io non lo sapevoe non potevo, altriero, non io, quel ricongiuntocon la fulgida agoniadel mondo e delle sfere.Nč tu eri la stessadella tua mancanza,nessuno era pių niente, luce,luce regina solamente.Cosė era, cosė sia per sempre.(DOPO LA MALATTIA da "Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini" / Mario Luzi)Dopo una cieca cattivitā fuori dall'amore, il delirio di risalita. Quando č invece la luce a scendere e a colmare di colori le nostre insufficienze, che pur di estremizzarsi - per paura - si svuotano anche del loro poco, imprigionandosi in agoniche memorie solitarie. Nč la luce č il duttile contrario della sua mancanza, ma destino collettivo, ben al di lā delle attuali somiglianze di apparenze arbiitrarie...(Commento di  Valerio Nardoni su La ferita nell'essere Mario Luzi)