Cenerentolasiribella

I baby Bin Laden


Fermate la musica e tirate giù i palloncini. La festa è sospesa e gli ospiti sono pregati di tornare a casa. A Londra la cerimonia per l'incoronazione del nuovo monarca di Westminster è stata rovinata dai terroristi. Dieci anni di attesa, due giorni di cambiamenti e subito dopo ecco altri due giorni orribili. Il basso profilo per il tanto atteso cambio della guardia tra Blair e Brown è stato infranto dai boati della paura scoppiata per un altro round di attentati. Le cornacchie dell'anti-islamismo gracchiano contro i pori del multiculturalismo, attraverso cui s'infiltrano nel tessuto sociale i nuclei del terrorismo globale. Londonistan sarebbe l'icona di una politica dell'immigrazione che spalanca le porte accogliendo chiunque con una calorosa stretta di mano, un passaporto inglese e una manciata di sterline per entrare in un internet cafè e imparare a fabbricare una bomba artigianalmente. I soliti sudari apocalittici dai quali grondano gli incubi di Eurabia. Purtroppo, o per fortuna, questi ragionamenti non si adattano così agilmente alla realtà. Senza i veli del pregiudizio si scopre che gli attentatori potrebbero essere giovani nati sul suolo inglese ed educati ai più nobili valori occidentali. Questa pedagogia dev'essere stata deludente se il richiamo del terrorismo globale, impastato di sottomissione e violenza, esercita un magnetismo più forte della libertà e della democrazia. Giovanissimi inglesi orfani del blairismo ma in possesso di un curriculum degno di un criminale recidivo. I baby Bin Laden non sono militanti abituati all'uso delle armi pesanti e al combattimento in battaglia. Non sono mujahideen o talebani. Forse non conoscono neppure l'arabo e non sono mai entrati in una madrassa. Ma sono esperti della vita nelle gangs, sono pratici dei metodi della polizia e conoscono il territorio come le loro tasche. Quando il crimine incontra il terrorismo la simbiosi diventa naturale e l'effetto devastante. Così il terrorismo si ringiovanisce e rinfoltisce i suoi ranghi con giovani reclute a basso costo. Con quest'esercito di piccoli gangsters si conclude l'epoca degli attentati plateali. Servivano a farsi un nome, quando nessuno conosceva Al Qaeda. Ora quel marchio è un'etichetta globale, come l'Ipod e le scarpe Nike. Basta un Suv, un esplosivo fatto in casa, un po' di fortuna e... boom! Il panico si moltiplica: basta una manciata di ragazzini allo sbando opportunamente manovrati. E' il terrorismo di seconda generazione. Di fronte a questo passaggio evolutivo occorre una politica di seconda generazione. Statisticamente è impossibile prevenire questi attacchi. Il gran numero di attentati sventati, spesso all'ultimo minuto, rimpicciolisce di fronte alla quota sempre crescente di progetti, reclutamenti, contatti e collegamenti all'interno delle reti terroristiche. Solo adesso la politica ha capito che stigmatizzare un gruppo etnico o un'area sociale è una tattica che non funziona più. Troppo semplice. Quando i terroristi non portano l'uniforme e l'inglese è la lingua madre, è difficile distinguerli. E l'uso degli eserciti è impossibile. Gli stereotipi portano in un vicolo cieco dove l'Occidente finisce con le spalle al muro - e per giunta sul muro di casa sua. Il terrorismo è un nemico di tutti, è un'emergenza globale che supera i confini nazionali e le divisioni politiche e religiose. Londra e Gaza stanno pagando lo stesso prezzo. Gli adolescenti che si fanno saltare davanti ai posti di blocco dell'esercito israeliano sono carne da cannone esattamente come lo sono i loro coetanei a Londra. Il circuito è lo stesso. Le vittime sono le stesse: i civili e gli attentatori stessi. I terroristi non sono uno Stato e non perseguono una politica. Il loro obiettivo è abbattere gli Stati e demolire ogni politica. Chi ragiona ancora guardando a destra o a sinistra non si accorge che la realtà ha sorpassato questi schemi. I terroristi non si fanno scrupoli di usare giovani, vecchi, donne e bambini, europei o arabi, perché il terrorismo è davvero un fenomeno globale.diGabriele Cazzulini