UNA VITA DA SCRIVERE

La malattia delle fate, di Massimo Conese.


E se fate, nani ed elfi  non fossero altro che persone diversamente abili?Una coraggiosa teoria magistralmente esposta in un saggio.             Non perderà un milligrammo di fascino il mondo delle fiabe se leggete questo libro. Forse è un tantino più scientifico  dei soliti trattatelli sulle  fate e sulla loro origine perché apre gli occhi a molti che ancora credono  alla possibilità di un universo parallelo abitato da strane creature. Senza  ferire l’orgoglio degli appassionati, questo saggio, scritto da un medico, Massimo Conese, prende le mosse da un classico  dell’antropologia culturale: Le radici storiche dei racconti di fate di Propp,  che spiega il  motivo dell’universalità della fiaba. Perché le fiabe di tutto il mondo sono simili? L’origine risiederebbe nei miti e conseguenti riti,  che, dalla notte dei tempi avevano più o meno il medesimo iter un po’ ovunque. Insomma, i riti all’origine di un etereo e apparentemente inconsistente prodotto come la fiaba, che concretamente, si sarebbero ripetuti nelle varie civiltà sin dall’alba della specie umana, dando  vita a un racconto, trasmutato poi in fiaba. Questo, stringatamente, sostiene Propp nel suo saggio.Nel  libro di Conese, parallelamente, si dimostra  che  le storie di gnomi, fate e strane creature, non sono altro che il frutto  del rifiuto  di spiegare l’esistenza della malattia. Forse dovuto all’ignoranza, o piuttosto,  alla non-conoscenza di alcune patologie deformanti, come ad esempio la sindrome di Down o il nanismo, o anche varie malattie genetiche, poiché non se ne conosceva l’origine, si poteva solo spiegare con la fantasiosa presenza di esseri fatati che si  divertivano a sostituire i bambini nella culla, con una pratica che presso gli antichi Celti veniva chiamata changeling. Questo rendeva più accettabile la diversità, che, non dimentichiamolo,  nei tempi passati era molto dura da accettare proprio perché senza spiegazione. Un bimbo non nasceva malato, era solo colpa delle fate che l’avevano scambiato in culla con un loro bambino non sano. Inoltre Conese, nella sua teoria, si spinge ancora più lontano,  ipotizzando addirittura che  tra gli esseri fatati  rientrassero persino individui di specie differenti, come i primitivi abitanti di alcuni popoli, ad esempio i nativi Celti, a causa di tratti somatici e colorito differenti. Insomma, la credenza nelle fate era in origine  il tentativo di un appiglio razionale alla bio-diversità e alla malattia, proprio per sopperire all’insufficienza delle informazioni da parte della scienza. Questo nel tempo è stato tramandato come un prodigio, qualcosa di fantastico e degno dell’orgoglio di un popolo, ma in realtà si riduce alla mera spiegazione di un fatto altrimenti difficile da accettare.