-Sorè”, “sooreeeessa?-, sento Saverio che mi cerca, ma faccio finta di non sentire, ho un’ora di buco e ne approfitto per fumarmi in santa pace una sigaretta nel cortile della scuola; il bidello, è politicamente scorretto, ma continuo a chiamarlo così anche se ora dovrei definirlo collaboratore scolastico, sa bene dove trovarmi e continua ad urlare:
-Sorè, il cinese mi ha detto le parolacce.-
Il cinese è Liang, il bambino arrivato quest’anno direttamente da Pechino, non conosce una parola d’italiano ed è letteralmente terrorizzato da questo nostro nuovo mondo.
E’ arrivato il primo giorno di scuola, quando ormai tutti i ragazzi erano entrati, accompagnato dalla madre che, vociando nella sua lingua, l’ha mollato all’ingresso ed è andata via, senza mai più riapparire.
Quando ho avuto bisogno di parlarle, sono andata io a trovarla, nel bazar dove vende di tutto, dalle scarpe ai detersivi.
-Tu maestra- e giù risatine e sorrisi, dopo un’interminabile conversazione in cui io cercavo in italiano di presentarmi e di farle capire che Liang aveva bisogno di aiuto e lei continuava a rispondermi in cinese, mi sentivo molto Alice che chiede l’ora al Cappellaio Matto.
Ad un certo punto mi ero arresa, tra le mani una borsa di plastica che cercavo invano di restituirle:” Tu maestra, regalo borsa, no italiano, no interessa, noi cina”.
Liang, quel mattino di settembre, aveva in mano le carte dell’iscrizione,illeggibili, e ripeteva: “io,scuola”,”io, scuola”, a chiunque gli si avvicinasse; gli avevo sorriso e gli avevo indicato la classe, era stato accolto da ventiquattro facce incuriosite e si era subito rifugiato all’ultimo banco, senza più muoversi.
-Ora vengo,Saverio, mi faccia finire la sigaretta-
-Si, rovinati la salute…-
Se ne va bofonchiando a bassa voce qualcosa sulle donne che fumano e che non sanno stare al proprio posto, cioè a casa.
Lui mi dà molto amichevolmente del tu, nonostante da dieci anni io gli dia del lei, chiedendogli sempre “per cortesia” e “per piacere” cose che rientrano a pieno titolo nelle sue mansioni;
-Solo perché me lo chiedi TU- mi risponde e va a prendere il gesso che custodisce in un cassetto chiuso a chiave, se lui non c’è, si ammala facilmente, non si scrive alla lavagna.
-Saverio, come fa a sapere che sono parolacce?-
-Lo so, si capisce- mi risponde con aria di sufficienza.
-Ha studiato il cinese?-
-No, sorè, ma quello le dice, si capisce benissimo-
Rinuncio a discutere, smontare una così granitica certezza è impossibile, Saverio è anziano e scorbutico, questa scuola non gli piace, non gli piace che i ragazzi siano più vivaci e liberi, che nei corridoi girino alunni di tutti i colori che parlano male italiano, non gli piace che ormai da anni si avvicendino in presidenza personaggi stravaganti e provvisori che arrivano, cambiano tutte le regole e vanno via velocemente, soprattutto non gli piace che, in questo marasma, la scuola sia stata sostanzialmente affidata a me, vicepreside donna, dove mai si è visto.
So che il mio intervento non servirà a nulla, ma devo andare, si è piantato davanti a me, braccia incrociate e aria da vediamo cosa sai fare.