CULTURA E SAPERE

26 Agosto festa Sant'Oronzo di Lecce


Oronzonacque a Lecce da famiglia assai nobile e fra le prime della città. Sembrava un fanciullo predestinato e si distingueva dai suoi coetanei. Nel 56 D.C. la grazia lo attendeva per investirlo e per trasformarlo in seguace del Vangelo: Oronzo era a caccia, lungo la spiaggia ora detta di San Cataldo, con suo nipote Fortunato, quando il cielo cominciò ad oscurarsi, si levò un forte vento e la tempesta si abbatté con forza sconvolgendo la campagna e il mare. Oronzo e Fortunato si rifugiarono in un casolare attendendo il termine della bufera. Tornato il sereno, Oronzo riprese la caccia, quando ad un certo punto gli andò incontro un forestiero, scalzo, grondante acqua, disfatto nel viso, scampato appena dal naufragio di una nave che la tempesta aveva gettato sul lido e infranto. Il cuore di Oronzo si commosse e invitò gentilmente i
l naufrago, lo accolse nella sua villa, lo fece asciugare e riposare, lo rifocillò usandogli cortesie affabilissime. Egli era Giusto, un discepolo del Nazareno, che da Corinto era stato mandato dall'Apostolo Paolo a Roma, portatore di Lettere per quella Cristianità nascente e già fiorentissima. Giusto accettò l'ospitalità offertagli da Oronzo e pian piano gli disse chi era, quale era la sua missione, iniziandolo così alla conoscenza del Cristianesimo. Le parole di Giusto scesero profondamente nel cuore di Oronzo che gli domandò il battesimo conferitogli da Giusto qualche giorno dopo insieme con il nipote Fortunato. Il numero dei fedeli che si convertirono al Cristianesimo crebbe tanto a Lecce che, i sacerdoti degli Idoli cominciarono a spargere le calunnie più nere sul conto di Oronzo: dissero che egli, ad istigazione di un mago ebreo, aveva abbandonato la religione degli Dei e spinto molti altri ad abbandonarla; e bisognava per questo aspettarsi i più severi castighi dagli Dei sdegnati; che si sarebbe facilmente passati dal disprezzo degli Dei a quello dell'Imperatore. E perciò, essi affermavano di dover stroncare già sul nascere questa pericolosa credenza, per il bene pubblico e privato: denunciarono Oronzo al Pretore Romano come sovvertitore della religione e quindi nemico dell'Imperatore e dello Stato. Il Pretore impose loro di abiurare il Cristianesimo e di offrire incenso al Dio Giove, nel tempio dedicato allo stesso. A questa imposizione Oronzo e Giusto professarono la loro fede in Cristo e la statua di Giove si frantumò in minuscoli frammenti. Non per questo però il Pretore si diede per vinto: ordinò, aizzato dai sacerdoti pagani, che fossero spogliati e flagellati alla presenza di tutto il popolo; poi sanguinanti e carichi di piaghe li fece rinchiudere in uno strettissimo carcere. Ma non cessò ugualmente dal perseguitarli: li fece arrestare e ordinò che, condotti nudi per le vie della città, fossero flagellati e poi gettati in un rogo perché bruciassero vivi; ma i carnefici non poterono niente contro di loro perché le braccia gli si irrigidirono e persero ogni vigore. A quel punto una voce invitò il pretore a non opporsi al volere divino. Il Pretore tremante nella voce lasciò liberi i servi di Dio. Giusto come padre, maestro e guida di Oronzo e Fortunato li portò con sé verso Corinto a conoscere l'Apostolo Paolo. Il Santo Apostolo consacrò Oronzo Vescovo di Lecce, dandogli come successore Fortunato a cui anche impose le mani. Giusto li avrebbe accompagnati stabilendosi definitivamente a Lecce. Lecce era diventata un centro rigoglioso di vita cristiana in cui come fiaccole splendevano le virtù di Oronzo Fortunato e Giusto. I sacerdoti idolatri, seguaci della religione pagana ne informarono Nerone che - nemico capitale dei cristiani - spedì a Lecce Antonino, uno dei suoi più crudeli ministri, il quale li fece rinchiudere in un carcere tenebroso ed angustissimo minacciando che li avrebbe uccisi se non si fossero piegati al suo volere. Irritato Antonino ordinò che innanzi a tutto il popolo essi venissero flagellati e subito gettati in un lurido carcere senza ristoro alle ferite e alla fame. Antonino, ritiratosi nel suo palazzo, trovò il figlio e un paggio invasati dagli spiriti maligni che gridavano non esservi altro Dio fuori di quello adorato da Giusto e Oronzo. Non potendo assistere a tanto strazio chiese al Pretore di far ritornare i due esuli per liberare gli sventurati giovani. Giusto e Oronzo pregando ad alta voce, liberarono gli ossessi mentre il pretore divenne per il momento più benigno: la calma era però del tutto apparente. Il Pretore pubblicò a Lecce un bando nel quale si esortava al combattere questa nuova religione con ogni mezzo e a mandare a morte chi si fosse rifiutato ad abiurare. Allora Oronzo e Giusto preferirono allontanarsi dalla città per serbarsi a tempi migliori. La prima città verso cui si diressero fu Ostuni: ma il terzo giorno della loro dimora in Ostuni, il tribuno li fece arrestare e imprigionare: era il 3 maggio, giorno della consacrazione della Santa Croce. Ridotti in uno stato compassionevole Oronzo e Giusto partirono da Ostuni perché banditi dalla città e si ritirarono in un bosco alle falde del monte, prendendo dimora in una grotta e conducendo una vita di contemplazione e penitenze trascorrendo ventitré giorni in quel luogo, ma dei manigoldi li scacciarono, costringendoli a dirigersi verso Bari, dove dei soldati ne impedirono l'ingresso. Si avviavano allora verso Turi dove, bene accolti predicarono e battezzarono tutti gli abitanti. Successivamente percorsero la Lucania, l'Abruzzo e la Puglia. Dovunque Oronzo e Giusto erano passati avevano sparso il seme della Parola divina, avevano illuminato le menti, convertito i cuori, operato prodigi e sofferto persecuzioni. Tornati a Lecce continuarono a predicare e convertire altre anime. Il 15 di agosto dell'anno 66, Oronzo, circondato da un gran numero di fedeli celebrò la festa dell'Assunzione di Maria impartendo a molti gentili il Battesimo. Conosciuto per mezzo di spie il luogo dove dimorava Oronzo, Antonino fece arrestare il Santo Vescovo insieme a Giusto che in quel momento si trovava con lui. I fedeli seguaci dei due Santi non avevano potuto conoscere il luogo dove erano rinchiusi e il Signore prodigiosamente illuminò ogni notte con fulgidissimo splendore il luogo della prigione. Di questa luce misteriosa le guardie diedero notizia ad Antonino, il quale temendo che i cristiani andassero a liberare i prigionieri, decise di farli morire di nascosto. All'alba del 26 agosto i Santi martiri furono tirati fuori dalla prigione e portati in un luogo solitario, distante dalla città, verso settentrione, a circa tre chilometri. Giunti sul luogo prescelto li fecero spogliare nudi, ma qui ebbe luogo uno straordinario evento: lontano su Lecce apparve una fulgidissima luce in forma di croce che si stendeva su tutta la città addormentata; mentre sul capo dei martiri apparve un'altra luce in mezzo alla quale erano visibili palme e corone. I manigoldi però riavutisi dallo stupore si lanciarono contro i Santi e troncarono dapprima il capo a Giusto poi si avvicinarono ad Oronzo. Il Santo Vescovo pregava e guardando la sua Lecce disse: «Semper protexi et protegam! Sempre ti ho protetta e ti proteggerò». Si inginocchiò, posò il capo sul ceppo e il sacro capo rotolò per terra inzuppandola del suo sangue generoso e una leggenda narra che spuntarono freschissimi fiori dal sangue zampillato dal capo di Oronzo. Il Pretore lasciò i cadaveri santi insepolti e in pasto agli uccelli ma due giorni e tre notti dopo gli angeli di Dio custodirono i corpi dei martiri e nell'aria si videro luci grazie alle quali i fedeli conobbero il luogo dove giacevano le salme. Il corpo di Oronzo fu trasportato nella casa di Petronilla (nobile vedova del tempo convertitasi anch'essa al Cristianesimo) e lì seppellito, dove oggi sorge il Palazzo dei Vescovi di Lecce. Dietro l'Altare Maggiore della Chiesa Cattedrale viene confermato il titolo di primo Vescovo, al nostro Santo. Con maggiore chiarezza esprime il tutto l'inscrizione che si legge nel secondo ordine del Campanile del Duomo: Justo. Corinthio. Apostolo. Suo. ORONTIO. ET FORTUNATO CIVIBUS, ET PRIMIS. PONTIFICIBUS. ET PATRONIS, APUD. DEUM. POTENTISSIMIS. ALOYSIUS. PRÆSUL. CLERUS. POPULUSQUE LYCIENSIS. GIOSI, GRATI, SUPPLICES POSUERUNT.