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Post n°152 pubblicato il 14 Luglio 2006 da sandrabianchi1

Affetto il pane e lo sistemo con cura nel cestino di paglia. Taglio i pomodori, li condisco e li unisco alla mozzarella che ho  tagliato a dadini. Spolvero l’origano  e mi viene improvviso il pensiero che non ho la più pallida idea se questa mescolanza ti piaccia o no. In effetti, credo di conoscerti abbastanza ma so poche cose sui tuoi gusti in cucina. Dunque, ami soprattutto i funghi (ma non è stagione e poi ora fa troppo caldo!) e i primi, detesti le verdure cotte (come i bambini), ma su mozzarella e pomodori non so come la pensi.
Sei capitato a scuola una mattina, per istallare sul server dell’aula di informatica quel famigerato programma  pilota di cui  la mia scuola doveva verificare sul campo la validità prima che venisse diffuso in tutti gli istituti del regno. Una bella rogna, in pratica. Significava avere tutti gli occhi addosso, essere sottoposti a burocrazia e controlli e soprattutto dover produrre una serie infinita di inutili scartoffie. Aspettavamo il tecnico del ministero, così quando ti sei presentato tu, in effetti ci hai spiazzato. Credo sia in assoluto la cosa che ti piace di più, cogliere di sorpresa. Sinceramente non so che idea ci fossimo fatta, fra tutti, del  tizio che doveva arrivare, ma non pensavamo certo ad uno come te. Non so, ci eravamo forse  figurati il tipo del burocrate, un simil-ispettore pieno di supponenza e boria e “adesso vi faccio vedere io come si fa”, invece sei entrato tu, con l’aria un po’ spaesata, gentilissimo senza essere ossequioso e con quel sorriso incredibile. Ecco, credo che il tuo sorriso sarà la sempre la prima cosa che mi verrà in mente quando penserò a te.
Stavo parlando con la bidella, che come al solito con tono troppo alto faceva apprezzamenti molto coloriti sul ministero e il ministro e  ‘sta mania dell’informatica, ma che cavolo vorrà mai dire poi, a scuola si deve insegnare la creanza, che diamine, che i ragazzi riducono le classi un bordello e poi a me tocca pulire e non ci danno neanche i detersivi giusti, guardi qui, professoressa, mi si sono rovinate tutte le mani, eppure uso pure i guanti.... La ascoltavo annuendo, come sempre, e intanto sbirciavo l’orologio, fra dieci minuti suona la campanella, avevano assicurato che per le dieci il tecnico sarebbe stato qui, non ho più voglia di aspettare, che palle, se non arriva entro le dieci e mezzo me ne vado a fare la spesa poi telefono in segreteria, è mai possibile che dobbiamo stare ad aspettare uno che di sicuro arriverà con la puzza sotto al naso..
Quando sei entrato, senza neanche una valigetta, ti ho scambiato per il padre di un alunno. Poi hai sorriso, ti sei tolto gli occhiali da sole e mi sei venuto incontro.
Da quel momento, siamo diventati amici. E’ una ben strana amicizia, lo so. Non la chiamiamo mai così. Non ci definiamo mai “amici”. In realtà, non ci definiamo affatto.  Parliamo dei massimi sistemi del mondo così come delle banalità più idiote (per esempio sei bravissimo nel fare battute demenziali), mi parli del tuo lavoro e sei curioso del mio, ridi dei fallimenti della mia  vita sentimentale e mi racconti con ironia i tuoi “successi” con le donne, mi prendi in giro per la mia scarsa competenza informatica, mi soccorri quando le schermate blu del mio pc mi sommergono e mi chiedi di rivederti le relazioni che devi presentare. E’ una specie di mutuo scambio non codificato, non scritto, non detto, iniziato davanti al pessimo caffè che ti ho offerto dal distributore della scuola. L’istallazione e configurazione del perfido programma era perfettamente riuscita. Con competenza e perfino con grazia sei riuscito ad addomesticare le recalcitranti macchine dell’aula di informatica, e senza neanche te lo chiedessi mi hai lasciato un foglio di istruzioni molto dettagliato. In fondo avevi appuntato anche il tuo numero di cellulare. Me ne sono accorta, e ti ho chiesto, con aria noncurante: “Ma non dovrebbe esistere un numero verde, per queste cose?”. Il sorriso che mi hai fatto è stato disarmante: “Beh, faccia lei.. se vuole passare metà della mattinata a discutere con operatori che non capiscono niente, faccia pure. Se invece chiama me...”. Logica stringente e in effetti inattaccabile. Non ho saputo cosa risponderti. Conosco me stessa e le mie incapacità nei confronti del pc.. son capace di compiere casini inenarrabili con un semplice click dove non dovrei, e l’idea di poter avere un esperto sotto mano sempre era allettante. Così,  ti ho pagato il caffè, avvertendoti: “Non credo si renda ben conto di quello che sta facendo...si accorgerà!”
Così, giorno dopo giorno, telefonata dopo telefonata, imparavo ad usare il maledetto programma e imparavo a conoscere te, la tua capacità di sdrammatizzare situazioni che a me sembravano ostacoli insormontabili, la tua schiettezza a volte ruvida ma mai offensiva, la tua sintesi, la tua autoironia, la tua competenza, la tua permalosità..

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