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UN CONTRIBUTO AL SOSTEGNO DELLE POLITICHE ATTIVE IN AMBITO LOCALE

Post n°11 pubblicato il 11 Agosto 2009 da claudiofondelli

Conseguire un miglioramento e/o l’implementazione dell’offerta dei servizi pubblici in ambito locale o più semplicemente l’innalzamento del livello qualitativo di quelli esistenti, così come attuare interventi finalizzati a sostenere le fasce di popolazione residente in momentanea difficoltà (in sintesi svolgere una politica attiva in ambito locale) si scontra oggi (ed il più delle volte soccombe) con l’insufficienza delle risorse disponibili (oppure – in alcuni casi – non utilizzabili a causa dei vincoli derivanti dal rispetto del patto di stabilità) che limita pesantemente l’autonomia decisionale dell’amministrazione pubblica, dato che le entrate correnti sono oramai poco più che sufficienti ad assicurare il funzionamento ordinario dell’ente.

La mediocre qualità della vita dei nostri centri abitati (a partire dall’insufficiente livello di manutenzione delle infrastrutture in essi presenti) è dunque dovuta in larga prevalenza – salvo eccezioni, che comunque esistono – all’insufficienza di risorse e non all’inadeguatezza degli amministratori pubblici che si trovano a fronteggiare, oltre alla crisi economica congiunturale (che si traduce in minori entrate, specie sul fronte degli oneri di urbanizzazione derivanti dall’edificazione del suolo), il peso dell’elevatissimo debito pubblico statale che il governo nazionale ha “de facto” scaricato – sotto forma di riduzione dei trasferimenti – su di loro, nella cinica convinzione di sottrarsi così al risentimento della pubblica opinione per una gestione politico-economica inadeguata (quando non palesemente nell’interesse di una parte molto ristretta della popolazione) che ha sostanzialmente disatteso le promesse fatte in campagna elettorale.

Indipendentemente dalla volontà politica degli amministratori pubblici e dalla qualità dei programmi/impegni da loro assunti in campagna elettorale, come di qualsiasi contributo dal basso – partecipato – alla loro azione, nessuno sviluppo in ambito locale può oggi concretizzarsi senza prima superare il deficit di risorse che caratterizza lo stato attuale delle entrate degli enti.

Un deficit che occorre superare rapidamente, dato che l’assenza di sviluppo contribuisce – nel contesto socio-economico attuale – ad alimentare una spirale i cui effetti negativi – sempre più percepibili dalla popolazione – rischiano seriamente, per la crescente difficoltà che ha la maggioranza dei cittadini a distinguere tra cause/responsabilità – nello specifico del governo nazionale – ed effetti (conseguenza di un'informazione distorta dall'anomala concentrazione – diretta e/o indiretta – di media nelle mani dell’attuale presidenza del consiglio dei ministri),  di provocare un aumento della sfiducia verso le istituzioni e un generale convincimento che l’inadeguatezza e l’incapacità (quando non il malaffare) caratterizzi l’intera classe politica, senza distinzione alcuna (dato che la percezione superficiale è di un’analoga inerzia/inadeguatezza  – allorché per cause/responsabilità diverse, precedentemente esposte – sia delle politiche locali di centro-sinistra come di quelle nazionali di centro-destra) che renderebbe più difficoltoso un cambiamento nel breve/medio periodo del governo nazionale (essendo il voto politico prevalentemente empatico e che dunque si tende a conservare se non in presenza di un’alternativa molto convincente), oltre a mettere in serio pericolo la continuità politico-amministrativa nel breve/medio periodo a livello locale (essendo il voto amministrativo  prevalentemente pragmatico e che dunque si tende a non confermare se non soddisfatti dai risultati).

Assodato dunque che occorre reperire, oltre alle entrate attuali, le risorse utili a sostenere le necessarie politiche attive in ambito locale, più difficile è capire come e dove queste possono essere reperite.

Certamente non possono essere reperite aumentando il livello di contribuzione dei cittadini, già in difficoltà a causa della crisi economica, come difficilmente si potranno ottenere risorse sufficienti a tale fine dalla razionalizzazione della spesa corrente (benché sia importante agire anche su questo fronte) senza mettere in seria difficoltà la continuità di erogazione dei servizi, come l’assolvimento da parte dell’ente degli obblighi attribuitegli dall’ordinamento legislativo vigente.

Un ambito su cui agire, oltre ad implementare le politiche di razionalizzazione della spesa, è sicuramente l’avvio e/o l’implementazione di politiche di riduzione dei consumi energetici (attraverso il ricorso a fonti di approvvigionamento rinnovabili e scarsamente inquinanti, come a tecnologie che riducano i consumi di esercizio) e della produzione di rifiuti indifferenziati (attraverso il progressivo potenziamento della raccolta differenziata e la disincentivazione – modulando le tariffe – alla produzione di rifiuti), essendo però consapevoli che i benefici – in termini di contenimento della spesa, dunque di liberazione di risorse da destinare ad altri scopi – derivanti da tali politiche non saranno a breve termine e che invece è necessario un significativo investimento economico iniziale per attivarle.

Ciò non significa che tali politiche non debbano essere perseguite, tutt’altro, ma che non è da questo ambito che si possono ottenere le necessarie risorse economiche a breve termine, senza le quali non è possibile sostenere alcuna politica attiva – incluso quelle a connotazione ecologica – in ambito locale.

Non si tratta comunque di compiere – o sperare in – miracoli, nessuno dispone di formule o bacchette magiche in grado di materializzare considerevoli risorse in breve tempo, anzi occorre diffidare ed evitare di affidarsi a chi li promette (come è accaduto con l’acquisizione, anche da parte di enti locali, di titoli che si sono poi rivelati poco più che carta straccia, nell’illusoria convinzione di ottenere dividendi altissimi) ma neanche rassegnarsi all’idea che non ci siano strade da percorrere, perchè non è così.

Esiste nella pubblica amministrazione un potenziale inespresso o quantomeno ampiamente sotto utilizzato, come una ricchezza patrimoniale ampiamente sottocapitalizzata – e non sto parlando di giochi di prestigio, di finanza creativa di scuola Tremontiana (come l’acquisire liquidità dalla vendita di immobili indispensabili al funzionamento dello stato che si è dovuto subordinare alla sottoscrizione di un contratto di affitto pluriennale tale da comportare non solo la perdita di proprietà del bene ma anche una spesa – sotto forma di canone – ampiamente superiore alla cifra acquisita dalla cartolarizzazione, lasciando un debito “de facto” inestinguibile) ma di politiche attive di razionalizzazione e gestione, non depauperativi, del patrimonio che i troppi preconcetti esistenti nella pubblica amministrazione e nella classe politica – specie dello schieramento di centro-sinistra – hanno fino ad oggi impedito di sperimentare.

E’ su questo terreno invece che l’ente locale, attraverso una gestione innovativa e virtuosa del proprio asset patrimoniale, come dalla sua razionalizzazione (liberandosi cioè di quella quota di patrimonio – presente nella maggior parte dei casi, allorché in misura variabile, in tutte le realtà amministrative – che non produce alcun servizio e/o beneficio alla collettività o con un rapporto costi/benefici eccessivamente sbilanciato sui primi), si possano reperire risorse (anche sotto forma di minore costi di gestione), in parte una-tantum ed in parte ripetibili nel tempo, in grado di sostenere economicamente un complesso di attività significative, di consentire all’ente locale di sostenere quell’azione politica-amministrativa attiva che allo stato attuale è preclusa dall’insufficienza cronicizzata delle risorse.

Perchè se è indubbio che la dismissione generica, non selettiva, di un bene pubblico equivale ad un depauperamento della ricchezza della comunità amministrata è altrettanto vero che dal dopoguerra ad oggi la quasi totalità degli enti locali si è dotata di un complesso di beni generalmente superiore alla quantità necessaria al soddisfacimento dei bisogni –collettivi – a cui sono preposti, al punto che parte di essi rappresentano per l’amministrazione solo un costo passivo a causa delle spese ordinarie di gestione e manutenzione (oltre che una fonte di pericolo in quanto, dato il loro scarso utilizzo, difficilmente si investe su di essi per adeguarli alle normative in materia di sicurezza) senza che questi assolvano ad alcun effettivo servizio pubblico, ma al più siano funzionali/utili ad un numero talmente ristretto di residenti, da potersi “de facto” assimilare ad un servizio privato (i cui costi sono però sostenuti dall’intera comunità).

Come è indubbio che una non trascurabile quota di tale patrimonio possa – senza essere dimesso – ospitare e svolgere, oltre alle funzioni pubbliche a cui è preposto, anche altre funzioni collaterali da affidare – mediante gara pubblica – a soggetti privati (funzioni che non è opportuno che siano gestite direttamente dall’ente pubblico in quanto richiedono un investimento economico iniziale e dunque non rappresenterebbero per più annualità alcuna opportunità di reddito, ma al contrario un ulteriore costo per la collettività), in contropartita di canoni e/o servizi (come di un mix di entrambe le componenti).

Si tratta dunque di avere il coraggio di passare – attraverso un’idonea programmazione – ad una politica amministrativa maggiormente orientata all’efficienza non solo funzionale (come già accade e/o verso la quale le amministrazioni locali mostrano  attenzione) ma anche gestionale, attraverso la quale è possibile superare – almeno in parte – le ristrettezze economiche in cui gli enti locali si trovano.

Un obbiettivo questo che può certamente essere conseguito, a condizione però di trovare il coraggio di affrontare i troppi preconcetti presenti (più negli amministratori pubblici e nella classe politica che nei cittadini/elettori) e di affidarsi ad esperti, a professionisti con un know-out settoriale adeguato a misurarsi con una tematica così complessa e delicata, superando la pessima consuetudine di scegliere i consulenti sulla base della mera adesione politica e/o l’appartenenza territoriale: dimostrando cioè il coraggio e l’autorità che caratterizza (o quantomeno dovrebbe farlo) una classe – politica – dirigente.

 

 
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