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Post N° 26

Post n°26 pubblicato il 10 Luglio 2007 da TerritorioCavese

Da il Corriere della Sera : http://www.corriere.it/Primo_Piano/Economia/2007/06_Giugno/18/opere.shtml

 

 

Le 50 priorità di Di Pietro non mettono in crisi i costruttori. Ma non bastano

Chi vince e chi perde con le «piccole opere»

 

Il governo mette sul piatto solo 30-35 miliardi in cinque anni. A fare il pieno sono le Ferrovie e la Tav. A secco le autostrade

 

Vincoli di bilancio sempre più stringenti, mancanza di consenso da parte delle popolazioni locali, carenza di strumenti legislativi efficaci. Rimettere in moto il motore dei grandi investimenti infrastrutturali in Italia appare impresa improba persino in tempi di crescita economica soddisfacente come quelli attuali. Che la coperta sia corta, anzi cortissima, non è una novità. Ma per i prossimi 5 anni verranno messi in campo appena 30-35 miliardi di euro sui 180 che sarebbero necessari. Lo ha annunciato la scorsa settimana il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, sottolineando che i fondi verranno ripartiti tra 50 priorità, le opere «più urgenti tra le urgenti». La lista dei progetti da finanziare ha lasciato l’amaro in bocca a molti, prima fra tutti Genova che si è vista privata del progetto del Terzo Valico dei Giovi, infrastruttura ritenuta indispensabile per collegare il porto e la città alle grandi arterie del Nord Europa.

Ma a vincere o a perdere non sono solo i territori e le comunità (peraltro spesso ostili alle grandi opere). Dal gioco della torre sulle grandi opere c’è chi esce a testa alta, come le Ferrovie guidate da Mauro Moretti che assorbiranno oltre il 50% degli investimenti infrastrutturali per il quinquennio 2007-2011 e le regioni Campania e Puglia con lo stanziamento dei fondi per la realizzazione della tratta ferroviaria ad alta capacità Napoli- Bari, caso unico in Italia in cui gli ecologisti hanno istituito i comitati «Sì-Tav». A uscirne malconcia è invece la rete autostradale che ha visto una volta di più frustrata la sua fame d’investimenti, inappagata dagli anni ’80. Dei circa 10 miliardi previsti per lo sviluppo stradale, quasi la metà verrà impiegato su quattro progetti ritenuti strategici: il completamento della Salerno- Reggio Calabria, l’adeguamento della statale Jonica, la costruzione della nuova Romea (Mestre-Cesena) e l’avvio della Pedemontana lombarda. Da questo giro invece è rimasto fuori tra gli altri il corridoio tirrenico, vale a dire l’autostrada Cecina- Civitavecchia e la Cisa-Verona (Tibre).

Un gioco, quello della torre, che a prima vista va a penalizzare le grandi concessionarie autostradali (Autostrade e il gruppo Gavio) e che favorisce Trenitalia e le grandi imprese di costruzioni impegnate nella realizzazione dell’alta velocità ferroviaria. Abolita a gennaio, via decreto Bersani, la figura del general contractor per le tratte ancora da realizzare sono venute meno alcune rendite di posizione. In particolare quella del consorzio Cepav Due (Saipem, SnamProgetti, Condotte d’Acqua, gruppo Pizzarotti e altri) che era stato incaricato della realizzazione della tratta Milano-Verona. Progettazione e realizzazione delle opere verranno rimesse in gara — salvo ritardi — a inizio 2008. La torta si è ridotta rispetto alla legge obiettivo del 2001 e, nelle previsioni del governo, la riassegnazione tramite il meccanismo della gara dovrebbe consentire risparmi fino al 20% sui costi complessivi delle opere. Tuttavia si aprono le porte a un grande rimescolamento di carte i cui protagonisti indiscussi saranno i big delle costruzioni già impegnati sul fronte dell’alta velocità ferroviaria e del sistema Mose di Venezia (che a questo giro, pure, ha fatto il pieno di finanziamenti). Parliamo di Astaldi, Impregilo, Condotte d’acqua, Maire Engineering, Vianini, Snam, Pizzarotti, Fintecna e delle cooperative che tra Napoli-Bari, Torino-Lione (finanziata con un meccanismo ad hoc, extra Legge Obiettivo), Milano-Verona e Ronchi-Trieste — per non parlare del raddoppio della Fortezza- Verona e delle altre opere ferroviarie — conquisteranno tutte un posto al sole. E nei giochi potrebbe rientrare anche il gruppo Gavio che peraltro beneficia indirettamente dell’avvio della Pedemontana lombarda in virtù della quota detenuta nella Milano Serravalle e direttamente dell’avvio dell’autostrada regionale Broni-Mortara, per limitarsi alle opere principali.

Il gioco, insomma, non è somma zero ma quasi se si guarda al business delle costruzioni. Diverso invece il discorso se si puntano i riflettori sulle esigenze di mobilità e sul gap infrastrutturale rispetto al resto d’Europa. La Lombardia, come sottolinea l’assessore regionale Raffaele Cattaneo, conta appena 64 chilometri di autostrade per ogni milione di abitanti contro i 113 dell’Italia e i 177 della media dei principali Paesi Ue. Un gap che la Regione sta cercando di colmare con un modello che non ha mancato di suscitare polemiche, ma che permette di reperire le risorse necessarie alla realizzazione delle opere laddove l’autofinanziamento tramite i pedaggi risulta largamente insufficiente. Si tratta di sfruttare la rendita urbanistica generata dai servizi in prossimità degli svincoli. Sulle prime il modello lombardo è stato accusato di «istituzionalizzare la speculazione edilizia», ma poi ha trovato il consenso sia della Provincia di Milano sia del ministero delle Infrastrutture che — almeno a parole — vorrebbe fosse replicabile su scala più larga, visti i vincoli di bilancio e l’assoluta necessità di salvaguardare la competitività del Paese.

Il gap nei confronti dell’Europa, stando ai dati diffusi da At Kearney nel corso di un convegno a Roma, è di circa 3mila chilometri di autostrade e il costo del non realizzarli è crescente: basti pensare che tra il 1995 e il 2005 il numero di utenti autostradali è cresciuto del 152% (da 80 a 220 milioni di utenti per chilometro) e la quota di merci trasportata via autostrada è passata dal 58 all’ 82%. Tutto ciò a parità di rete, visto che nel periodo considerato sono stati costruiti solo 100 chilometri addizionali. Il problema — sentito a tutti i livelli — è dunque quello di reperire risorse addizionali e rompere il recinto dei 30-35 miliardi di investimenti che verrà sancito dal prossimo Dpef. Una road map da «piccole opere» del tutto inadeguata allo sviluppo infrastrutturale del Paese. È anche questa la ragione dei recenti tentativi di apertura di Di Pietro all’operazione Autostrade Abertis, alla disponibilità a rivedere la formula tariffaria e, soprattutto, a transar e a zero euro il contenzioso. È possibile che le parti presto si siedano al tavolo, ma di qui a trovare un’intesa la strada è lunga e irta d’ostacoli.

 

PAOLO FIOR

18 giugno 2007

 
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